Acqua alta nei caruggi



Giuseppe Chiara
Acqua alta nei caruggi

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Una rapina terminata in un bagno di sangue ha posto fine alla carriera di rapinatore di Olmo Vivera.
Uscito dal carcere dopo parecchi anni, Vivera, che ha perso molto dello smalto di un tempo, si mette alle dipendenze di Giorgio Premolin, detto Giorgione o anche “il cannibale”, un astro nascente della nuova malavita genovese. Vivacchia con incarichi di poco conto, sino a quando verrà accusato del furto di una misteriosa valigia. Presto appare chiaro che la valigia conteneva qualcosa di molto prezioso e appartiene alla mafia russa.
La polizia lo cerca e Giorgione, convinto che Olmo gli abbia rubato la merce, gli mette una taglia sulla testa che trasforma i carruggi del centro storico di Genova nel teatro di una spietata caccia all’uomo.
Per riuscire a salvarsi Olmo dovrà chiedere aiuto prima a Mara, una cantante jazz di poca fortuna e sua ex amante, poi all’amico d’infanzia Carlo Laganà, anch’egli vecchio rapinatore e compagno di avventure in gioventù.
E proprio insieme a lui, Olmo tenterà il colpo della vita, per dimostrare di essere ancora tra i migliori nel suo campo.
Questa, in sintesi, la trama del nuovo noir di Giuseppe Chiara, Acqua alta nei caruggi, (Todaro Editore), che MilanoNera aveva già anticipato nelle settimane addietro.
I luoghi (l’appennino ligure fra Genova e la pianura padana), coincidono in parte con quelli del precedente libro di Chiara, il fortunato L’apprendista becchino, ma le somiglianze, almeno testuali, finiscono qui.  Diversi sono l’ambientazione sociale, i personaggi, l’atmosfera.
Gran parte di Acqua alta nei caruggi  si svolge infatti in una Genova cupissima, decadente e spesso sferzata da piogge violente che fanno a volte tracimare i suoi mille torrenti, tombati nel corso dei secoli, in una massa mortale di acqua e fango.
Nel libro (poco più di duecento dense pagine) c’è davvero moltissimo; vecchi rapinatori nostrani, criminalità organizzata italiana e straniera, fabbricanti cinesi di droga sintetica, poliziotti violenti e pure i servizi israeliani, tanti morti ammazzati e qualche colpo di teatro, il tutto però ben orchestrato e mai sovrabbondante.
Ritmi tesissimi, personaggi principali ben delineati, ironia molto amara e soprattutto un triste senso di tragica ineluttabilità che pervade tutto il romanzo.
Dal male e dalle sue conseguenze non c’è scampo… mai.

 

Gian Luca Lamborizio

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