La memoria è un dovere. Intervista a Johana Gustawsson presto ospite al NebbiaGialla.

In attesa di averla graditissima ospite al NebbiaGialla, MilanoNera ha avuto la gradita opportunità di fare qualche domanda a Johana Gustawsson, autrice di due strepitosi thriller: Block 46 e L’emulatore, pubblicati da La Corte Editore

download (2)Sia Blok 46 che L’emulatore hanno una particolare costruzione: entrambi si muovono vanti e indietro nel tempo, ambientati tra passato e presente. Questa è forse una caratteristica che tutti i tuoi libri avranno?
Mi hai beccata! Sì, continuerò in questo modo. Sono una grande appassinata di storia fin dalla più tenerà età ( tutto cominciò dalla mia fascinazione per i castelli, e in Francia ne abbiamo parecchi) e mi piace l’idea di prendere il lettore per mano per farlo viaggiare nel tempo e nel mondo per rivisitare i nostri periodi più bui, quei capitoli della storia che dobbiamo ricordare affinché quell’orrore non si ripeta. La memoria è un dovere che dobbiamo trasmettere di generazione in generazione.

In entrambi i libri ci sono anche due diverse ambientazioni, è forse dovuto alla tua vita da giramondo?
A casa mia sembra di essere a un summit delle Nazioni Unite! Parliamo francese, inglese, svedese, spagnolo e anche catalano talvolta! Un sacco di culture e tradizioni di cui siamo molto fieri e a cui teniamo molto. Le suole delle nostre scarpe sono piene delle tracce di tutti i sentieri che abbiamo percorso anche se viviamo in un paese che non è il nostro ma che ci ha accolto a braccia aperte e in cui sono nati i nostri tre figli.
Penso che sì, volevo riportare la mia esperienza di francese del sud che vive a Londra con uno svedese. A dirla tutta è stata la mia editor francese che mi ha dato la dritta giusta. Quando nel 2013 stavo programmando il mio primo libro, mi ha detto: “Pensa a chi sei, Johana “. E io ho risposto: “Sono una francese di Marsiglia che vive a Londra con uno svedese” E lì lei mi ha sorriso.

Francia, Svezia e Inghilterra hanno tutte diverse tradizioni di letteratura giallo/noir, in quale ti riconosci di più?
Dovrei rispondere che sono un mix di tutte: sono una scrittrice con una tradizione europea (ride). L’ambientazione è scandinava, la trama è un cluedo come quelle di sua maestà Agatha Christie e la voce è francese, o forse dovrei dire mediterranea ( noi parliamo molto anche con le mani, e spesso ad alta voce, o almeno così’ dicono)

Perché hai deciso di creare una coppia di investigatrici donne? Non è molto comune, no?
Ero stufa di sentire l’espressione ( che devo ammettere di avere usato molto anch’io): “un personaggio femminile con le palle”, e scusate il francesismo! Noi donne siamo delle toste di prima categoria : facciamo un sacco di cose contemporaneamente e siamo molto più manipolatrici ( il che significa essere estremamente intelligenti) dei uomini, non è vero?
Così era necessario mostrarlo. Dovevo far vedere la nostra magnificenza, non credete?
Mi piace molto avere una coppia di donne a condurre le indagini. E poi Alexis e Emily sono così diverse, e soprattutto non sono delle alcolizzate solitarie. Il che non vuol dire che non gradiscano un po’ di vino. E Alexis è come me, adora il vino italiano!

Nel libro c’è qualche personaggio che ti somiglia?
Penso di avere in comune con Alexis lo stile di vita europeo, la famiglia di stampo meridionale…e la madre! A parte questo, le invidio gli occhi azzurri!

Come riesce un autore a entrare nelle mente di un serial killer? Il profiling è anche un abilità degli autori?
Devi essere un po’ matta e forse avere molti figli, come me e così ogni tanto ti ritrovi a immaginare trame per farli sparire per un po’…No, scherzi a parte, trovo la tua domanda molto interessante, Credo che in effetti noi facciamo del profiling quando, come attori, ci immedesimiamo per entrare in profondità nei nostri personaggi, che dobbiamo amare senza giudicare. Non possiamo giudicare i nostri serial killer se dobbiamo comprenderli completamente in modo da poterne poi scrivere con precisione e con passione.
Quindi, sì, sezioniamo e analizziamo il loro comportamento.

L'emulatoreIn Block 46 torni nel passato alle atrocità dei campi di concentramento, ne L’emulatore ci porti  nel 1888 nella Londra di Jack lo squartatore. Perché hai scelto proprio questi due momenti?
Per quanto riguarda Block 46 era una cosa che mi toccava da vicino: mio nonno paterno fu deportato a Buchenwald. Apparteneva alla resistenza francese e insieme ad altri uomini coraggiosi organizzò la liberazione dal campo. Avevo sempre voluto scrivere di lui, perché era un uomo fantastico e un vero eroe ( nel mio paese gli è stata intitolata una via), ma con mio padre è stato un padre molto distante e questa cosa mi ha sempre stupito. Come poteva un uomo così carico di umanità, pronto a morire combattendo per la libertà e contro la tirannia, non essere un padre amorevole? Ed è stato facendo le ricerche per il mio libro che ho capito che lui aveva visto troppe atrocità per poter crescere un figlio.
Per quanto riguarda invece L’emulatore, è stato un caso.
Volevo parlare della città in cui vivo, Londra. Ero stata con mio figlio più grande a uno di quegli eventi dove ti fanno incontrare Babbo Natale e più tardi, ,spingendo il passeggino per farlo dormire, sono andata a fare una passeggiata sulle banchine di St. Katahrine, nelle strade di acciottolato vicino a Tower Hamlets. Sono entrata in una libreria ( ma guarda che sorpresa!) e ho comprato un libro che parlava di quella zona e ho scoperto che Il quartiere di White Chapel faceva parte del distretto di Tower Hamlets: stavo passeggiando nel regno di Jack lo Squartatore! Siamo tornati a casa e mio marito ha iniziato a leggere il libro. A un certo punto salta su e mi fa: “ Ma lo sapevi che una delle vittime di Jack era svedese? E per di più di Torslanda, vicino a Falkenberg?”. Non potevo credere alle mie orecchie! Falkenberg è dove ambiento parte delle mie indagini! Questo è un segno, ho pensato. Parlerò delle vittime di Jack lo Squartatore e della condizione della donna nella Londra vittoriana.
E mi è piaciuto molto farlo.

I tuoi libri sono bellissimi, pieni di colpi di scena inaspettati. Come crei questi perfetti e strabilianti effetti sorpresa?
Oh, Sei gentilissima! Penso di avere una mente perversa! Ahahahahaha!
Passo molto tempo a ideare la trama, ma davvero non so come i colpi di scena mi vengano in mente. Quello che è straordinario, comunque, è che mio marito ha paura di me, cosa che mi aiuta ad ottenere sempre “sì” come risposta alle mie richieste…

Da dove viene il tuo amore per la letteratura crime?
Dalla mia meravigliosa mamma. Era un’insegnante e si è impegnata molto affinché io amassi la lettura. Quando ha sentito che la prosa di Agatha Christie era l’ideale da leggere perché insegnava come scrivere correttamente, mi ha comprato Poirot a Styles Court. Avevo sette anni, ero già appassionatissima di tutti i gialli per ragazzi, e mi sono letteralmente innamorata di Poirot. E anche dopo oltre tre decenni, è ancora l’amore della mia vita!

I tuoi libri sono veramente tosti, sorprendenti e avvincenti, con molte descrizioni di crimini orribili. C’è un limite che non oltrepasserai mai? Un tema che non affronterai?
Vedi, la cosa divertente è che io non mi ero mai accorta che i miei libri fossero così “neri”..
Davvero, non sto scherzando. Ti dirò che credevo che il mio terzo libro, che sto finendo ora, fosse meno duro e perverso, ma il mio editor mi ha detto: “eh no Jo, per nulla!” Ahahahaha
Non credo di essere cruenta. Non riesco a guardare i film horror, per esempio, così nelle mie descrizioni cerco di evitare i bagni di sangue. Ma non scappo dalla verità, non potrei infiocchettare Buchenwald. Ma non sono sicura ci sia qualcosa di cui non parlerei. Credo comunque di averlo già oltrepassato quel confine: la Shoah, i bambini, lo squartatore. Ahahahahah.

La letteratura dovrebbe avere dei limiti?
La letteratura ha un potere enorme: è lo specchio della nostra società. Anche se scriviamo storie distopiche, parliamo dei nostri desideri e delle nostre paure. Credo ci sia solo una cosa di cui la letteratura non dovrebbe farsi promotrice: la glorificazione o l’apologia della violenza, di cui il razzismo è una declinazione.

Ci sono messaggi nascosti nelle tue trame?
Nascosti no, li metto proprio in bella vista. Il dovere della memoria. Memoria delle guerre, per non averne altre, dei nostri errori, per non ripeterli, dei nostri eroi e dei caduti, per celebrare il ricordo delle loro vite sacrificate per noi e per i nostri figli.

Come descriveresti te stessa e la tua scrittura?
Oh, non so risponderti…Ti posso solo dire che sono grata di essere qui, a casa, nel mio ufficio a rispondere alla tue domande sul mio secondo libro pubblicato in Italia dal mio favoloso editore Gianni La Corte. Ancora mi do dei pizzicotti per vedere se è vero…

Alexis e Emily torneranno?
Sicuramente! Blood song, il terzo libro, uscirà alla fine dell’anno in Francia, in Inghilterra e negli Stati Uniti ( Gianni ti dirà quando in Italia) e sto lavorando al quarto. Abbiamo venduto i diritti a Banijai, Alexandra Lama e a una produzione svedese per una serie Tv. Sì, sentirai ancora parlare parecchio di Alexis e Emily!

Qui la nostra recensione a L’emulatore
L’appuntamento con Johana Gustawsson è al NebbiaGialla Suzzara Noir Festival – 1/3 febbraio 2019 – Suzzara (Mn)
Tutte le info e il programma al link
MilanoNera ringrazia Johana Gustawsson e La Corte Editore per la disponibilità

Cristina Aicardi

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