Massimo Carlotto

Intervista a Massimo Carlotto sul suo romanzo Cristiani di Allah

Trovo che sia stato coraggioso ambientare un romanzo nel 1500 con protagonisti due corsari omosessuali. Come ti è venuta l’idea?

Leggendo il verbale di un processo del Sant’Uffizio che mi ha dato la possibilità di scoprire che nelle città corsare si rifugiavano gli omosessuali che volevano vivere la loro vita in modo pubblico e senza il timore di essere processati, torturati e uccisi. Inoltre cercavo due personaggi di “rottura” con il mondo occidentale e cristiano e due ex lanzichenecchi gay mi sono sembrati perfetti.

Quanta ricerca e documentazione c’è voluta per ricostruire così bene la vita dei corsari?

Oltre 3 anni di letture e ricerche per scoprire durante un viaggio ad Algeri che la prima stesura era poco equilibrata dal punto di vista storico essendomi documentato su testi di storici occidentali e cristiani. Per fortuna ho incontrato intellettuali algerini che mi hanno dato la possibilità di accedere ad altri testi e l’istituto di cultura italiano è riuscito a ottenere il permesso per una mia visita al palazzo del beylerbey e all’harem, luoghi fondamentali per la mia narrazione.

Ti sei ispirato a qualche autore in particolare per scrivere questo romanzo?
No. Ho voluto arrivare a questo romanzo privo di “bussola” per godermi l’esperienza fino in fondo.

Hai voluto raccontare una metafora di come le religioni dovrebbero convivere? Quella che ora sembra la più integralista una volta era la più tollerante e viceversa…
Fino a quando i corsari rinnegati ebbero saldamente in pugno il potere nelle città del Maghreb l’islam fu tollerante e in qualche modo progressista (eccetto la condizione femminile). Quel mondo terminò nel 1830 con la conquista francese dell’Algeria e da quel momento l’involuzione della società fu una costante interrotta negli anni Sessanta dalla liberazione ma oggi, purtroppo, il fondamentalismo uccide gli omosessuali, la libertà, opprime le donne e la cultura. Del resto è anche vero che il mondo cristiano su certi temi non ha fatto poi tutti questi progressi…

Il tuo libro si apre con l’attacco di Carlo V ad Algeri, la roccaforte dei corsari. Una battaglia epica fra buoni e cattivi anche se a ben vedere nessuno dei due contendenti era completamente buono o cattivo
Non c’erano buoni e cattivi. Nella guerra di corsa un mondo era speculare all’altro. I cavalieri di Malta e i veneziani erano pirati della peggior specie esattamente come gli algerini. Quello che mi interessava veramente svelare era che dietro al concetto di scontro di civiltà si cela, ieri come oggi, la necessità del controllo politico, militare ed economico del Mediterraneo.

Quanta verità storica e quanta fantasia c’è nel tuo romanzo?
La fantasia è l’intreccio di trama. Personaggi, ambientazioni e fatti sono fedelmente riprodotti dalle cronache dell’epoca.

C’è una bella frase nel romanzo in cui si dice che farsi turchi era un modo per cambiare la propria condizione: “il destino non era deciso dalla nascita ma dalla fortuna”…
E questa era la molla che faceva scattare in molti “audaci” il desiderio di farsi “turchi”. Mi ha colpito scoprire che moltissimi europei sono diventati corsari e musulmani (per pura convenienza) per poter sfuggire a un destino deciso fin dalla nascita. L’inquisizione quando li processava insisteva molto su questo punto e cioè sull’ardire di aver voluto osare pensare di mutare la propria posizione sociale dato che solo Dio può decidere chi nasce nobile e chi plebeo.

Tu ti sei sempre dichiarato un autore di genere (almeno al festival NebbiaGialla lo hai fatto): Cristiani di Allah però forse s’inserisce più nel filone del romanzo storico che in quello noir mediterraneo a te tanto caro. E’ corretta questa interpretazione?
Sono e rimango fieramente un autore di genere e ho scritto questo romanzo pensando a un noir mediterraneo o meglio a un progetto che mi portasse alle origini di questo filone narrativo. Ho cercato di stare il più lontano possibile dal romanzo storico vero e proprio (anche se la tentazione era forte per la mole di materiale che avevo a disposizione). Ritengo di essermi attenuto alle regole fondamentali del noir ma mi rendo conto che forse non è così evidente.

Il titolo del romanzo è un omaggio ad un altro libro. Ce ne vuoi parlare?
Sergio Atzeni oltre ad essere un grande scrittore è stato anche un grande traduttore e questa attività è poco nota. Prendendo il titolo da un importante saggio dei Benassar tradotto ormai nel lontano ’91 e pubblicato da Rizzoli ho voluto rendergli omaggio.

Dall’Alligatore al corsaro Redouane è un bel salto: quanto è stato difficile staccarti dal tuo personaggio ed inventarne uno altrettanto forte?
Ho dovuto concentrami molto per immaginarlo. Prima di scrivere ho avuto bisogno di “vederlo” nella mia mente e solo allora sono riuscito a staccarmi. Anche per questo è stato fondamentale il viaggio ad Algeri, camminare per i vicoli della casbah, osservare la città con il “suo” punto di vista mi ha permesso di renderlo forte. Al punto che molti lettori mi stanno chiedendo il seguito. In che guaio mi sono cacciato?

Per dirla come il titolo di un tuo romanzo: con l’Alligatore è solo un “arrivederci amore, ciao” non un addio, giusto? Quando lo rivedremo all’opera?
Il nuovo romanzo dell’Alligatore uscirà a settembre 2009. Come ho avuto modo di dire a NebbiaGialla, ho bisogno di tempo per maturare una storia importante e capire le trasformazioni umane e psicologiche del personaggio.

Come ti comporterai col personaggio di Rossini? Continuerà ad essere presente nelle tue storie anche se l’ispiratore di questo personaggio non c’è più come hai raccontato ne “La terra della mia anima”?
Rossini, come hanno avuto modo di ripetere più volte i miei lettori, deve continuare a vivere come personaggio di carta e io sono molto felice di accontentarli.

Questo articolo è apparso sul numero 1 di MilanoNera

paolo roversi

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