Come un uccello in volo



fariba vafi
Come un uccello in volo
ponte33
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Quasi imperturbabile la sequenza episodica di questo romanzo in cui una sposa iraniana attende di raccontare stralci della propria permanenza domestica rimasta senza volto.

L’attesa è l’umore che precede e segue alle parole, un respiro non troppo sommesso che coglie l’anima di voli svelati e dichiarati sempre più come fuga. Tra loro si aggirano detti tramandati in famiglia e incombe lo spirito inquieto e distante di Amir, marito che giudica e non trova pace inseguendo quell’uccello migratore di cui recita sempre la tradizione.

Volo spezzato è poi il capriccio di Shadi e Shahin, i piccoli che non sanno leggere oltre le pareti di casa e gli sguardi chiusi di due genitori che, per colpa di mezzi deboli e nature in conflitto, sembrano aver disperso le proprie orme col tempo e l’usura di una quotidianità insoddisfacente.

Non servono altre presentazioni, né identità politiche che mascherino la fierezza. Non esiste la minaccia esplicita di una teocrazia perché queste vite escano ugualmente impregnate di impotenza e mutismo. Amir osserva da lontano la sua giovane moglie dalla carne florida e di lei, che non ha nome proprio, avverte un bisogno inconfessato. È cieco di fronte alla fiducia che gli viene continuamente dimostrata e che una giovane donna conforme alle buone regole non dovrebbe neppure osare verso se stessa. Riconoscere l’orgoglio è invece un’armatura non concessa che la salva dal ricordo di un passato ingiusto e un padre morto piano come un bambino.

La sposa non fa mistero dell’instabilità che la opprime, si tiene strette le memorie quando a far da protagonista è zia Mahbub, più invadente e amata di chiunque altro. Certo più nitida della cantina delle punizioni dove la madre-moglie-bambina finiva senza ragione e a cui ora prova a concedere una pacificazione ritornandovi.

Fariba Vafi muove le radici di un alter ego silente avvicinato con rispetto e ferito dal chinare il capo alla rassegnazione. La sposa senza nome sembra evocare l’inconciliabilità geometrica dello sguardo occidentale con un paese che varca la soglia grazie ai saperi e agli odori che mai muoiono. Le visioni di un animo femminile inaspettatamente tenace premono per trovare il coraggio di scrollarsi di dosso tutto l’inferno, ascoltano l’esperienza e fissano negli occhi le proprie creature con l’eco delle disillusioni da respingere.

Il rito monotono è allora presto affossato da una danza in cui i capelli vengono scossi vergognosamente e tutti stanno a guardare. Un urlo senza altri destinatari che non l’annullamento delle colpe cosiddette originarie e l’abbandono dell’immobilità. Come un uccello in volo è davvero tra le versioni più grate a ogni manifesto femminile capace di esaltare parole violate.

giulia valsecchi

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