Città a mano armata



Antonio Del Greco, Massimo Lugli
Città a mano armata
Newton Compton
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Recita all’inizio della sua introduzione Carlo Bonini, inviato di Repubblica e noto esponente del giornalismo investigativo italiano: «Metti insieme uno Sbirro e un Cronista con le maiuscole, e trovi un pezzo del Paese e di Roma che non ci sono più. Persino nella lingua, nel dialetto tronco e spiccio che accomuna “guardie”, ladri e “giornalai”. Sì, un tempo andato. E non per limiti di età, che pure, un giorno, hanno costretto l’uno e l’altro a salutare una Questura e la redazione di un quotidiano, salvo convincerli che non era ancora arrivato il tempo dei “giardinetti”.
Ma perché Antonio Del Greco e Massimo Lugli hanno vissuto il loro mestiere con la passione divorante – e oggi rara – di chi non ha mai smesso di guardare il mondo, la sua umanità – in questo caso, dolente, sguaiata, violenta, grottesca – con la curiosità rinnovata di chi, in fondo, non si rassegna al cinismo….» Dalla collaborazione tra i due nasce “Città a mano armata”, in cui, con la veste di romanzo ma la documentazione di un saggio, rievocano fatti e fattacci di nera che hanno segnato e continuano a ferire Roma e l’Italia intera.
Una storia romanzata in cui si ricostruisce il backstage di tante inchieste di polizia e il continuo evolversi delle tecniche inquisitive. Una carrellata di indagini che coprendo un arco temporale che va dai primi anni Ottanta fino ai giorni nostri, narra di tanti casi importanti e misconosciuti della storia criminale italiana dagli anni Ottanta ai nostri giorni. Un libro sfizioso e intrigante, spesso quanto e più di un giallo, scritto e firmato a quattro mani dall’ ex alto dirigente della polizia italiana Antonio Del Greco, oggi sessantaquattrenne giovane pensionato che dirige l’Italpol, uno dei più importanti istituti di vigilanza italiana e dal giornalista di ‘nera’, per anni firma privilegiata di Repubblica e scrittore di fama, Massimo Lugli. E con Città a mano armata ci regalano l’occasione di approfittare della loro grande esperienza in materia per conoscere come funziona un’indagine, di seguirne lo sviluppo, sia su strada che negli uffici dei commissariati di polizia oppure se condotta dai reparti speciali. In modo spiccio e brillante ci raccontano “dall’interno” inchieste più o meno note su fenomeni criminali romani e non, rivelandoci i retroscena dalle sanguinose scorribande di Giuseppe Mastini agli atroci delitti della Banda della Magliana, dalle tante truffe alle guerre tra gang italiane e internazionali per il controllo del territorio. Una vivace narrazione in prima persona che, proiettando il lettore dentro le inchieste, gli permette di vivere gli imprevisti, i colpi di fortuna, le situazioni paradossali che spesso si vengono a creare, rimettendo tutto in discussione. Un libro poliziesco con sequenza di capitoli che scorrono come un film. Ma che invece di essere fiction è pura realtà: nuda e cruda. Si dice che le cose accadano solo a quegli uomini che sono in grado di raccontarle. E Antonio Del Greco e Massimo Lugli sono tra questi. Perché nelle storie che ricordano i giorni di Johnny lo Zingaro, piuttosto che quelli di via Poma o del Canaro della Magliana – solo per citare alcune di quelle, leggerete – non c’è la semplice rievocazione di fatti di sangue che hanno tracciato quarant’anni di cronaca criminale. C’è l’attenzione ai dettagli, al linguaggio (prezioso quanto una reliquia il “glossario” in appendice del libro) e al contesto in cui ciascuna di quelle storie si è rivelata. Sembra infatti di riviverle quelle notti in Questura. Con il loro carico di faccia tosta, machismo, metodi spicci, che da sempre distinguono i “mobilieri”, i poliziotti nati e cresciuti nelle squadre mobili, dai loro colleghi delle digos. Sembra di entrare nella stanza del bordello di Porta Maggiore, quando Del Greco e i suoi uomini interrompono il sacerdote impegnato in un appassionato apostolato erotico con una giovane prostituta per poi consegnarlo nudo nel suo imbarazzo al gergo della sezione Buoncostume con il caustico e insieme ammirato soprannome di “don Cefalo”. E sembra di essere seduto accanto a Pietro De Negri in una stanza della sezione Omicidi di San Vitale, quando lui, il Canaro della Magliana, abbocca alla provocazione di Del Greco e confessa l’orrore del tremendo omicidio del pugile che lo perseguitava da anni, commesso dietro la serranda del suo negozio di toeletta per cani. Come in certi polizieschi all’italiana degli anni Settanta-Ottanta, ci sono le “sgommate” delle Alfette, i calibro 9 para bellum, le puttane, i magnaccia, i “sòla”, le “paranze”. In un proscenio cui fa da quinta una gloriosa sfilza di dirigenti della Questura di Roma che hanno scritto un pezzo della storia della polizia italiana: Rino Monaco, Nicola Cavaliere, Rodolfo Ronconi, Nicola Calipari, Nicolò D’Angelo. Tutti raccontati nei loro tratti più veri, perché ripuliti di ogni insincera retorica. E consegnati al lettore per quello che sono stati davvero agli occhi dei poliziotti che con loro hanno lavorato e dei giornalisti che li hanno visti e conosciuti nel loro mestiere. Si potrebbe rimproverare allo “sbirro” e al “giornalaio” che in questo ritratto di interni ci sia un tratto di autocompiacimento, di nostalgia conservatrice. Di retorica al contrario. Ma, a ben vedere, il loro racconto è invece e soltanto una prova di grande sincerità e onestà intellettuale. Perché la Questura di Roma e Roma sono state esattamente così come li troverete leggendo le pagine di questo libro. Non fosse altro perché tutte le storie, a maggior ragione le grandi storie di cronaca, sono spesso figlie di un istante in cui gli uomini, guardie o ladri che siano, si rivelano in una debolezza o in un’intuizione. E che i loro destini, le loro carriere, possano salire o scendere magari per un dettaglio. Che troppo spesso è figlio del caso.

Patrizia Debicke

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