Donne Noir: Flavia Perina

downloadUn ragazzo ucciso dopo essere stato fermato da una pattuglia. Un giorno che poteva essere qualunque si trasforma nella data che Flaminia Orsi non dimenticherà più. Per lei, ex militante di estrema destra, ormai quasi 60 enne benestante borghese, il giorno dell’uccisione di Carlo Livi, suo figlio 17enne, è un momento di caos e di odio. Odio per chi ha tolto la vita a suo figlio, odio perché da subito le appare chiaro che non si è trattato di una fatalità, odio perché è certa che non avrà alcuna giustizia.
Lei, la madre, la moglie senza grilli per la testa (o almeno questo è ciò che sperava il marito quando l’ha sposata), dopo la disperazione sente crescere un moto di ribellione. Lei vuole sapere ciò che è accaduto quando i poliziotti hanno incontrato il suo giovane giocatore di rugby. Vuole la verità. Non le importa dell’esito delle indagini, non crede nella giustizia da tribunale. Ha visto tante storie come questa in passato e sa che spariranno le prove, si aspetterà che la pubblica opinione si distragga e piano piano si lascerà cadere nel dimenticatoio quella morte.
Nel libro di Flavia Perina Le Lupe (Baldini&Castoldi) il ragazzo morto è Carlo Livi, ma ciascuno potrebbe leggerci la storia di Federico Aldovrandi, o di Stefano Cucchi o di Gabriele Sandri. Poco importa del nome e del luogo, si tratta dell’ingiustizia e del mistero che avvolge questi casi, delle autorità coinvolte come imputati. È questo che sconvolge e che rende questo romanzo un noir così inquietante. Nessun finale rassicurante con il detective che risolve il caso, Flaminia Orsi non crede nel lieto e vuole vendetta per il letto vuoto, per quel sorriso che non vedrà più, per la voragine in cui è stata risucchiata.
Un personaggio del genere non poteva che attirare l’attenzione di questa rubrica. Una madre di 58 anni con il suo giro di perle al collo che decide di voler scoprire chi ha ucciso il figlio e di fargliela pagare. Decisamente non si tratta di una protagonista ordinaria che si fa determinare dagli uomini intorno a lei. Non è una che aspetta che le venga data una direzione, almeno non lo è più.

Flaminia Orsi potrebbe essere reale, così come Carlo. È questo l’aspetto peggiore del suo racconto…
È una storia che ha molti agganci con la realtà, con tanti meccanismi della vita, non è una storia di fantasia. Giovani ragazzi uccisi in circostanza simili a quelle del libro ne abbiamo conosciuti tanti. E abbiamo incontrato anche le loro madri che spesso, loro malgrado, sono diventate personaggi pubblici. Ho voluto raccontare il desiderio di giustizia legato a tragedie così grandi. Venendo da 30 anni di giornalismo ho scelto di scrivere di qualcosa che conoscevo bene dai casi di cronaca.

Cos’è la vendetta?
Questo è stato il mio primo romanzo. Tra le tante molle narrative che possono animare una storia secondo me quello della vendetta è uno dei più forti, più potenti. La vendetta attraversa in maniera differente la vita di ognuno di noi. A chiunque è capitato di sentirsi vittima di una grave ingiustizia e quindi mi interessava questo meccanismo narrativo. Da ragazza sono stata un’appassionata lettrice del Conte di Montecristo, il più grande racconto di vendetta mai scritto.

Sì, ma cosa potrebbe spingere lei a vendicarsi?
Ho scelto un tema drammatico come la morte di un figlio perché credo che sia la sola cosa che possa spingere una donna a nutrire sentimenti di vendetta. Le donne sono vendicative nelle piccole cose, ma non nelle grandi. L’uccisione di un figlio alimenta degli istinti di vendetta forti anche in donne che solitamente non ne hanno di così potenti.

Le donne del suo romanzo sono unite, leali, difendono loro stesse e i loro cari, mentre gli uomini sono corrotti, uccidono innocenti e sono negativi. Perché?
Dovevo decidere da che punto di vista guardare questa storia e ho deciso di adottare lo sguardo delle donne. Non a caso il libro si intitola Le Lupe, non c’è una singola protagonista ma sono diverse. Le protagoniste sono il circolo delle amiche di Flaminia. In qualche modo questo rispecchia una dinamica del reale, quando ad una donna accade qualcosa di terribile di solito telefona alle amiche. In questo senso non è stata una costruzione di fiction, bensì un’osservazione del reale. Una dinamica abbastanza normale. Non mi sono posta molte altre domande.

Sì, ma anche nei componenti della famiglia c’è questo elemento. Il marito è un traditore, maniaco del controllo che vuole una moglie “senza grilli per la testa”.
Non mi sono tanto soffermata sul portare il lettore a empatizzare con un genere piuttosto che con l’altro. Non mi piace la letteratura con un intento moralistico o precostituito. Ho scritto una storia e l’ho fatto per come la vedevo svolgersi davanti ai miei occhi. E poi l’ho lasciata al giudizio di chi legge. Ci sono figure più forti e più deboli.

Il suo è uno dei pochi romanzi veramente noir…
È un romanzo senza alcun intento edificante. Non si dividono i buoni dai cattivi, non c’è per forza l’happy ending ma neanche l’ingiustizia che trionfa sempre. Alla fine questa è una storia di persone che si ritrovano. Si sono ricostruiti delle esistenze più o meno borghesi, all’età di 50 anni si sono risistemati ma hanno un trascorso burrascoso. Era ovvio per me che non si potesse tirar fuori una morale con questi personaggi, ho lasciato che la storia corresse senza pormi il problema di lanciare un messaggio pedagogico.

Com’è essere un’autrice noir?
Non sono un’autrice di noir. Avevo un profondo desiderio di confrontarmi con la fiction dopo aver parlato di realtà per tanti anni. Non mi considero neanche una scrittrice. Vedremo se arriveranno altri libri e di che genere.

La donna ha trovato un suo spazio indipendente dagli uomini nei noir?
Nella letteratura e sceneggiatura classica le donne non erano così svantaggiate. Abbiamo degli esempi molto importanti di donne sia nella parte delle vittime che in quella dei carnefici. Penso al film di Billy Wilder con Marlene Dietrich Testimone d’accusa, un grandissimo noir imperniato sulle ambiguità di una donna diabolica. Penso al fumetto con Eva Kant, una delle figure più popolari degli anni ’70 tanto che dopo alcune sporadiche apparizioni è diventata un elemento fisso di Diabolik – la letteratura noir per ragazzi dell’epoca -. Adesso c’è una produzione molto più larga. Il genere noir sta incontrando una grandissima fortuna e quindi si sono moltiplicati i personaggi maschili oltre che quelli femminili. C’è un’altra considerazione da fare: nelle statistiche di vendita dei libri da qualche anno le donne sono costantemente in testa rispetto agli uomini, quindi il mondo dell’editoria ha cominciato ad interessarsi ai personaggi femminili forti.

Un’operazione di mercato quindi?
Il gran numero di figure femminili, anche tra le autrici, nel romanzo noir è legato a fattori di mercato e anche all’aumento globale della produzione noir, un genere che fino a 20 anni fa era una nicchia di mercato mentre adesso è un genere letterario fortissimo.

Non c’è e non c’è stato un problema di genere?
Non la vedo. Ho letto prevalentemente i noir americani anni ’40 e secondo me lì ci sono delle figure femminili molto forti. Talmente centrali da determinare le storie. Poi magari l’investigatore era un maschio, però il meccanismo narrativo in tanti casi era portato avanti da donne piene di segreti, molto misteriose e con piani di vendetta da compiere. Trovo uno stereotipo che questi siano considerati personaggi di serie B, perché in realtà sono queste figure a portare avanti la storia.

MilanoNera ringrazia Flavia Perina per la disponibilità

Eleonora Aragona

Potrebbero interessarti anche...