Discesa fatale



john rhode & carter dickson
Discesa fatale
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Solo dalle penne di un ex ufficiale dell’esercito britannico, John Rhode, pseudonimo di Cecil John Street, e del maestro per eccellenza dei delitti della camera chiusa, Carter Dickson, alias John Dickson Carr, poteva fluire un enigma così ingegnoso ed originale, dalla soluzione lineare e logica, ma non banale.
Una serie di furti presso la sua casa editrice spinge Sir Ernest Tallant a contattare la polizia, ma i suoi sospetti moriranno con lui quando questi viene ucciso in sede, il Temple, alle 12.15, con un proiettile alla testa, mentre scende con il suo ascensore privato dal quinto piano al pianterreno, senza mai fermarsi. Le porte non possono aprirsi quando la cabina è in movimento e l’interno è visibile da ogni piano attraverso una porzione di vetro. Il fragore dello sparo è udito da tutto il personale, che subito accorre e che poi verrà prontamente trattenuto dalla polizia. All’interno della cabina c’è solo il cadavere di Sir Tallant; non v’è traccia dell’arma del delitto.
Il caso vuole che sulla scena del crimine sia presente il medico legale e criminologo Horatio Glass, uno degli ultimi, e dei tanti ultimi, ad aver visto dal vetro della porta dell’ascensore Sir Tallant vivo, e solo, mentre scendeva.
Quando l’Ispettore capo David Hornbeam di Scotland Yard arriva al Temple, inizia insieme al suo amico Glass una delle indagini più coinvolgenti mai descritte.
Quando si pensa di intravvedere una possibile soluzione, Hornbeam e Glass, Rhode e Dickson, l’hanno già considerata e confutata, e così per un’altra soluzione e un’altra ancora. Non c’è via d’uscita; sono sempre un passo avanti. L’identità del colpevole perde quasi di interesse, è la modalità che intriga.
“Discesa fatale” accontenta sia i sostenitori del metodo scientifico, seguito da Hornbeam, che gli appassionati del lato psicologico criminale, affrontato da Glass. I due approcci opposti, che per natura si attraggono, fanno scaturire divertenti, ma serie discussioni tra i due investigatori, che illuminano momentaneamente il lettore, illudendolo di essere vicino per l’ennesima volta alla soluzione, per poi farlo ripiombare in un baratro oscuro dal quale non esiste altra via d’uscita se non quella di leggere, leggere e leggere.
Non ci è dato di sapere chi tra i due autori ha scritto cosa o quanto, fatto sta che questo romanzo a quattro mani racchiude uno dei migliori delitti impossibili della camera chiusa mai ideati. Peccato sia l’unica produzione della coppia, perché il papà del professor Lancelot Priestley, John Rhode, e quello del dottor Gideon Fell e di Sir Henry Merrivale, John Dickson Carr, si sarebbero certamente superati.

barbara barbieri

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