L’odore assordante del bianco

“La vita qui è come un disegno senza colore, e un disegno senza colore non vale niente”. E’ il 1889: Vincent Van Gogh è internato nel manicomio-lager di Saint-Paul-de-Manson in Provenza. Alle prese con infermieri kapò dall’alito di birra, medici aguzzini e pionieri della psicanalisi, il pittore cerca di ritrovare la realtà tra ciò che vede e ciò che la sua mente allucinata gli rimanda. L’odore assordante del bianco, in scena al Teatro dell’Elfo fino al 18 maggio, è un allestimento allucinatorio, spigoloso, scritto e diretto da Stefano Massini, che gli è valso, nel 2005, il Premio Tondelli, sezione giovanile del prestigioso Premio Riccione. La giuria, allora, ha riconosciuto il valore di una “scrittura limpida, tesa, di rara immediatezza drammatica, in grado di ridarci anche visivamente il tormento con feroce immediatezza espressiva”, a noi, oggi, non resta che essere d’accordo. “Apparentemente sembra solo una storia di ordinaria follia, uno spaccato di vita reclusa nel manicomio-lager. In realtà c’è ben altro che l’Ottocento, il manicomio e il ritratto di un pittore famoso”, spiega Massini e aggiunge: “con il pretesto di Van Gogh ho provato a farmi molte domande sul senso della nostra presunta lucidità, ovvero normalità. Ho provato a chiedermi cosa significa essere sicuri di ciò che vediamo, sicuri di ciò che definiamo realtà”.
Quella di Van Gogh a Saint Paul è una realtà in cerca di colore, ma la sola tinta che essa può offrirgli è il bianco, il non colore. Le pareti, le mattonelle candide nonostante lo sporco, il letto, la luce del sole che non passa dai vetri, gli abiti (la cui unica variazione cromatica è il beige), persino l’anemone, quello che Vincent cura con amore nell’attesa che germogli, produce fiori bianchi. Nella suggestiva sceneggiatura curata da Laura Benzi, i personaggi abitano il bianco, alcuni lo navigano, altri vi annegano. C’è il dentro dell’ospedale che annulla il fuori, e dentro ci sono le regole: non leggere, non dipingere, non vivere. In questa non vita Van Gogh si annulla nelle proprie farneticazioni e nelle trappole che la mente gli tende. Non è facile trasmettere la frenesia, la rabbia, l’alienazione mentale del pittore olandese, il suo essere un vulcano che contiene la sua forza finché non scoppia. Ma Mauro Malinverno, nonostante abbia dichiarato di sentirsi distante da Van Gogh per gestualità e carattere, riesce perfettamente a comunicare le emozioni, a renderci partecipi di quella eruzione, a farci palpitare ad ogni delirio. Convincente, appassionante, fisica anche l’interpretazione di Roberto Posse, nei panni del Dottor Peyron, il direttore buono che rasenta la follia, forse perché anche lui è rinchiuso in quella gabbia di matti, e che candidamente dichiara che “ogni tanto fa bene sentirsi pazzo, perché ti permette di non impazzire”.
L’odore assordante del bianco è un viaggio empatico nella follia. Cominciamo anche noi a dubitare di ciò che stiamo guardando, cerchiamo conferme dal nostro vicino, diffidiamo della nostra normalità e, nel contempo, la cerchiamo disperatamente, nella speranza che quello che ci circonda esista davvero e che “non sia solo in questa merda di testa”.

6 – 18 maggio, ore 20,45
Teatro dell’Elfo
Via Ciro Menotti 11, Milano
Ingresso: € 21,50/14,50 – martedì € 12,50
Per info e Prenotazioni: www.elfo.org – 02 71.67.91

francesca colletti

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