Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane – Massimo Carlotto



Massimo Carlotto
Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane
E/O
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C’è una sfumatura amara che permea l’intera vicenda raccontata in “Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane”, romanzo della serie dell’Alligatore, cioè del personaggio che riesce a far emergere al meglio le notevoli qualità di narratore noir di Massimo Carlotto. Un’amarezza diffusa che ormai da qualche libro accompagna come un’ombra particolarmente cupa Marco Buratti, che ancora una volta si trova alle prese con un altro personaggio seriale di Carlotto, quel Giorgio Pellegrini che da “Arrivederci Amore ciao” imperversa tra il marcio che si annida nel Nord Est e non soltanto.
L’Alligatore e la sua nemesi sono le due facce dei tardi anni di piombo, lo Yin e lo Yang delle utopie che portarono alla lotta armata. Oggi, manco a dirlo, quello che si trova più a sua agio nel mondo è Pellegrini, il sadico criminale, quello che ha tradito, mentre Buratti, quello che finisce in carcere senza una vera colpa, è drammaticamente fuori posto ovunque, nel Veneto degli affari sporchi e delle bande che camminano a braccetto con la politica e un po’ in tutta quest’Europa che i criminali hanno uniformato ben prima delle istituzioni. E al pari del suo senso della giustizia (molto lontana da quella che si somministra nei tribunali), sono residui di un passato che lentamente evapora la rigida morale da vecchio bandito di Rossini e l’intermittente afflato politico di Max la Memoria.
L’intera vicenda prende il via da Padova, dove la moglie e l’amante di Pellegrini sono state torturate e uccise. A incaricare l’Alligatore delle indagini sarà il commissario Campagna, altro personaggio abituale se pure secondario, ma dietro c’è molto di più, una spietata vicequestore desiderosa di far carriera e un’operazione su scala continentale in cui è coinvolto Pellegrini, come sempre disposto a tutto pur di salvare la pelle.
Per riuscire a risolvere il caso e uscirne vivi Buratti e soci dovranno spostarsi in una Vienna fredda e nebbiosa. Per un Alligatore stanco e sempre più disilluso è un’altra occasione per mettere alla prova la tenuta dei suoi principi, affogando la malinconia nel calvados e accompagnando l’esistenza con il blues, in questo caso esclusivamente al femminile.
Ormai corpi estranei in un mondo criminale dove i cuori fuorilegge non hanno cittadinanza, più violenti e spietati del solito, Alligatore e soci combatteranno per restare vivi e fuori di galera. Con Buratti che trova il tempo e la voglia di innamorarsi ancora una volta, di una “vecchia puttana” di quella che piacciono a lui, belle, all’apparenza ciniche invece soltanto ferite.
Il risultato è come sempre una ballata, o meglio, un blues, sofferto e sofferente quindi bellissimo. Carlotto riesce come nei momenti migliori a scavare a fondo nel marcio della società, a evidenziare le cicatrici che sfigurano il corpo delle nostre democrazie, nel (vano?) tentativo di metterci in guardia, di farci guardare oltre all’apparente normalità che ci circonda. E lo fa con la semplicità del noir migliore, che non necessita di artifizi linguistici e con il disincanto ferito di chi sa che (probabilmente?) è tutto inutile.

Mauro Zola

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