Alfredo Colitto, finalista al Premio Azzeccagarbugli 2010

ALFREDO COLITTO finalista al PREMIO AZZECCAGARBUGLI 2010 (che si assegnerà domani sera)  con I DISCEPOLI DEL FUOCO. MilanoNera l’ha intervistato

La tua biografia ci dice che hai vissuto anche in Messico, dove hai ambientato il tuo primo romanzo, “Café Nopal”. Cosa ti ha portato a vivere là e cosa ti ha lasciato, anche come scrittore?

A trent’anni, a un certo punto mi sono immaginato per i successivi trent’anni con sveglia alle sette, lavoro dal lunedì al venerdì, sabato con gli amici, domenica riposo, lunedì di nuovo daccapo. Non era quello che volevo. Così mi sono licenziato e sono partito con un biglietto di sola andata. Sono stato in giro una decina d’anni, tornando anche in Italia ogni tanto, ma per poco tempo e quasi da “turista”. Il Messico è stata la prima meta e il luogo dove mi sono fermato di più. È un posto poetico e violento, pieno di contraddizioni esplosive. È stato lì che ho scoperto il fascino del noir.

Nei tuoi romanzi (ricordiamo anche “Cuore di ferro”, “Duri di cuore” e “Il candidato”) si possono trovare, nella loro diversità di genere, elementi comuni. Il sentirsi straniero, il viaggiare in paesi e epoche non proprie…

La sindrome dello straniero è una cosa che mi ha accompagnato per tutta la vita. Da bambino mi sembrava di vivere in un mondo diverso da quello dei miei genitori, dei miei compagni di scuola e dei miei stessi amici. Mi sentivo un disadattato. Poi ho capito che ciascuno di noi vive in un mondo suo, che in qualche modo cerca di condividere con chi gli sta intorno, a volte riuscendoci e a volte no. I miei personaggi vivono sempre questa tensione.

Tu sei anche traduttore. Questa attività ti aiuta nello scrivere e come?

Tradurre è un lavoro bellissimo, proprio come scrivere. Sono due cose diverse ma si somigliano, per cui è logico che finiscano con l’influenzarsi a vicenda. Tradurre un romanzo vuol dire leggerlo con un’attenzione molto maggiore di quella di un lettore normale. Si lavora su ogni frase, su ogni parola. Così è più facile scoprire ciò che funziona e a ciò che si poteva migliorare. Poi quando scrivo, cerco di applicare ciò che ho imparato traducendo i libri degli altri.

“Mi piace esplorare le passioni nascoste, il lato oscuro dell’animo umano. E mi piacciono i personaggi che davanti a situazioni estreme, che li mettono fortemente alla prova, scoprono di essere diversi da quello che pensavano, nel bene e nel male.” Perché? E perché anche in romanzi “storici” come “I discepoli del fuoco”?

Sono convinto che non esistano persone banali. Ciascuno di noi ha un lato nascosto, una riserva di energie insospettate, tante emozioni sopite, buone e cattive, che aspettano solo l’occasione per uscire allo scoperto. Le situazioni estreme sono quelle in cui, anche nella vita reale, scopriamo davvero chi siamo. Perciò nei miei romanzi ce ne sono tante, e perciò ho scelto il noir. Di fatto, qualunque sia la trama della storia e in qualunque epoca sia ambientata, io scrivo sempre di emozioni.

Sia per “Cuore di ferro” che per “I discepoli…” i lettori apprezzano i colpi di scena e il ritmo incalzante. E’ quello che volevi? E come arrivi a questo risultato?

Sì, è quello che volevo. Personaggi credibili, emozioni intense, e una trama che spinge a voler arrivare in fondo, senza mai annoiare. Non so se ci riesco sempre, in realtà, ma il sistema che uso è molto semplice: quando rileggo ogni capitolo, faccio finta di star leggendo il libro di un altro. E ogni volta che trovo una parte noiosa, che sia una singola parola, una frase o un intero capitolo, la taglio o la cambio senza pietà.

Raccontaci il tuo percorso da aspirante scrittore ad oggi. Cosa scrivevi, a chi ti sei rivolto, come sei arrivato a un editore importante come Piemme…

Preferisco non ricordare i manoscritti rifiutati e tutte le delusioni che qualsiasi scrittore conosce. Dico solo che ho pensato più volte di lasciar perdere, ma non l’ho fatto. E alla fine la determinazione è stata premiata con un colpo di fortuna. Piemme ha letto la sinossi e le prime quaranta cartelle di Cuore di Ferro, e l’ha acquistato sulla fiducia, prima ancora che finissi di scriverlo. Sono consapevole che poteva anche non succedere e sono felice che sia successo. Poi il libro ha venduto bene, io mi ero affezionato ai personaggi ed ero riluttante a lasciarli andare troppo presto, così abbiamo pensato di farne una trilogia. E il secondo volume, I discepoli del fuoco, è arrivato in finale all’Azzeccagarbugli.

Cosa stai leggendo? C’è un libro che ti ha molto colpito recentemente?

Sto leggendo “La biblioteca dei morti” di Glenn Cooper. Mi ha colpito l’idea di abbinare il romanzo storico (con i monaci nel 700 dopo Cristo), il thriller classico americano (con il serial killer e l’FBI), e il paranormale (con l’area 51 e quello che ne consegue). Poteva venirne fuori una porcheria, invece è un bel romanzo.

sergio paoli

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