Curriculum atipico

Il disagio di una generazione, quella di noi trentenni d’oggi, ce l’hanno raccontato (e prevedo continueranno a farlo ancora a lungo) in moltissimi libri. Come se non avessimo la più pallida idea di come gira il mondo d’oggi, come se nessuno di noi passasse sotto le forche caudine degli stage che non finiscono mai, o non rimanessimo invischiati nel girone dantesco dei contratti di lavoro traballanti. Anche il recente “Curriculum atipico” di Fabrizio Buratto potrebbe essere uno di questi tanti libri incolore che ti scivola addosso pretendendo di raccontarti chi sei visto che (altro cliché appioppato a noi trentenni) noi vivremmo in perenne crisi d’identità…
Il libro in questione, per fortuna, si smarca da questi luoghi comuni. Innanzi tutto perché non ci vuole insegnare nulla (e già questo è un gran merito), poi perché l’autore ci racconta la sua esperienza di precario in una maniera originale, ossia impostando il romanzo (o forse il diario?) come un e vero e proprio curriculum vitae. La scelta è azzeccata e il libro si rivela spesso divertente. Una specie di viaggio picaresco che il protagonista compie partendo da Alessandria fino ad approdare alla TV, al programma Markette su La7 condotto da Piero Chiambretti. Passando attraverso lavori atipici: “dal co.co.co, al co.co.pro, al cu.curu.cu.cu.paloma fino al contratto a progetto”.

Un curriculum in cui le varie voci (nome, cognome, data di nascita…) non rimangono dati asettici in fila, ma vengono dispiegate e prendono vita insieme a quelle altre voci che non compaiono normalmente nel curriculum (un incontro, un episodio, una giornata), pur essendo fondamentali alla conoscenza di una persona. Un diario di una generazione di trentenni sempre in bilico fra il voler fare e l’effettiva possibilità materiale di realizzare tale volontà.
Con questa forma letteraria ibrida, intrisa di un’amara ironia, Buratto ci racconta una generazione che si sente ingannata a vari livelli: la prima generazione del dopoguerra ad avere una prospettiva di futuro molto meno rosea di quella dei suoi genitori. Lo fa senza mai prendersi troppo sul serio, qualità che deve aver scritta nel dna, vista anche la scelta di dedicare la propria tesi di laurea al ragioniere Ugo Fantozzi. Fra le altre cose, nel libro sono descritti una serie di “inseguimenti” proprio per intervistare Paolo Villaggio, quasi tutti senza successo.

“[Egregio Signor Villaggio ndr]” scrive Buratto in un passaggio “non me ne voglia, ma alle domande che avrei voluto farle ha risposto con la sua persona e, lungi dal provare nei suoi confronti i sentimenti di Fantozzi, che scrive di odiarla con tutto il cuore, preferisco comunque Fantozzi a lei perché mi fa ridere ed è felice nonostante tutto”.

paolo roversi per Stilos

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