Amanda Craig -Un castello di carte.



Amanda Craig
Amanda Craig -Un castello di carte.
Astoria
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Nihil humanum a me alienum puto, Niente di ciò che è umano mi è estraneo. Questa frase latina di Terenzio era il motto dei genitori dell’autrice di Un castello di carte, ed è certamente la chiave di lettura del libro. La vicenda gravita intorno al ritrovamento di un cadavere in uno stagno londinese, in una rigida notte d’inverno. Intorno a questo omicidio si muovono le vite dei cinque protagonisti: Ian, giovane insegnante sudafricano in cerca di una realizzazione professionale, Job, clandestino che sfugge alla violenza politica in Zimbabwe e campa facendo più lavori, pagati in nero, Anna, ingenua adolescente arrivata dall’Ucraina piena di sogni e intrappolata in un giro di prostituzione, Katie, giornalista americana che fugge da una cocente delusione amorosa e Polly, avvocato che ha sacrificato la sua carriera a favore di marito (ormai ex) e figli, la quale convive ogni giorno con il dolore degli immigrati, che tutela e difende in tribunale, e la sofferenza del fallimento come madre. Il romanzo, però, trascende il genere per trasformarsi in una vibrante e coraggiosa denuncia dell’attuale sistema economico, delle disuguaglianze inique che reca con sé, della caduta di ogni valore di solidarietà e rispetto in nome del denaro e del successo. Lo fa senza nessuna concessione alla retorica, con lo show, don’t tell di cui la letteratura anglofona è maestra: basta mostrare come avviene una lezione in una scuola pubblica della periferia londinese o il brulicare di malati gestiti da un personale sanitario ridotto ai minimi termini di un ospedale pubblico per rendersi conto dello sfascio a cui neppure la gloriosa Gran Bretagna è riuscita a sottrarsi. Polly è un’avvocato, come il fidanzato rumeno della sua baby sitter, solo che lei può esercitare la professione, mentre lui è costretto a vivere facendo le pulizie. Le contraddizioni che dilaniano la società europea sono tutte presenti nel romanzo, dai cittadini di basso reddito che detestano i migranti neri e polacchi perché accettano di lavorare troppo e in nero, e sono convinti che rubino loro il lavoro, ai ragazzi migranti che a scuola vengono bullizzati da altri migranti come loro, in una spirale di violenza inutile e autolesionista. Eppure, brilla sempre nei nostri protagonisti quel barlume di speranza, di fiducia nell’umanità che consente loro di mantenere intatta la propria dignità anche nelle circostanze apparentemente più aberranti. Non a caso uno di loro, il clandestino Job, ama profondamente Dickens, l’autore che più di tutti ha denunciato le disuguaglianze sociali del sistema produttivo inglese, prendendo le parti degli emarginati. E non a caso la scuola, che pure non è immune dalla discriminazione, viene vista come l’unica possibilità di integrazione, così come la cultura che essa trasmette viene considerata una possibilità di riscatto e redenzione.
Questa varia umanità che affolla le pagine del libro vive sulla propria pelle la condanna di essere migrante, o povero, o donna, o idealista. Eppure, l’autrice non permette loro di scivolare nella disperazione: se la Craig non crede alla possibilità di rovesciare questo spietato sistema economico, crede però alla generosità, alla compassione, a quella fiammella di umanità che continua ad abitare nel cuore degli uomini. Un libro che merita di essere letto, Un castello di carte, per ammonirci e per rincuorarci.

Donatella Brusati

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