Lo scrittore deve conoscere la paura che racconta. Intervista a Donato Carrisi

Due chiacchiere con Donato Carrisi, da oltre due mesi ai vertici delle classifiche di vendita con il thriller La casa delle voci, Longanesi

downloadIl fine giustifica i mezzi, almeno nei libri?
Sì, nelle nelle trame dei romanzi sicuramente. Interessante come approccio questo. Io non mi pongo mai alcun  problema etico o morale quando devo ammazzare qualcuno in un libro, ma è giusto anche che sia così altrimenti non riusciremmo a raccontare il male. Forse, ecco,  il modo più distaccato per raccontare il male è anche il più lucido

Ci sono episodi accaduti nella tua infanzia che non ti sai spiegare?
Diversi. Uno in particolare che risale a quando ero bambino:  una telefonata nel cuore della notte. Io andai a rispondere. Una voce maschile che non riconobbi ma che mi sembrava famigliare, disse semplicemente
“ciao” prima di riattaccare. Il giorno dopo scoprimmo che era venuto a mancare proprio quella notte un caro amico di famiglia.

Hai mai scoperto di avere modificato o cancellato un ricordo?
Sì, mi è successo proprio di recente. Avevo fatto un disegno alle scuole elementari con cui avevo vinto un concorso della scuola. E io ero terribile in disegno, ero veramente una vergogna, Diciamo artisticamente impreparato a disegnare. Ho scoperto qualche giorno fa che quel disegno esiste ancora, è appeso nei corridoi della mia vecchia scuola elementare. Io avevo rimosso questo ricordo e non so perché. Forse perché era legato al ricordo di una mia compagna che poi non ho più rivisto. Nel disegno c’è anche lei.
È molto strano tutto questo-

Da piccolo che favola ti faceva paura?
Una fiaba che mi raccontava mia nonna che era  ispirata a un fatto di cronaca realmente accaduto a Martinafranca.
Una donna aveva fatto a pezzi il marito, lo aveva impacchettato in carta di giornale e lo aveva portato fino al mare in bicicletta e poi lo aveva buttato pezzo per pezzo dagli scogli. Poi era stata arrestata. La fiaba raccontava del marito che tornava sotto forma di voce, sotto forma di spirito e le parlava attraverso il camino dicendole: “Maria…Maria…ridammi il braccio mio. Maria…Maria..,ridammi la testa mia” e così via.

Ti sei mai sottoposto o ti sottoporresti a ipnosi?
Sì, l’ho fatto perché provo tutte le cose che racconto nei miei libri. Sono stato da un’ ipnotista e ricordo quella seduta che fu u stranissima. Mi fece stendere su una chaise longue con gli  occhi chiusi  mentre lei mi  faceva domande.
Fuori era una bella giornata di sole, un bel pomeriggio d’estate e per mezz’ora ho continuato a pensare: “ma quando finisce questa tortura”.Tra l’altro mi prudeva anche il naso e non volevo grattarmi  per non dare una delusione all’ipnotista perché appunto non mi sentivo per nulla ipnotizzato. Poi finalmente quando secondo lei mi ha risvegliato, ho aperto gli occhi e mi sono accorto che fuori era buio. Non era passata mezz’ora: erano passate più di tre ore e io non me ne ero accorto. Ecco, questo mi ha convinto a parlare di ipnosi.

Che rapporto hai con l’irrazionale?
Felicissimo!! Tutto ciò che è irrazionale apre le porte al racconto, per cui va benissimo.

20191209_184053Ci sono le parti in cui la protagonista parla sotto ipnosi ricordando l’infanzia in cui cambi modo di scrivere: frasi brevi, semplici. E’ stato facile scrivere e parlare come un bambino?

No, non è stato per nulla facile perché i bambini hanno dei percorsi mentali molto più lineari di quelli degli adulti. Crescendo, noi  ci complichiamo la vita e ritornare a quella fase dove tutto è più semplice, dove tutto è più elementare è molto difficile. È stato davvero arduo. Sono sicuramente le parti del romanzo che hanno  richiesto più lavoro

Lo stretto indispensabile del libro della Giungla è un motivetto che torna nel libro: cos’è lo stretto indispensabile per te?
È una canzone che risale alla mia infanzia di un film che ci mostravano a scuola tutte le volte che c’era la riunione sindacale. Gli insegnanti andavano in riunione e i bambini venivano piazzati davanti a questo film.
All’inizio è stato piuttosto piacevole poi, avendolo guardato infinite volte, è diventato quasi una tortura.
Ecco perché l’ho riportato nel romanzo.

Lo scrittore ha paura? 
Lo scrittore ha molta paura, se io non provo paura non riesco neanche a trasmetterla a chi mi legge, per cui sì, tendo a sperimentarle su di me le paure.

Come reagisci  alle presentazioni  e alle recensioni in cui si dice troppo della trama o si è addirittura sull’orlo dello spoiler?
La paura dello spoiler esiste, è sempre in agguato ma devo dire che ancora non è avvenuto perché i lettori di thriller sono molto più disciplinati perché sanno qual è il valore di un colpo di scena.

Perché e per chi scrivi?
Scrivo per intrattenere. La mia scrittura è soprattutto  intrattenimento perché cerco di dare al lettore dei momenti piacevoli , interessanti. Quando scrivo mi comporto come il lettore, cioè tendo a divertirmi. Se non mi diverto io, non si diverte nemmeno il lettore.

Ultima domanda: si parla sempre di paura, buio e abissi  con te, ma io vorrei sapere: cosa ti fa sganasciare dalle risate?
Uh mamma mia, è una domanda difficile questa…. I film comici in bianco e nero. Ecco, lì non mi trattengo, ancora mi fanno ridere parecchio. E poi il solletico. È un metodo per uccidermi. Farmi il solletico sarebbe in assoluto  il modo più crudele per farmi fuori.

MilanoNera ringrazia Donato Carrisi e Longanesi per la disponibilità

Cristina Aicardi

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