Inauguriamo con questo racconto di Abramo Vane la rubrica dei racconti.
E le cellule si chiamavano, i pori della pelle si chiamavano, e l’alchimia dei corpi operava in loro, e cos lui non era pi lui, e lei nemmeno, erano ancora due esseri distinti, ma non quelli di prima, e lui aveva quattro braccia, e sembrava quel dio sceso in terra, ed era cos completo nelle sue sembianze umane che subito gli chiesero di essere normale, di essere uno come loro, e nella sua bont e comprensione rinunci a quella forma e pass il resto della vita sulla terra con solo due braccia, e soddisf una richiesta che era limitata, e invece gli amanti non hanno limiti e l’alchimia per loro un gioco da ragazzi, e le cellule e i pori della pelle si chiamavano, e trasformavano la materia, e lo spirito la inondava, e tutto era possibile, e dopo mille forme che assunsero si separarono, e lo fecero per s stessi, per andare oltre alle cose, e per superare i corpi erano passati attraverso i corpi, e ora lui vive alle cinque terre, vecchio e ancora si alza al mattino e lavora, sposta i sassi e li sistema sulle terrazze delle colline, e quando vanno a trovarlo nel periodo della vendemmia c’ sempre qualcuno che gli ricorda quelle alchimie, e quell’amore, e lui a sentire la parola amore inveisce, e non vuole che nessuno la pronunci, e agita il suo bastone… e lei vive al nord, c’ il vento, c’ sempre il vento dove abita, e il vento l’ha resa pazza, o forse furono quelle alchimie, lei si abbandona al vento e il vento le porta via la carne, un po’ alla volta, come fa con le montagne, e le sue cellule sono abituate all’alchimia… e lei dunque pazza, e lui dunque un uomo solo, e questo era il loro destino, l’inevitabile destino di un magico gioco alchemico.
Questa rubrica realizzata in collaborazione con l’Associazione Culturale Il Cavedio di Varese, come ulteriore sviluppo del progetto “La vetrina da leggere”.