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Stoccolma: una giovanissima schiava del sesso lituana, ricoverata in ospedale per le sevizie del protettore, si barrica nell’obitorio con cinque ostaggi, decisa a mettere in atto una terribile vendetta contro l’insospettabile poliziotto che l’ha costretta alla prostituzione. Nel medesimo ospedale, un’infermiera assiste all’omicidio del fratello tossicodipendente e, dopo molti indugi, si lascia convincere a denunciare l’assassino. Ciascuno dei due poliziotti incaricati di seguire i casi ha un pesante coinvolgimento personale e lotta con la propria coscienza per fare ciò che è giusto.
Un giallo tipicamente svedese, cioè cupo e verboso, dove l’azione è relegata in secondo piano rispetto ai rovelli interiori di personaggi piuttosto sgradevoli ed inconsistenti.

Ad appesantire il tutto, la persistente sensazione che il thriller sia solo un pretesto degli autori – un giornalista e un ex tossico, che forse non è una qualifica, ma fa molto “true crime” – dietro cui mascherare un crudo romanzo di denuncia sociale. Peccato che la loro idea di romanzo di denuncia stia tutta nella descrizione del drogato che si gratta a sangue la crosta sul naso e nell’interminabile elenco delle sevizie inferte alla povera protagonista da clienti variamente pervertiti. Animati da queste virtuose intenzioni, ci vanno giù decisamente pesante con descrizioni minuziose e reiterate, al limite del morboso, in un modo che finisce per nuocere al ritmo – già piuttosto lasco – della storia.

La realtà è che non se ne può più di questi svedesi: ma come è possibile che, in un giallo di circa 430 pagine, l’azione si esaurisca a pagina 200, e che per tutto il resto del libro ci si debba sorbire le interminabili seghe mentali dei due poliziotti?
Dulcis in fundo, nelle ultime pagine, questi bei campioni di introspezione assistono senza muovere un dito, nonostante la flagranza, ad una seconda infornata di minorenni da parte del magnaccia, con buona pace delle procedure di polizia e soprattutto della credibilità, sacrificata all’esigenza di esibire una nuova sequela di sevizie, forse con l’intenzione di ravvivare l’indignazione dei lettori, a quel punto però sfiniti più dalla noia che dal disgusto.

donatella capizzi

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