Che fine ha fatto Sandra Poggi? Davide Pappalardo



Davide Pappalardo
Che fine ha fatto Sandra Poggi? Davide Pappalardo
Pendragon
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Si stava meglio quando…
Sarà un caso o forse no, ma sempre più spesso sento persone di una certa età che elogiano i bei tempi andati. Se ci si lascia incantare, sembra che lo zucchero fosse più dolce e il pane più caldo quando usciva dal forno.
Certo, un po’ di malinconia è ammessa quando ci si ricorda quando si era giovani e forti ma, parere personale, in questa operazione di ripitturare il passato di colori più vivaci e sgargianti, non ci vedo nulla di buono. La nostalgia è lo scudo dietro a cui si nasconde chi ormai è stato sconfitto, infatti se avete la pazienza di ascoltarli arriva sempre quella rabbia annacquata contro chiunque perché quello in cui viviamo è un brutto presente oppure c’è troppo mese alla fine dei soldi. Pensate all’arte, sembra sia iniziata un’epoca in cui non ha più concetti e passioni da esprimere, non è in grado di essere rivoluzione ma soltanto plagio.
E poi, siamo sinceri, mica erano davvero così belli i giorni prima di ieri, quante volte il C’era una volta è l’inizio di una grande ingiustizia?
Che fine ha fatto Sandra Poggi? Di Davide Pappalardo è un istrionico romanzo ambientato nel ’73 tra Milano, Bologna e Venezia. Con un’anima divisa tra l’amore per la sua Sicilia e la capacità di sopravvivere a Milano, Libero Russo è il protagonista che dal suo ufficio nel quartiere Isola parte alla ricerca dell’enigmatica Sandra. Il tono scanzonato e il ritmo incalzante potrebbero trarre in inganno alcuni lettori, convinti di trovarsi alle prese con il solito romanzetto “leggero leggero”. Gli stessi che non arriverebbero a capire quanto erano oscure le ombre dell’Italia del tempo. In rigoroso ordine sparso nella storia non mancano prostitute, poliziotti corrotti, personaggi ambigui, uomini d’affari leciti e illeciti, movimenti fascisti e medici collusi tutti persi in un gioco di specchi in cui le identità si dissolvono.
Il merito dell’autore è stato quello di riportare in vita gli anni ’70, il punto di forza è lo stile della narrazione, la velocità con cui si legge è direttamente proporzionato alle capacità narrative di Davide Pappalardo, uno chef in grado di cucinare una ricetta in cui lo zucchero non è affatto più dolce, né il pane più caldo.
Perché nei ’70 l’Italia non era affatto candida e spensierata. Le idee divennero piombo e viaggiavano ad altezza uomo e il nero delle camicie colorava gli affari di stato.

Mirko Giacchetti

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