Diane Setterfield – C’era una volta il fiume



Diane Setterfield
Diane Setterfield
Mondadori
Compralo su Compralo su Amazon

Allo Swan, una locanda tranquilla sulle sponde del Tamigi a Radcot, in una serata come tante, ci sono i clienti abituali raccolti nella sala d’inverno. Proprio quella sera la porta si spalanca, l’odore del fiume d’inverno invade il locale, tutti si voltano e a stento comprendono ciò che sta accadendo: sulla soglia compare un uomo gravemente ferito, “alto e robusto, il viso ripugnante, il naso storto e schiacciato”, la sua presenza getta agitazione e allarme negli avventori del locale. Ma l’uomo non è solo. “Quella terribile creatura teneva tra le braccia un pupazzo con il viso e gli arti di cera, e i capelli dipinti”. Tuttavia presto si accorgeranno che non si tratta di una bambola, ma di una bambina in carne ed ossa, il cui cuore ormai ha cessato di battere. Rita, l’infermiera che gode della fiducia di tutti presterà le prime cure a quello che si scoprirà essere Henry Daunt, un fotografo; e constaterà la morte della bambina, e allo stesso tempo il suo rinvenimento. Una bambina morta e resuscitata. E se è vero che allo Swan le persone ci vanno per la sua specialità: raccontare e ascoltare storie, allora la storia della bambina impiegherà poco tempo a fare il giro dei villaggi vicini e arrivare alle orecchie di chi negli ultimi tempi ha subito una perdita inconsolabile. Ispirato alla figura di Henry Taunt, un fotografo inglese che viveva in una casa galleggiante dotata di camera oscura e che nel corso della vita scattò 53 mila fotografie usando il procedimento al collodio umido, Henry Daunt dovrà spiegare la sua relazione con la bambina, è sua figlia? E che cosa è accaduto alla sua imbarcazione? È stato un incidente o stavano fuggendo da qualcuno?
“Un fiume non nasce alla sorgente” – dice Diane Setterfield – “così come una storia non inizia con la prima pagina. La sorgente del Tamigi non è il punto in cui inizia il fiume – o meglio, soltanto a noi sembra che inizi lì. Potremmo, nell’ora tranquilla che precede l’alba, lasciare questo fiume e questa lunga notte e seguire a ritroso il percorso degli affluenti, per vedere non le loro sorgenti – cose misteriose e insondabili – ma, più semplicemente, che cosa stavano facendo ieri”. “C’era una volta un fiume” è una favola moderna, in cui i protagonisti fuggono da un passato terribile che ha determinato un presente doloroso creando un vuoto nella propria visione del futuro. Quando la storia della bambina, che non parla e guarda ossessivamente il fiume in un’unica direzione, quasi si aspettasse di veder comparire qualcuno, fa il giro dei villaggi, tre pretendenti si faranno avanti e reclameranno la piccola. Tre famiglie molto diverse fra loro: i Vaughan, una famiglia benestante; gli Armstrong e la loro storia di riscatto; e Lily White, la domestica del pastore che vive sull’altra sponda del fiume. C’è anche un’ombra, che si nasconde fra gli alberi, vicino alle sponde del fiume, che osserva ogni cosa in attesa di fare la propria mossa. Proprio come gli affluenti del Tamigi, il Leach, il Churn e il Coln “seguono percorsi separati prima di immettersi” nel fiume “e ingrossare le sue acque, anche i Vaughan, gli Armstrong e Lily White erano stati protagonisti di vicende diverse prima di confluire in questa storia”. Scoprire l’identità della bambina e a chi appartiene, perché non può essere di tutti, non sarà cosa di poco conto. La scrittura di Setterfield sarà scivolosa, tumultuosa e imperturbabile e proprio quando starà per accadere qualcosa, il corso della storia prenderà una piega inaspettata.
“Un fiume su una carta geografica è una cosa semplice”, dice l’autrice inglese, ma la favola noir che Setterfield racconta, accoglie quell’aspetto della vita umana inspiegabile, esattamente come le acque del fiume accolgono e restituiscono alle volte, le vite umane. L’impossibile, suggestionato dal desiderio e dallo sguardo che indaga una certa verità, diventa possibile. Diane Setterfield subalternerà dimensioni e microcosmi adatti a creare quelle atmosfere sinistre lungo il Tamigi, che “irriga non solo il paesaggio ma anche l’immaginazione”.

Paola Zoppi

Potrebbero interessarti anche...