Fuoco invisibile – Intervista a Javier Sierra

51lzTe5BBzL._SX340_BO1,204,203,200_Lo scrittore spagnolo Javier Sierra non è un pennivendolo alla moda, ma uno studioso. Grazie al suo amore per la Storia e alla sua concezione quasi mistica, o forse meglio definirla come ‘infantile’ della percezione umana, noi abbiamo tra le mani sue opere come questo ‘Fuoco invisibile’ in cui c’è molta traccia dell’autore e dei suoi pensieri sulla vita. Non sono pensieri ordinari, son pensieri da chi ha raggiunto il Graal dell’ispirazione. Già, l’ispirazione…  Esagero? Leggete cosa ne dice lui.

Dopo aver letto Fuoco invisibile, mi sono chiesto fino a dove arrivavano le atmosfere alla Zafòn e dove iniziavano quelle alla Dan Brown, perché a mio parere questa storia è un miscela ben bilanciata tra i due, ma con un tocco personale tuo che la rende ben distinta e inconfondibile in quanto a personalità dell’autore. Puoi dirci quanto hanno contato le influenze dei succitati autori e se hai mai pensato di correre il rischio di esser valutato come un loro clone?
La tua domanda, in fondo, ha a che vedere con quello che cerca ogni autore, cioè l’arrivare a possedere una propria voce. La ricerca di questo premio è lunga e passa per diverse tappe. La prima, e forse la più importante, è la tappa ‘lectora’, del leggere. Io sono un lettore prima ancora che scrittore, e fin da piccolo hanno avuto molto impatto su di me letture come Jules Verne, Emilio Salgari, Charles Dickens e Christian Jacq. Furono quelle voci che animarono in me la voglia di scrivere. Più tardi sulla mia strada incontrai davvero Zafòn e Brown, ma in ogni caso la mia voce era già ben costruita e la loro influenza sul mio lavoro fu minore. Ciò nonostante, ammiro molto la capacità ’atmosférica’ di Zafòn e la sensazione di vertigine che è capace di costruire Dan Brown, però io non scrivo  come degli Zafòn o dei Brown. Io scrivo solo come Sierra.

Dei vari personaggi del romanzo, quello che mi ha colpito di più è Donna Victoria, con una classe da maestra sensibile e da studentessa appassionata nel contempo. A chi ti sei ispirato per questa figura?
Victoria Goodman è, come hai visto, l’anima del libro. È un potente archetipo feminino che deriva, in parte, dalla ‘dama del Grial’  che sbocciò nel racconto di Chrétien de Troyes (Le comte du Grial, nda) del 1180. Una donna che reca con sé qualcosa di importante e sacro, di cui però chi la avvicina non sa bene se sia cosciente o meno. Però ricopre anche l’immagine dell’anziana che istruisce suo nipote con l’esempio di una vita già compiuta, e che è capace di emozionarsi quando insegna. Tirando le somme, direi che è il mio personaggio preferito di tutto il libro.

All’inizio della storia di Fuoco invisibile ci sono molti riferimenti alla vicenda che vide Polidori, Byron e i coniugi Shelley riuniti in Svizzera e ‘giocare’ con la scrittura, da cui nacquero poi le loro famose opere e personaggi, come Frankenstein, il vampiro di Polidori ecc. Quell’anno, mi sono ricordato (1815), fu chiamato ‘l’anno senza estate’ a causa di un’insolita oscurità provocata dall’eruzione di un vulcano asiatico (il Tambora, nda) e che fu, diciamo così, propedeutico al fatto che i signori in vacanza passassero molto tempo chiusi in casa e dunque maggiormente impegnati in ciò che in effetti fecero. Ecco, mi sono chiesto come mai, dato il taglio a volte esoterico della narrazione, non ne hai approfittato per usarlo come elemento ulteriore di magia nelle parti in cui quella vicenda influenza la tua storia.
Forse perché si allontanava troppo dal confine europeo in cui volevo costruire la mia storia, forse perché non volevo aggiungere altri elementi di ombra in quella parte del racconto,  di cui peraltro era già di per sé ricco. E pensare che non credevo di averci messo un enfasi esagerata nel ricreare l’elaborazione di Frankenstein di Mary Shelley… E il momento sembrava propizio per farlo.

Nella tua storia, la ricerca del Graal è qualcosa di più profondo che non la mera investigazione su un oggetto materiale, è la ricerca dell’ispirazione. È la domanda che si pone ogni artista. Secondo te cos’è l’ispirazione? Esiste realmente, o  si tratta soltanto di osservare e poi rielaborare in modo personale il mondo che ci circonda?
Ho l’impressione che l’ispirazione sia, in realtà, uno stato di coscienza. Un momento particolare in cui la mente umana si fa olografica, ed è capace di intuire alcune parti della totalità dell’universo che passano inosservate in uno stato vigile normale. È un momento speciale che, come lo stesso Graal, appare e scompare senza seguire delle regole fisse.

Parliamo della magia che pervade il tuo libro. Che rapporti hai con essa nella tua vita, in realtà?
Dal mio punto di vista la magia si è convertita in un momento di libertà in un mondo dominato dal paradigma della ragione, abbiamo deciso per un’attitudine utilitaristica nei confronti della natura. Crediamo di poterla usare a volontà e abbiamo smesso di contemplarla con quella sensazione di meraviglia che avevano i nostri lontani antenati.
Di fronte a un raggio di luce che scende dal cielo, pensiamo più che altro a scoprire da dove arriva  la carica elettrica che lo genera, mentre la magia consiste nel non perdere lo sguardo del bambino sul mondo che ci circonda.

Hai qualche tua teoria personale sul Graal? Se sì, qual è e perché la pensi così?
La mia teoria si intuisce nello sfondo de ‘Il fuoco invisibile’. Il Graal fu inventato nel secolo XI o XII nella Spagna della Reconquista come una storia che desse animo al progetto di recuperare una penisola che dal secolo VIII era caduta in mano dei musulmani. L’idea che qualcosa di tanto sacro potesse trovarsi nascosto nei Pirenei  diede adito ai trovatori di creare le loro storie. Più tardi, con Chrétien de Troyes, la sua ‘storia senza nomi’ si estese a tutta l’Europa.

Parliamo di premi letterari, giacché tra l’altro hai vinto il prestigioso Premio Planeta 2017. Qual è la tua opinione in merito, hanno un serio significato letterario o sono soltanto un gioco per la vanità dello scrittore?
Non frequento molto gli ambienti letterari, non mi avanza molto tempo per farlo. La mia vita famigliare (ho due bimbi piccoli e una moglie che adoro) i miei viaggi e i miei studi non mi lasciano molto tempo per  accontentare la ‘vanità dello scrittore’ e quasi me ne rallegro. La vanità consuma troppe energie.

Per chiudere, mi piacerebbe parlare del messaggio finale del tuo romanzo e farti domande su questo, ma chiaramente non si può.  Pertanto ti chiedo solo: cosa diresti ai lettori su come approcciare il tuo libro e cosa cercarvi?
È molto semplice. Parcival, il protagonista del Racconto del Graal di Chrétien de Troyes, perse la sua occasione di avvicinarsi all’oggetto sacro per non aver chiesto a cosa servisse quella meraviglia. Porre la domanda adeguata nel momento giusto ti dà l’illuminazione. Io spero che i miei lettori  la formulino al momento opportuno, e ci riescano… E’ tutta un’avventura.

E io spero che noi due ci si incontri a Valencia (magari con Esteban Fuica Poklepovic, grande musicista, che mi ha aiutato a rendere accettabile il mio spagnolo), città che amo ma che non sapevo custodisse una reliquia come… Beh, voi scopritelo leggendo il libro.
Señor Sierra, sei invitato a mangiare la paella valenciana dai miei amici e la pizza in Italia! Ti ringrazio molto, e buono studio.

MilanoNera ringrazia Javier Sierra per la disponibilità.

 

Dario Villasanta

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