Tito Giliberto in pillole

Tito Giliberto, nato a Venezia nel 1963, è giornalista professionista del Tg5 e scrittore. Con Todaro Editore ha pubblicato due gialli di argomento musicale intitolati Mozart: delitti in Re Maggiore (edito nel 2006 anno mozartiano) e il successivo Vivaldi: notte e follia del Prete Rosso. Ha scritto un saggio storico per il Museo del Risorgimento di Milano: Giornali e giornalisti dopo il Quarantotto, da cui è stato tratto Penne Sporche per l’editore Stampa Alternativa.

Per il telegiornale si occupa principalmente di cronaca nera, ma anche di musica classica con dirette dai più importanti teatri lirici. Per Canale 5 ha seguito
la vicenda Franzoni, il terremoto in Molise, le indondazioni a Sarno e in Friuli, il rapimento Soffiantini, il rapimento Valdata, il processo a Vittorio Emanuele di Savoia, i satanisti a Busto Arsizio, il disastro aereo di Linate, la vicenda del Grattacielo Pirelli, le dirette da Modena per Luciano Pavarotti, quelle da Milano per Enzo Biagi e altri fatti di cronaca, oltre alle interviste ai personaggi dello spettacolo (Vasco Rossi, Carmen Consoli, Eros Ramazzotti), ma soprattutto della lirica (Raina Kabaivanska, Leo Nucci, Mirella Freni) e della classica (anche con uno speciale sul maestro Riccardo Muti).
Oltre al lavoro, sue grandi passioni sono la letteratura e la musica classica. Suona il flauto traverso e altri strumenti. I gialli su Mozart e Vivaldi derivano dalla fusione dei vari interessi: la “nera”, la musica, la scrittura.
Ha concesso a MilanoNera questa intervista.

Perché due gialli su Mozart e su Vivaldi?
“Soprattutto perché mancavano thriller nuovi su personaggi così famosi e affascinanti. La motivazione per scriverli però deriva anche da un’altra esigenza. Come cronista di nera per il telegiornale mi occupo di fatti di sangue come i delitti di Erba, Cogne o Garlasco. Dedicarsi a Mozart o a Vivaldi è un modo per fuggire da una contemporaneità tanto cruda. Anzi, per scappare dalla cosiddetta “banalità del male” che occupa molta letteratura, cinema e tv. Proprio studiando direttamente le personalità di molti assassini o dei sospetti assassini, capita di accorgersi che si tratta spesso di persone senza fascino. I killer non appaiono, da vicino, persone geniali, ma al contrario uomini banali. Soltanto una stupida brutalità li distingue. Appunto per fuggire da questa ordinaria violenza dei nostri tempi, ecco le “fughe” e i “divertimenti” (musicali, appunto) su Mozart e su Vivaldi”.

I romanzi storici richiedono una ricerca approfondita?
“In entrambi i casi ho scritto di getto. I gialli su Mozart e su Vivaldi rimanevano silenziosi dentro di me, pronti a balzare sulla pagina in modo immediato. Avevo condotto ricerche storiche anni fa. Su Mozart, all’Università Statale avevo dato esami specialistici sul Così fan tutte e, l’anno dopo, su un’altra sua opera tarda, il Flauto Magico con il professor Francesco Degrada, uno dei massimi specialisti al mondo. In altre occasioni avevo seguito conferenze, corsi e concerti al Festival Vivaldi a Venezia. Il materiale perciò ce l’avevo tutto in testa da anni”.

Qual è stata l’occasione per scriverli?
“Quando nel 2006 si sono celebrati i 250 anni dalla nascita di Mozart, tra le centinaia di libri pubblicati, mancava un thriller moderno. Il mistero su Mozart dura da secoli: notizie su un presunto avvelenamento uscirono sui giornali due settimane dopo la morte. Nessuno, però, aveva mai messo in relazione tre date immaginando un intrigo internazionale: 1789, la rivoluzione francese; 1790, la morte dell’imperatore illuminista Giuseppe II, grande protettore di Mozart; 1791, morte di Mozart. Il collegamento tra questi tre fatti disegna l’inedito complotto che, come in un meccanismo di orologio, muove il giallo Mozart: delitti in Re Maggiore”.

Scrivere è un divertimento?
“Scrivere di getto è una gioia. Personaggi, situazioni, intrecci, fluiscono dalla penna sulla pagina in modo avvincente. Smettere di scrivere, al contrario, è una sofferenza. E’ un po’ come interrompere la proiezione di un film. Se di giorno mi occupo di fatti di cronaca nera, Cogne o altro, di sera torno al libro con il desiderio di immergermi in un altro mondo, in un’altra epoca. I miei libri perciò sono in realtà macchine del tempo per volare altrove”.

Vivaldi e Mozart: che cosa li unisce?
“Entrambi grandi musicisti, entrambi morti misteriosamente a Vienna a cinquant’anni di distanza. Tuttavia i due gialli sono molto diversi tra loro. Il giallo Mozart racconta fatti storicamente documentati in una cornice romanzesca. Il giallo Vivaldi, invece, ha più invenzione con alcuni anacronismi. Ad esempio il delitto finale che chiude Vivaldi: notte e follia del Prete Rosso ricalca il vero delitto di Joachim Winkellmann, il grande artista teorico del neoclassicismo morto nel 1768 per dissanguamento in un accoltellamento gay. Dunque il Vivaldi smonta e rimonta vere tessere da mosaico, ma in un puzzle immaginario”.

C’è una tecnica narrativa comune?
“Un linguaggio in stile ‘700. L’invenzione di alcuni manoscritti inediti. E soprattutto due differenti enigmi per i delitti. Nel caso di Mozart, il protagonista trova la chiave della soluzione nel finale sconosciuto del Requiem. Com’è noto, Mozart morì senza aver completato la sua ultima composizione. Ma all’inizio del giallo il protagonista scova le pagine inedite di quella partitura. Decrittando le note musicali, scopre un messaggio criptico: la chiave del giallo”.

Anche nel Vivaldi c’è una chiave per l’enigma?
“Nel Vivaldi, la soluzione del giallo è nascosta in un quadro. Non è un dipinto normale, ma è una pittura alchemica. Cambia colori, luci, ombre”.
Un quadro magico come nel celebre libro su Dorian Gary di Oscar Wilde?
“L’idea però non deriva da Oscar Wilde, ma dalla tv. Il quadro di Vivaldi, che cambia colori e immagini, è appunto l’allegoria della moderna tv che racconta tanti fatti di sangue: da Cogne a Erba, appunto”.

Che mistero si nasconde dietro alla morte di Vivaldi?
“Vivaldi morì in povertà e solitudine nel 1741 a Vienna. Perché aveva lasciato Venezia? Perché aveva abbandonato i suoi teatri, i suoi concerti, il suo pubblico? Il mistero non è mai stato chiarito bene dagli storici. Vivaldi, che nel Settecento era soprannominato “il Prete Rosso” per il colore dei capelli, era un sacerdote cattolico. Ma era anche il direttore di un’orchestra composta soltanto da ragazze, il violinista più famoso d’Europa, un compositore di successo non soltanto di concerti (ne ha composti oltre 500), ma anche di opere liriche (si vantava di averne musicate quasi 100), abituato a vivere nei teatri a contatto con ogni genere di artista, da prime donne a castrati. Insomma un personaggio affascinante”.

Vivaldi: un prete tra mille tentazioni, dunque?
“Le biografie raccontano che Vivaldi avesse una protetta, la cantante d’opera Anna Giraud, e che tra i due vi fosse una relazione. Un pettegolezzo che dura da secoli. Il mio giallo però non raccoglie un tale gossip. Il Vivaldi in giallo è invece un uomo religioso, un artista consapevole del suo tempo. Sessualità e pulsione artistica, fede e ragione, dogma e modernità lo tormentano. Temi avvincenti, vero motore del giallo e del delitto”.

Dunque un Settecento a tinte forti?
“Non c’è svenevolezza in questo Settecento. Vivaldi diventa un personaggio eroico che sente le contraddizioni del suo tempo e ne soffre. Ad esempio, parla della rivoluzione industriale. Si definisce un “uomo-macchina”. Spiega la sua musica come arte della nascente rivoluzione industriale”.

L’età dell’industria diventa musica?
“Nel corso del giallo, Vivaldi spiega che, mentre gli uomini si stavano trasformando in macchine, anche la musica stava diventando prevalentemente strumentale. Uomini-macchina erano gli operai del Settecento ai filatoi meccanici, uomini macchina erano anche i cantanti del Settecento in gara musicale con oboi, violini e flauti. In quegli stessi anni, l’orchestra si veniva formando mentre nascevano le fabbriche. Il lavoro, da artigianale, si faceva “orchestrale”, cioè industriale. Come si vede, questo giallo su Vivaldi ha un respiro storico”.

Perché in entrambi i gialli il narratore è comune, cioè il medico Alessio Rossato?
“Ci voleva un detective. Dove trovarlo, nel ‘700? Ecco il dottore che diventa investigatore. Ad esempio, per Mozart avvelenato, occorreva un medico che sapesse condurre un’indagine tossicologica”.
Mozart avvelenato: dov’è la novità? Lo si vede nel film Amadeus.
“Che Mozart sia stato avvelenato, lo si dice da secoli. La novità è sul come e sul perché di quell’avvelenamento. Lo storico Wolfgang Hildesheimer dà una spiegazione interessante: Mozart si sarebbe avvelenato assumendo dosi errate di sali di mercurio per curarsi da un’infezione da sifilide. Da qui parte il giallo. Con un intrigo inaudito. Se poi si aggiunge che anche l’imperatore Giuseppe II un anno prima era morto, secondo alcune fonti settecentesche, anche lui per sifilide, il puzzle combacia”.

Esistono prove del delitto?
“Un amico ha proposto di far disseppellire il corpo dell’imperatore Giuseppe II, custodito a Vienna nella Cripta dei Cappuccini, per completare le indagini. Ma questa è un’altra storia”.

Il libro (di un altro) che avresti voluto scrivere e il libro (tuo) che NON avresti voluto scrivere
“Amo Agostino di Moravia e le Cosmicomiche di Calvino. Ma non ha senso desiderare vite o libri altrui. E’ bello scrivere, amare e creare”.

Sei uno scrittore di genere o scrittore tout court?
“Sono un giornalista scrittore. A tal proposito, Gian Arturo Ferrari, a capo della casa editrice Mondadori, in un’intervista ha rilevato che sempre più spesso gli scrittori provengono dal mondo del giornalismo. Comunicare attraverso la scrittura è dunque diventata un’attività esclusiva? Riservata a specialisti? Speriamo di no. Riguardo alla domanda, se io mi ritenga uno scrittore di genere, la risposta per ora non esiste. Ho pubblicato due saggi e due gialli. Vedremo”.

Un sempreverde (libro) da tenere sul comodino, una canzone da ascoltare sempre, un film da riguardare.
“Sul comodino il dizionario dei film di Paolo Mereghetti: utile, essenziale e diretto. Possiede una mirabile capacità di analisi in poche parole. La canzone da ascoltare sempre è “Vita spericolata” di Vasco Rossi. Il film assoluto è “2001 Odissea nello Spazio” di Stanley Kubric.
Si può vivere di sola scrittura oggi?
“Il mercato editoriale italiano è limitato. Non pare un’ipotesi realistica per quanto mi riguarda”.

Favorevole o contrario alle scuole di scrittura creativa? Perchè?
“Vengo da una famiglia di giornalisti-scrittori. Ho imparato la scrittura vivendo a bottega. Mio padre ha iniziato al Gazzettino di Venezia, ne ricordo l’antica sede in un palazzo del ‘400 vicino a Rialto. C’erano le macchine linotype e le rotative al piombo. Poi si spostò al Resto del Carlino e al Corriere della Sera. Mio zio, ora scrittore, era inviato della Stampa di Torino. Mio fratello lavora al Sole 24 Ore. Può darsi che la scrittura si possa imparare anche da adulti. Ma a me è entrata nel sangue da ragazzino”.

ambretta sampietro

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