Bruno Morchio – Le sigarette del manager



Bruno Morchio
Bruno Morchio
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Dopo una telefonata con richiesta di aiuto, Bacci Pagano, il detective dei carruggi, sfida il meteo di una capricciosa primavera che minaccia pioggia, sale sulla Vespa e si mette in strada. Sono passati otto mesi dal crollo del ponte Morandi, che ha fatto 43 morti, e quella non è una strada qualunque perché passa proprio sotto il monumentale troncone, triste e muto testimone dell’umana incuria. È la strada che porta in Val Polcevera e, invasa dalle pozzanghere, corre di fianco alle acqua impetuose del torrente. Di là Bacci imbocca via San Biagio, che si arrampica sulla collina alle spalle dell’IperCoop e del centro commerciale e, approfittando della panoramica dello scenario, osserva incuriosito, già conscio della negatività di ciò che vede, le ferite inferte negli ultimi trent’anni alla valle: sono pochi gli stabilimenti ancora in funzione e gli scheletrici fossili dei gusci industriali testimoni d’un operoso passato offrono uno scarno paesaggio da archeologia industriale. Una periferia quasi irriconoscibile, torpida, immersa in un ignorante, complice sopore e con i sensi annacquati dalle colorate offerte dalle multinazionali. Poi la lottizzazione fatta di decorose villette a schiera, sovrastata da verdi e boscose colline dominate dai forti di Begato e del Fratello Minore. La sua cliente, Donatella Sampò, madre di un ragazzino di tredici anni e moglie di Oreste Mari un imprenditore scomparso sei mesi prima e sotto accusa per bancarotta fraudolenta, che abita in una delle villette, gli apre la porta. Descrive la sparizione del marito quasi come un classico spunto da barzelletta: una sera alle sette, Oreste Mari lasciando borsa e telefonino all’ingresso è uscito di casa dichiarando di essere rimasto senza sigarette. Non è più tornato. E nessuno, secondo lei, né fisco, né polizia lo sta veramente cercando. Oreste Mari, nato in una famiglia di operai, ha studiato con profitto diplomandosi perito industriale al Galileo Galilei di Piazza Sopranis. In seguito, mettendo a frutto la sua indiscutibile competenza informatica, ha fatto strada lavorando prima per una multinazionale americana, poi si è messo in proprio e infine si è dileguato lasciando mucchi di insolvenze dietro di sé. Insomma un personaggio ambiguo o almeno pare ma chi è mai Oreste Mari che i dipendenti credevano un ingegnere e invece un ingegnere non era? Era un manager che non ha veramente saputo gestirsi da manager? Chi è o cosa è in realtà Mari, l’uomo sulle cui tracce dovrà muoversi Bacci Pagano, inseguendo il sentore di fumo delle sue tante sigarette e pressato da una specie di assillante curiosità che lo ha spinto ad accollarsi un incarico fantasma che sarà pagato solo se una fine ci sarà? Le tracce portano a un’unica conclusione: con il suo lavoro Mari, inseguendo il mito dei soldi, ha finito per mettere la propria genialità al servizio della speculazione finanziaria e della peggiore criminalità, la mafia dell’ortofrutta che controlla il largo giro dei magrebini. Ha provocato lutti e ha finito con fare il male della sua gente che avrebbe dovuto proteggere. Pian piano involontariamente Mari si è trasformato in un predatore dei beni e delle vite dei suoi simili. Unica possibile salvifica chance, per espiare i danni fatti, il viscerale legame con la valle e la sua gente. Sarà giusto ritrovarlo? E poi Bacci, che per parte sua, mentre deve abituarsi all’idea dell’azzardata e prematura scelta di associarsi con Essam, il fidanzato di Aglaja, sua figlia, troverà nella zona più disastrata della val Polcevera, quella la diga del quartiere Diamante, la chance di un nuovo amore in Giulia. Una nuova e coraggiosa compagna, una combattiva maestra elementare con l’aspetto e i modi d’una guerrigliera. Con Le sigarette del manager, Bruno Morchio offre una diversa visibilità a uno dei luoghi più tormentati della sua terra, la val Polcevera, ferita gravemente dalla tragica caduta del ponte e martoriata dal susseguirsi di eventi climatici. E si serve di Bacci Pagano, il suo personaggio cult, quasi un alter ego per gridare a gran voce le sue spregiudicate e scomode critiche ai suoi “nemici”, quella nuova genia umana fatta di collusione malavitosa con gli uomini d’oro della ndrangheta che spadroneggia nelle vite e negli umani affetti e interessi. Ma sarebbe mai possibile poi riuscire a scoprire le loro carte e metterli con le spalle al muro? Morchio per bocca di Bacci non sa fornirci una vera risposta e temo che non sarebbe in grado di farlo. Ci offre tuttavia una precisa critica ai giochi dell’apparato politico e sociale: mostruoso e ingordo moloch che sbrana ogni cosa che riesce ad azzannare. A conti fatti poi, pratico e viscido scaricabarile per non volersi assumere scomode e impegnative responsabilità decisionali. Una sporca catena di non so, non vedo, non posso, incapaci di guidare l’evoluzione umana al di fuori dei binari di una crescita/espansione incontrollabile e indiscriminata alle spalle di un pianeta che fa acqua da tutte le parti e comincia a perdere colpi, mostrando i propri limiti. Possiamo valutare con distacco i possibili messaggi che Morchio inserisce nel suo “Le sigarette del manager”. Messaggi umani, sociali e ambientali. Ma , tirate le somme, quelli che contano di più parlano delle persone: orgogliose e convinte bandiere di verità. Persone che non si limitano a pensare al passato e a quanto di buono e cattivo possa aver offerto, ma continuano a voler bucare il futuro con salvifica testardaggine, nella convinzione di poterlo riformare. La mai sopita malinconica nostalgia di una città piagata nel profondo che cerca di risollevarsi e di riconoscersi affrontando nuovi orizzonti e nuove possibili identità.

Patrizia Debicke

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