Federico Inverni . Il respiro del fuoco in BlogTour – 2 tappa

Invito_Inverni2_(1)-page-001[1]Prosegue il BlogTour de Il respiro del fuoco di Federico Inverni
 Dopo la prima tappa su http://contornidinoir.it/ ecco la seconda parte con un nuovo estratto del libro che sarà in libreria dal 23 Febbraio.
Continuate a seguire le tracce di questo autore misterioso.
Prossima tappa il 22 febbraio su
https://liberidiscrivereblog.wordpress.com/

 

Lucas era sdraiato sull’erba, la faccia rivolta verso l’unico angolo di cielo libero dalle spire di fumo che arrossavano quella notte senza luna, imbrattandola di morte. In piedi sopra di lui, disegnai con la mia ombra spigoli e solchi sul suo volto provato.
« Wayne » disse, senza spostare gli occhi, senza battere ciglia e quasi senza muovere le labbra, tanto che faticai a udirlo benché le mie orecchie avessero ormai quasi interamente riguadagnato funzionalità. « L’abbiamo persa » dissi. Piegai la schiena, posando le mani sulle ginocchia, e ripresi
fiato.
L’emicrania era pronta ad aggredirmi, la sentivo in agguato alla base del collo. Gradualmente, l’olfatto stava ricominciando a funzionare. L’odore pungente dei pini si mescolò al puzzo chimico di bruciato, che mi si era attaccato ai vestiti e all’epidermide. Mi lasciai andare sul terreno, accanto a Lucas. L’erba bagnata sotto la mia schiena mi fece rabbrividire un po’, ma in modo piacevole.
« Quanti… » « Uno » disse. « Chi? » « Hofner. Non ha fatto in tempo a uscire. Hamer è in ospedale, credo. » « No, no » mormorai, affranta e rabbiosa allo stesso tempo. « Sasha? » « Appena bruciacchiata, ma sta bene. »
Non credevo affatto che Sasha potesse stare bene, non dopo quello che era successo quella sera. Ma non lo dissi a Lucas. Sasha Grass era il medico legale in capo, probabilmente il migliore dello Stato. Lavorava tutti i giorni, e molte notti – notti che la tenevano lontana dalle figlie – a stretto contatto con la morte. Ma perdere uno dei tuoi è una cosa diversa.
Jem Hofner era un veterano, prossimo alla pensione. Taciturno e riservato, se ne stava sulle sue. Sasha mi aveva detto che nei dieci anni che avevano lavorato insieme non l’aveva mai visto scosso o turbato, niente sembrava toccarlo. Tranne quando erano coinvolti i bambini. In quei casi non rifiutava l’incarico, quello non l’avrebbe mai fatto, ma ogni volta piangeva. In modo automatico, incontrollato, senza singulti, senza singhiozzi, sembrava quasi non accorgersene se non per il fatto che doveva asciugarsi le guance ogni due minuti per poter poi proseguire il lavoro. Sasha aveva provato, una volta, a dirgli che se voleva poteva anche saltare un’autopsia. « No, grazie » aveva detto Jem, semplicemente. Dean Hamer era l’assistente diretto di Sasha, il suo vice. Aveva un paio d’anni meno di lei e un carattere solare, a tratti persino sfacciato. Sperai che le sue condizioni fossero tali da permettergli un rapido recupero, perché sapevo che Sasha avrebbe avuto enormemente bisogno del suo supporto, anche se non l’avrebbe mai ammesso apertamente. Quei due avevano un linguaggio gestuale decisamente intimo, anche se probabilmente Sasha era l’unica a non essersene accorta.
« Cosa ti ha insospettito, Lucas? Come hai fatto a capire che stava per esplodere tutto? » dissi poi. « L’incenso. » Ruotai la testa verso di lui, ma come immaginavo non incrociai il suo sguardo. « I Testimoni dell’Avvento non hanno mai usato apparati delle religioni tradizionali nelle loro adunanze. » Aveva ragione. La setta che faceva capo al reverendo Tobias Manne non aveva mai avuto evidenti punti in comune con i cerimoniali propri delle religioni più diffuse. Manne le riteneva parti integranti dello stesso mondo ostile – il « sistema operativo » lo chiamava, come se la società fosse un grande computer – a cui lui e i suoi seguaci, i Testimoni dell’Avvento appunto, avevano deciso di opporre un fermo rifiuto.
« Ho pensato che l’incenso servisse a coprire un altro odore » proseguì Lucas.  « Quello della benzina. » « I cuscini ad acqua ne erano pieni. Ne ho aperto uno con il coltellino e… Ma era troppo tardi. » Il coltellino. Ecco cos’era lo scintillio che avevo scorto con la coda dell’occhio. « Pensi a un dispositivo a tempo? O forse… »
Lasciai in sospeso la domanda: l’idea che qualcuno avesse aspettato che entrassimo per poi far scattare la bomba incendiaria era troppo terrificante da contemplare in quel momento. « Non so ancora cosa pensare, Wayne. Quindi non lo faccio. Ma una cosa la so… » « Un piromane » lo anticipai. « Esatto. » « Sì, l’ho capito mentre correvi facendo il giro della pagoda. Un piromane non si sarebbe mai perso lo spettacolo. » « Modus operandi da manuale. Ma… » disse, al l’improvviso sfinito, « ma la profiler sei tu. » Sospirai.
Tutt’attorno la notte crepitava di residui chimici e polveri sospese, ma l’angolo di cielo sopra di noi era ancora sgombro. Puntai gli occhi verso le stelle. Il cuore mi batteva forte, e c’era qualcosa che lo scaldava, che premeva. Portai la mano dentro la giacca e mentre lo toccavo, mentre con la punta delle dita sfioravo il pelo arruffato, mi ricordai del pupazzo. Il piccolo orsetto polare. Cercai con lo sguardo l’astro dallo stesso nome, ma le stelle tremolarono.
Lucas mi restituì il cellulare. « Forse non l’abbiamo persa del tutto. Ho fatto una foto. » « Hai preso la targa? » « Non lo so, può darsi. Era buio. Ero in movimento. » « La mando a Ramirez, vediamo se riescono a tirarne fuori qualcosa » dissi, poi per qualche istante armeggiai con il telefono. Ramirez mi rispose immediatamente: aveva ricevuto, si sarebbe subito dato da fare. « In ogni caso, troveremo solo altro fuoco » disse Lucas, sempre immobile al mio fianco. Un altro dei suoi enigmi? Respirai a fondo, riprendendo il controllo. « Perché sei qui fermo a guardare il cielo, Lucas? » domandai, cercando di distrarmi. « Cosa sai delle stelle, Wayne? » mi rispose dopo qualche secondo. Ci pensai su. « Niente. Non c’è niente che possa veramente sapere. » « Non è corretto. Una cosa la sai. » « Cosa? » « Quello che sai delle stelle è che sono morte. » « Morte? » « La luce che vedi impiega migliaia, milioni, miliardi di anni per raggiungerti. E nel frattempo la stella che l’ha emessa si è spenta. Quella che credi sia una stella in realtà è un fantasma. E quella che vedi è l’eco del fuoco che la faceva ardere. »
C’erano molte ragioni per cui quelle parole, pronunciate da Lucas, mi preoccupavano. Erano passati mesi ormai da quando si era sottoposto alla terapia elettroconvulsiva – l’ultima, forse unica possibilità che gli era rimasta di riavere una vita normale, dopo tutto quello che aveva passato – ma l’esito era lungi dall’essere chiaro. In ogni caso, benché formalmente io fossi la sua diretta responsabile, un suo superiore, il suo livello di guarigione, o la sua non guarigione, era un « dettaglio » riservato, un fatto privato tra lui e Kathryn Immonen, la sua psichiatra. Io però avevo deciso da tempo che non doveva, non poteva essere il buio a vincere. « Allora… Allora vuol dire che dopo la loro morte le stelle lasciano un’eredità di luce. » Strinsi la mano attorno all’orsetto polare. « Io la trovo una cosa bellissima. » Lucas non rispose.
Mi girai verso di lui, asciugandomi gli occhi con il dorso della mano. E mi parve quasi di vedere l’ombra di un sorriso sulle sue labbra. Poi, di nuovo, la notte fu interrotta.  « Dov’è? Ditemi dov’è! » Era la voce di un uomo. Un grido, carico di angoscia e di aggressività. Era una voce che conoscevo.
Lucas si sentiva sospeso tra il freddo del terreno duro sotto la sua schiena e le vampe di calore che gli lambivano il volto e le mani, le uniche parti del suo corpo in cui l’epidermide era esposta. Non era una sensazione spiacevole, anzi, in qualche modo rispecchiava il suo stato d’animo. Se avesse dovuto esprimere quale era stato negli ultimi mesi in un solo termine, infatti, avrebbe probabilmente impiegato proprio la parola « sospensione ». Oppure, più probabilmente, non avrebbe detto nulla. Il silenzio gli piaceva, gli permetteva di pensare, e per lui l’atto di pensare era diverso che per gli altri, o così non poteva fare a meno di presumere. Pensare, per lui, era fondamentale per continuare. Continuare a essere se stesso. Continuare a esistere. Durante le sedute con Kathryn, specialmente dopo quello che lui chiamava « il trattamento », lei si era soffermata in più occasioni su quel concetto: la continuità psichica come pilastro dell’identità. « Se alla mattina, quando ti svegli, sai chi sei, è perché la tua memoria ti dà continuità, Lucas. Sono i tuoi ricordi, e le emozioni che li accompagnano, a fare di te proprio te e non qualcun altro » gli spiegava. Tuttavia, quando andava a dormire Lucas non era affatto sicuro che il mattino seguente si sarebbe risvegliato sapendo chi fosse. Ma una cosa l’aveva conquistata, grazie soprattutto a Kathryn: la fiducia che potesse essere così. Era stata quella fiducia a consentirgli di riprendere servizio.
Quella, e – naturalmente – Anna.
Da quando Anna Wayne aveva interceduto per lui, facendo sì che fosse riammesso in servizio e facendosi in qualche modo garante per lui, Lucas aveva apprezzato soprattutto quel l’a spetto del loro rapporto: il rispetto dei reciproci silenzi. Anna sapeva che lui ne aveva bisogno. Forse non sapeva perché, ma non chiedeva spiegazioni, non offriva interpretazioni. Lucas era consapevole che lei lo osservava, lo studiava, e, del resto, Anna Wayne non avrebbe potuto comportarsi diversamente. Lei non « faceva » la profiler: lei « era » una profiler.
Eppure, invece di sentirsi invaso, per qualche ragione sotto quell’ombra di attenzioni discrete Lucas si sentiva al riparo. Chiuse gli occhi, un’altra delle cose che adesso si azzardava a fare senza più timore di perdersi. Gli episodi di spersonalizzazione erano andati diradando, anche se, a quanto diceva Kathryn, la strada da percorrere era ancora lunga e accidentata.
La notte era piena di rumori, di grida, di crepitii, ma Lucas cercò di concentrarsi sul proprio respiro, ancora affannato dopo la corsa, e su quello altrettanto ansante di Anna, sdraiata accanto a lui. Cercò di isolare quei due suoni armonici, in modo che fossero loro a riempire il suo campo uditivo. Doveva concentrarsi. Doveva rivedere nella sua mente gli eventi di quella sera, perché c’era qualcosa che… Il grido improvviso del l’uomo vanificò ogni suo tentativo.
« Dov’è? Ditemi dov’è! »
Lucas ignorò quella prepotente voce maschile e continuò a tenere gli occhi chiusi.
« È così che vi date da fare? » L’uomo pestò un piede per terra, a pochi centimetri dalla gamba di Lucas, facendo vibrare il terreno. « Lascialo stare, Stephen. Cosa vuoi? » « Voglio sapere che fine ha fatto Laura. » « Laura? Io non… » « Dovevate salvarla! Altrimenti cosa siete venuti a fare 8 qui? Eh? Tu e questo scherzo della natura? » Lucas finse di non aver sentito, e fece tutto quanto era in suo potere per escludere la voce di quel l’uomo. Ricordava che era un giornalista, ricordava che tra lui e Anna c’erano dei trascorsi, non del tutto piacevoli, e non del tutto chiariti evidentemente, ma queste informazioni erano inessenziali in quel momento. Era essenziale, invece, riesaminare ogni movimento che aveva compiuto nelle ultime ore. La convocazione. I preparativi per l’intervento. L’arrivo fra le rovine post-industriali di Eden Crossing, il silenzio e l’immobilità spettrale di quel luogo, di quella pagoda. I rilevatori di movimento che non mostravano segni di vita. L’incursione della squadra tattica, il segnale di via libera.
Erano entrati, lui, Anna, Sasha e tre della Scientifica. Tutto quel bianco, tutto quel silenzio rotto soltanto… Per quanto si sforzasse di isolarsi, non riuscì tuttavia a ignorare il colpo secco alla pianta dei piedi. Un calcio improvviso. « Smettila, Stephen, subito. » La voce di Anna era ferma, ma Lucas non ebbe difficoltà a diagnosticare un innalzamento del livello di tensione emotiva in lei. Aprì gli occhi proprio mentre l’uomo gli sferrava un’altra pedata alle caviglie, urlando: « Dimmi dov’è! » Anna era già in piedi, e cercava di trattenere per un braccio Stephen che, chino su Lucas, agitava il pugno a pochi centimetri dal suo volto. Lucas vide i capelli arruffati di Anna, in controluce tra le fiamme e le stelle, il volto scavato da ombre oblunghe, gli occhi accesi, le labbra socchiuse. Qualcosa dentro di lui si mosse, qualcosa che non avvertiva da molto tempo. Qualcosa che forse neppure ricordava. « Lucas, non… » disse Anna, ma era già troppo tardi. Lucas fece scattare la mano in alto, serrò pollice e indice a tenaglia attorno alla pelle tra il pollice e l’indice della mano di Stephen, in un punto nevralgico che individuò automaticamente senza alcuna difficoltà, senza nemmeno pensarci, poi gli torse il polso, spingendo verso il basso. Senza 9 abbandonare la presa, si mise in piedi. Stephen McCoy, il giornalista d’assalto pieno di sussiego e di disprezzo, l’uomo che per uno scoop avrebbe venduto anche la donna che amava – tutte parole di Anna, naturalmente – si ritrovò faccia a terra, il braccio piegato dietro la schiena e i nervi dalla mano alla nuca in preda a un incendio. Urlò con quanto fiato aveva in gola, la bocca premuta contro l’erba e il terreno. « Lucas… » disse Anna Wayne, ma lui era già altrove. Aveva finalmente afferrato quel pensiero che continuava a sfuggirgli.
« Il drone. Anna, dobbiamo recuperare subito il drone. »

La trama
Manca poco al tramonto quando il cielo grigio e nero che incombe sulla città di Haven si accende di un rosso infuocato. Ma quel bagliore non proviene dal sole calante che tenta di illuminare uno degli ultimi giorni che precedono il Natale. È il rosso violento di un incendio scaturito sulla cima di una collina in periferia, nella cittadina abbandonata di Eden Crossing. Il respiro del fuoco non ha lasciato scampo: l’eccentrico tempio che accoglieva il reverendo Tobias Manne e i suoi adepti è ora un sepolcro ardente con decine di vittime. La profiler Anna Wayne e il detective Lucas sono arrivati
troppo tardi per impedire quel devastante suicidio rituale… …ma qualcosa appare assurdamente incongruo. Qualcuno è riuscito a dominare il fuoco, a farsene padrone. E forse quello non è un suicidio collettivo, ma la più efferata delle stragi, messa in atto da una mente visionaria e geniale. Perché esiste soltanto una cosa più affascinante e pericolosa del manipolare il fuoco: manipolare le menti. Mentre in città la notte arde di altri fuochi,
Anna e Lucas devono sfidare il tempo per riuscire a elaborare un profilo del killer, ricostruire la storia delle vittime e individuare la più sfuggente delle ombre, prima che uccida ancora. Ma ogni indagine ha un prezzo, e quando sia Anna sia Lucas scoprono che quel caso affonda le radici nel loro passato, nei loro segreti, sono costretti a chiedersi se possono davvero fidarsi l’una dell’altro…
O se invece, come predicava il reverendo Tobias Manne, non sia il momento di compiere l’ultimo passo: accettare l’inaccettabile.

FEDERICO INVERNI è lo pseudonimo di un autore che preferisce conservare il proprio anonimato, lasciando che siano i suoi
romanzi a trovare la loro strada, ma è felice di parlare con i suoi lettori e con i tanti librai che l’hanno contattato attraverso i social network.
Nasconde i suoi interessi e le sue passioni fra le righe che scrive. Ha esordito nel 2016 con il thriller Il prigioniero della notte (Corbaccio) che è stato venduto anche all’estero. Il respiro del fuoco è il suo secondo romanzo.

 

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