I figli del male – Intervista a Antonio Lanzetta

51asBWwUtgL._SX355_BO1,204,203,200_Dopo il successo internazionale de Il buio dentro, è in libreria I figli del male, il nuovo thriller di Antonio Lanzetta.
MilanoNera ha avuto il piacere di intervistarlo

Antonio, come dalla citazione iniziale di Nietzsche “ sei tornato a scrutare nel buio”.
Perché guardare il male è più interessante che osservare il bene?
Credo che non ci sia nulla di interessante nel guardare il male, così come nell’esaltare la morte. La morte è distruzione, annientamento, però la realtà ci costringe a farlo, a guardare dentro il buio, a entrare in una stanza a luci spente e aspettare che le pupille si adattino all’oscurità. Vogliamo scoprire cosa si nasconde nelle ombre, comprendere la vera natura del male e puntare il dito contro il prossimo, il nostro vicino. Vogliamo provare quel senso di tranquillità quando ci accorgiamo che a portare il buio dentro non siamo noi ma il nostro vicino. È questo, infatti, l’errore più grande: ogni anima ha delle zone d’ombra, degli anfratti in cui non arriva la luce, solo che non lo capiamo.

Con I figli del male, riproponi gli stessi protagonisti e ti riallacci a “Il buio dentro”, era già previsto o la storia ti ha richiamato perché aveva qualcosa ancora da dire?
Il Buio Dentro ha lasciato una serie di porte aperte e strade che potevo percorrere per far emergere più dettagli del mio mondo. Nonostante una conclusione definitiva, il romanzo era come la punta di un iceberg. Con I Figli del Male ho provato a sporcarmi le mani, a utilizzare Damiano, Flavio e gli altri personaggi de Il Buio Dentro, per comprendere come faceva il Male a infettare le persone.

Solitamente tutti i protagonisti di libri neri hanno problemi irrisolti. I tuoi, oltre a profonde ferite interne, portano cicatrici ben visibili anche sul corpo: perché infierire così’ su dei poveri personaggi ( è ironico, ovviamente)?
Considerato che la vita è crudele e che tutti noi viviamo conflitti, sia interni che esterni, non c’è miglior modo di rendere personaggi credibili se non quello di mostrare la fragilità. Io non credo ai modelli di superuomini, a quelle persone a cui va sempre tutto bene. Onestamente, a me capita di soffermarmi a rimuginare su cose che mi sono capitate in passato, a pensare a come sarebbe andata la vita se al posto mio ci fosse stato un altro, o se avessi preso una decisione diversa. Le cicatrici hanno un valore simbolico, sono come tacche su un muro: indicano gli ostacoli contro cui ti sei dovuto confrontare, le volte in cui sei caduto e poi ti sei rialzato, perché è questo quello che conta. Rialzarsi sempre.

Flavio, lo psicologo che non vuole parlare, a un certo punto dice; abbiamo tutti bisogno di qualcosa dietro cui nasconderci. Vale anche per te?
Affrontare la vita a viso aperto non è facile e, anche se ci illudiamo di poterlo fare, non siamo mai realmente preparati. Io provo a nascondermi il meno possibile, a essere risoluto, ma sarei un ipocrita se affermassi il contrario.

La scrittura è più mostrarsi o più nascondersi tra le pieghe di un personaggio?
Un bravo scrittore è anche un discreto attore secondo me. Per rendere i personaggi credibili è necessario che la loro voce, il modo in cui si comportano sia reale. È normale che in questo processo di autodeterminazione, la creazione di un protagonista sia influenzata dalla coscienza dello scrittore, e viceversa. È come un flipper, la pallina rimbalza da una parte all’altra, e in questo continuo movimento si prova a dare risposte e spiegare se stessi.

Lovecraft, citato all’inizio del libro, e la letteratura gotica, sono questi i tuoi modelli?
Decisamente sì. Credo di essere un autore crime atipico rispetto alla tradizione e scuola del giallo all’italiana. Guardo al mio territorio, alla provincia nera, allo sporco ammucchiato sotto il tappeto, e lo faccio con gli occhi di un lettore fiero d’aver scoperto la letteratura gotica e, in particolare, la narrativa americana. Se mi chiedi di consigliare un autore, io parto da Lovecraft e arrivo a Stephen King, passando per Richard Matheson, Joe R. Lansdale, e molti altri. I miei gusti per quanto riguarda la lettura e la cinematografia sono le basi su cui provo a costruire la mia scrittura e I Figli del Male ne è un tributo.

26195893_10155286248865668_375802618232794057_nLa bambola è una simbologia che torna in entrambi i libri…
Le bambole appese ai rami sono un simbolo, vero. I loro occhi di plastica sembrano scavarti dentro e riportano a una verità antica, qualcosa di brutto che ha infettato per sempre la terra di Castellaccio. Con I Figli del Male le bambole tornano e portano con sé quel mistero, qualcosa a metà tra l’allucinazione e la verità. Le paure di Damiano Valente sono state esorcizzate dai quei simboli. Le bambole di plastica e i rami del salice bianco, quel vecchio e anomalo albero su cui venne ritrovato il corpo della sua migliore amica, Claudia, nel 1985. Nonostante I Figli del Male e Il Buio Dentro possano essere letti in modo totalmente indipendente, sono entrambi espressione di un unico mondo.

Nel libro si parla della Coscienza di Zeno, perché hai citato proprio questo libro?
Gli Smiths sono davvero la colonna sonora adatta come sottofondo alla lettura, come accade nel libro?
Ho letto La Coscienza di Zeno quando ero coetaneo di Flavio ed è stato il mio primo romanzo psicologico. All’epoca mi colpì l’utilizzo della metafora da parte di Svevo per spiegare alcuni risvolti del comportamento umano. Oggi, a distanza di secoli, trovo che ci sia un legame sottilissimo tra le vicende dei miei personaggi e quella condizione mentale, quella perenne angoscia rappresentata in Zeno. Per quanto riguarda la colonna sonora poi, penso che libri e musica sono due elementi così intimi e simili che vanno sempre bene insieme. Dipende dai gusti. Nella nostra vita le persone vanno e vengono, ma libri e musica restano. Se ci fermiamo un attimo a riflettere, ci sarà sempre una canzone o una lettura a cui associare un ricordo della nostra esistenza.

A un certo punto parli di “ fuoco nero”, cosa intendi?
È difficile da spiegare, ma ci provo. Immaginiamo che una persona sia avvolta da un’aura, qualcosa di intangibile che però proietta intorno a sé una barriera, una vibrazione che tiene gli altri a distanza. Al pari delle bambole appese ai rami, anche il fuoco nero rappresenta un simbolo de I Figli del Male, uno di quegli elementi che si incastra con personaggi e ambientazione per definire quel mondo in cui voglio trascinare il lettore. Il fuoco nero non scalda, il fuoco nero uccide.

Che ruolo ha l’uso della visione nel libro e soprattutto nella scrittura nera?
La visione è un mezzo di introspezione, sia essa concretizzata nel sogno come nelle allucinazioni. È un modo per guardarsi dentro, un riflesso della coscienza. Con I Figli del Male, Flavio dialoga con il nonno Mimì, per esempio, e nonostante la consapevolezza che quella figura al suo fianco non sia reale, tra loro c’è interazione. Un modo per aprirsi all’irrazionale e ascoltarne la voce.

“Quando hai 15 anni le cose ti restano per sempre addosso”…tu cosa ricordi di fondamentale dei tuoi 15 anni?
Guardo con nostalgia all’adolescenza e, nonostante le complicazioni tipiche degli anni 80-90, ci sono momenti e situazioni che mi porto nel cuore. Erano tempi diversi, quelli in cui i tuoi problemi passavano dall’infilarsi sotto un’auto per prendere il pallone incastrato alle batterie scariche del tuo walkman usare uno smartphone meglio di un quarantenne, ma si sono persi il meglio di quegli anni

In un passo parli di “male vivo che viene assorbito dai deboli.” Cosa intendi con “ male vivo?”
Quando leggiamo di omicidi seriali o crimini particolarmente violenti cerchiamo di chiederci il perché di tutta questa violenza. La criminologia prova a dare risposte scientifiche e tutto è finalizzato a dare un volto al male. È questo che intendo per “male vivo”: chiamare le cose con il proprio nome.

Come combatti la paura?
Non la combatto, non esiste un modo per farlo. La paura è lì, alle nostre spalle come un’ombra. Ci mette alla prova in tutto quello che facciamo e, forse, ci stimola per aiutarci a migliorare. Se hai paura di sbagliare, per esempio, farai di tutto per evitare di inciampare. Guarderai l’ostacolo ed elaborerai il modo più efficace per superarlo. Avere paura non è sbagliato, è umano.

Se potessi fare una sola domanda a uno scrittore del passato: cosa chiederesti e a chi?
Visto che ne abbiamo parlato, credo che sarei curioso di chiedere a Lovecraft e Poe consigli su come assecondare i mostri che ci portiamo dentro. Loro li hanno visti e anche io, nel mio piccolo, credo di aver notato qualcosa che strisciava nelle ombre del mio studio.

Ovvia domanda conclusiva? Dove scruterai il male la prossima volta? Tornerà lo Sciacallo?
Grazie per le domande interessanti. Un ritorno dello Sciacallo? Non lo escludo, ma non a breve. Il volto di nuovi personaggi mi riempie la testa da qualche mese. Particolari che iniziano a prendere forma. Non abbastanza per rimettermi a scrivere ma è un buon inizio. Vediamo che succede.

MilanoNera ringrazia Antonio Lanzetta per la disponibilità

Cristina Aicardi

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