The Dog is back in town. Ellroy live in Milan

Ieri sera al Litta James Ellroy ha presentato il suo ultimo romanzo, Il sangue è randagio (Mondadori), capitolo finale dell’American Underworld Trilogy.

Per chi, come il sottoscritto, aspettava da nove fottuti anni il ritorno del Re (Sei pezzi da mille, il secondo volume della trilogia, risale al 2001) è stata una specie di festa. Qualcosa tipo il tuo compleanno addizionato di Natale e farcito di vacanze estive.
Non scherzo: io devo tutto a quel signore altissimo, con lo sguardo da matto, gli occhialetti tondi e un improbabile farfallino verde inglese.

In termini di scrittura, di costruzione delle storie, di immaginario. Se non ci fossero stati Ellroy e il suo American Tabloid, la generazione di scrittori che mi ha insegnato il mestiere probabilmente avrebbe scritto tutt’altro. E io, forse, sarei rimasto solo un lettore.
Dunque eccomi, puntuale come uno frontaliere svizzero , alle 20.45 varco la soglia del Litta (non senza prima essermi fatto un Campari nel bar di fronte – offerto dall’ottimo Michele Fiano, tra l’altro -: non si affronta il Re senza un pizzico di bumba in corpo).
Non ho il biglietto (perché sono il solito cazzaro e non sono passato prima alla FNAC a prenderlo) ma in qualche modo riesco a intrufolarmi. Mi siedo vicino alla mia amica Annarita Briganti e mi godo lo show. Quando si accendono le luci, sul palco compare Giancarlo De Cataldo.
Dopo qualche secondo e una doverosa minimale introduzione, mr. Romanzo Criminale dice “Signori e signore: James Ellroy”.
The Dog fa il suo ingresso insieme allo straordinario Paolo Noseda: è altissimo, ve l’ho detto. Il cranio lucido e lo sguardo da matto, la voce bassa, tonante.
Parla della faccia oscura dei Sessanta, della sua infatuazione giovanile per i furti con scasso (e la biancheria femminile), di omosessuali al potere, di sangue, di donne, di sua madre, dell’Occidente, di Beethoven.
De Cataldo dice Zeitgeist, Ellroy risponde Fucking & sucking. Lo ripete trenta volte. Dice che se ne frega dell’Europa e degli europei, che ama le donne di sinistra. Ogni centocinquanta parole, precisa che il suo libro è edito da Mondadori. Alla sesta volta diventa uno sketch e la gente ride.
Alla fine scazza il Re con De Cataldo su Dostojevski, ma fanno pace su De Lillo. Dopo un’ora e un quarto di show, Giancarlo saluta e va a farsi un Martini, il Re è pronto per il firmacopie.
Mi metto diligentemente in fila, Ellroy è una macchina da guerra. In venti secondi ha firmato cento libri e tocca a me: siamo l’uno di fronte all’altro. Scrive il mio nome e il suo su Blood is a rover, gli smazzo una copia di Confine di Stato.
Mi fa: “Already signed?” e io gli dico di no. “Come on, Peanut, let’s do it! Fast & clear!” I afferro la penna e scrivo: TO JAMES, THE KING. Dritto al punto.
Se dieci anni fa qualcuno mi avesse detto che Ellroy mi avrebbe chiesto di firmargli una copia del mio romanzo d’esordio, gli avrei risposto: “Hey, man! Are you fucking retarded?”
Eppure…
La vita è proprio fuori di testa.
Ritorno a casa volando, come la più sfigata delle groupie dopo il concerto delle Vibrazioni. Riguardo le foto che Annarita m’ha scattato durante la duplice firma. Sono al settimo fottuto cielo.

simone sarasso

Potrebbero interessarti anche...