Gianfranco Nerozzi e l’horror italiano

[In vista del suo prossimo lavoro pubblichiamo un’intervista a Gianfranco Nerozzi apparsa qualche tempo fa su STILOS]
Gianfranco Nerozzi è la dimostrazione che la narrativa dell’orrore può essere letteraria e non solo puro intrattenimento. Lo scrittore bolognese è uno che ama raccontare storie dell’orrore come ai tempi di Ultima pelle di Frank J. Crawford, pseudonimo inventato di sana pianta per convincere la gente a comprare il libro. Sì, perché in Italia se non ti chiami King o Lansdale e se non sei nato nel Maine o in California pare che l’horror non lo puoi scrivere. Dario Flaccovio invece dimostra che si può pubblicare horror italiano senza essere giudicati dei pazzi che vendono gelati al polo.
Gli ultimi lavori di Nerozzi sono due capitoli di una vera e propria saga, che in realtà era cominciata con Cuori perduti (Premio Tedeschi e poi Giallo Mondadori, 2001), ma che trova la sua consacrazione con Genia e Resurrectum (Dario Flaccovio). Genia è il primo romanzo di un ciclo di puro horror fantastico, genere che pochi sperimentano. Nerozzi contamina il soprannaturale con una spruzzatina di thriller e di giallo, ci mette dentro sentimento e soprattutto scrittura elegante, che nei suoi libri non manca mai. Una storia di presenze inquietanti e maledette che agiscono secondo i dettami d’un vangelo apocrifo in cui si parla della genia dei Lamenti, i demoni che portano il dolore. Genia è un romanzo che ti prende dentro e non ti abbandona sino a quando non ha finito di trascinarti nei meandri della paura. Il capitolo successivo della saga si intitola Resurrectum ed è dotato di una trama avvincente che denota grande capacità di scrittura. Tutto comincia in Arizona, dove un gruppo di astronomi gesuiti riceve dei segnali luminosi da una cometa. I segnali vengono tradotti in un codice genetico speciale e si tratta di un DNA che non sembra umano, lo stesso rilevato nella sacra Sindone e di cui il Vaticano non ha mai parlato. Il mistero si fa ancora più fitto quando si scopre che c’è di mezzo anche una ragazzina di sedici anni, vittima di un terribile stupro. Ma ci sono anche dei disegni apocalittici ritrovati in un cimitero di neonati decapitati. L’horror si unisce al thriller in un romanzo di matrice fortemente kinghiana e la trama si fa appassionante quando presenta un antico crittogramma scoperto da un prete esorcista tra le macerie di Megiddo, dove avrà luogo Armageddon, la battaglia finale fra il bene e il male. Romeo Gaslini, comandante dell’Interpol, è uno dei protagonisti della vicenda e deve scoprire chi e perché uccide i neonati, uno ogni quattro mesi nell’arco di due anni. Prima che sia troppo tardi anche per chi gli sta accanto. E per il resto dell’umanità.
Stilos ha intervistato Gianfranco Nerozzi per affrontare un discorso sulla sua narrativa e sulla situazione dell’horror italiano.
Leggendo i tuoi libri a volte sembra di rivedere certe pellicole horror degli anni Settanta. Quali sono i registi che ti hanno maggiormente influenzato?

Sono stato un grande fan di Dario Argento, i suoi primi film sono dei veri e propri capolavori di tensione. Ricordo la visione de L’uccello dalle piume di cristallo, un pomeriggio dei miei dodici anni, mia madre che mentiva alla cassiera del cinema per farmi entrare perché il film era vietato ai quattordici: bei tempi, già. Ma bando alle malinconie… Ci sono certe scene nei film di Argento, certe immagini, dove l’uso estetico del colore, il preziosismo dell’inquadratura diventano parte di un insieme che ti coinvolge nel profondo, e poi la musica come se fosse comprimaria a tutto il resto… Frammenti della sua poetica narrativa sono senz’altro entrati a far parte del mio magma creativo. Per questo nel mio romanzo intitolato Immagini collaterali, mi sono divertito a omaggiare il maestro, scrivendo delle scene con gli stessi meccanismi di suspence usati lui. Poi c’è stato il contagio di un altro grande uomo del nostro cinema: Pupi Avati, autore di due capolavori assoluti: La casa delle finestre che ridono e Zeder… Come ho già ribadito in altre occasioni: adesso non scriverei le cose che scrivo se allora non avessi visto quei film lì. Ma le opere cinematografiche per me più importanti non sono degli horror. Primo fra tutti vorrei citare un western: Soldato blu, ipererrealismo spinto all’eccesso e sentimento da vendere. La descrizione di un orrore allo stato puro, quello della guerra e della discriminazione razziale, che fa da contro altare ad una storia d’amore semplice e intensa… Infine una serie di documentari girati da un paio di registi di cui nemmeno ricordo il nome: Ultime grida dalla Savana, Savana violenta, Dolce e selvaggio. In tutte queste opere sono descritti gli opposti estremismi che cerco di trattare sempre nei miei romanzi: il sangue, la connotazione quasi chirurgica della violenza. E poi la dolcezza, l’amore, la poesia. In poche parole: estetica del contrasto, la luce e il buio di una tela di Caravaggio. In fondo tutte le mie storie si potrebbero definire proprio in quel modo lì: dolci e selvagge, piene di passione da morire.

Tra gli scrittori a chi ti senti particolarmente vicino?
Ultimamente alcuni giornalisti in vena di sensazionalismo mi hanno definito lo Stephen King italiano. E la cosa di per sé non può che farmi piacere, anche se fa un poco tenerezza questa esigenza che sembriamo avere noi italiani di paragonarci sempre a qualche autore straniero. Comunque King lo considero un grande maestro, soprattutto per la sua straordinaria capacità di creare personaggi veri, credibili, assolutamente tridimensionali. Volendo uscire dalla gabbia dell’esterofilia per entrare in quella della compagine: mi sento molto vicino ad alcuni fratelli di penna, indomiti colleghi, spesso compagni di viaggio: Carlo Lucarelli, Giampiero Rigosi, Andrea Cotti, Simona Vinci, Alan D. Altieri, Danilo Arona, Matteo Bortolotti… e mi fermo qua se no vado avanti mezzora.

La tua scrittura è sempre molto forte ed esplicita. Ricordo in Genia la storia di un marito psicopatico che è convinto di avere la moglie indemoniata e la libera in un modo davvero singolare…
In Genia, ma non solo lì, mi sono divertito a trovare strumenti di uccisione insoliti, a volte scaturiti dagli oggetti di tutti i giorni. Nella scena di cui parli tu, l’assassino usa un’apparecchiatura aerosol caricata a benzina per poi bruciare i polmoni della moglie asmatica. Ma che dire del forno a micro onde per cremare in modo rituale i corpi smembrati delle vittime? Oppure della vanghetta da giardiniere che diventa uno scannino… In Resurrectum ci sono sparachiodi letali, pagine della Bibbia soffocanti, fleboclisi di acqua santa…

Ami la narrativa splatter? Non pensi che sarebbe meglio suggerire l’orrore invece che mostrarlo?

Lo splatter non deve essere mai fine a se stesso. Le scelte di campo più o meno cruente debbono avere ragione di esistere a seconda dell’emozione che si vuole trasmettere. A volte occorre far precipitare il lettore dentro un’orribile visione, per colpirlo forte allo stomaco e togliergli il respiro… A volte, invece, è molto meglio suggerire, creare una tensione sottile, accarezzando piano i nervi, facendo sì che aumenti il senso di paura, per suscitare brividi, creare mistero e lasciare che tutto avvenga soprattutto nella testa, lasciando libera l’interpretazione del lettore. Certe volte, sì, è molto meglio bisbigliare. Pst pst pst… Tutto questo però: prima dell’urlo

Genia e Resurrectum sono letture forti, romanzi dell’orrore come da tempo non se ne pubblicavano. Perché Flaccovio li mimetizza all’interno di una collana di gialli?
In realtà non li mimetizza più: Resurrectum infatti, è una fuori collana, con un look tutto suo, che verrà mantenuto per il resto della saga. E viene definito semplicemente: un romanzo di Gianfranco Nerozzi. Un tentativo per uscire dalla catalogazione il più possibile. In futuro non si parlerà nemmeno più di horror. La definizione che mi sarà data: il poeta del brivido. Altisonante, certo. Ma che rende bene l’idea del tipo di scrittore che voglio essere, e che sono. Dolce e selvaggio…

Carlo Lucarelli ti ha definito il più sanguinario degli scrittori noir e il più romantico degli scrittori horror… ti sembra appropriato?
Una definizione perfetta, direi, che mi calza a pennello. Tutto quello che voglio fare, in fondo, è trasmettere emozioni che possano far boccheggiare a tutto campo. Io voglio inorridire, commuovere, spaventare, rassicurare, fare increspare la pelle della nuca, con il cuore che batte ai cento all’ora e il sangue che pulsa forte. Voglio che il lettore si senta vivo, minacciato, pronto per cercare di cambiare le cose che non gli piacciono…

Secondo me Resurrectum e Genia nascono da un’ispirazione simile a quella che ha avuto Dan Brown per il Codice Da Vinci. Cosa ci puoi dire in proposito?
A questo proposito ho scritto una lettera aperta a Dan Brown, che è stata inoltrata a tutti gli organi di stampa. Perché esistono curiose analogie fra il suo personaggio: Silas, il frate killer albino, e due protagonisti della mia saga, nella fattispecie Radius Fortuna, e il prete esorcista Salvatore Vanelsin. Io però ho inventato e pubblicato questi personaggi molto prima di Brown. Non voglio certo pensare a un plagio da parte sua, ci mancherebbe altro. Interessante però analizzare il fatto alla luce delle sintonie che a volte si vengono a creare. Ci sono atmosfere, idee, situazioni che sembrano galleggiare nell’aria. Gli scrittori, gli artisti in generale, non fanno altro che carpirle e farle proprie. La sincerità fa la differenza. E rende tutto quanto parte della stessa cosa, di una complessità generale. Brown ha venduto un sacco di copie e Nerozzi molto meno, già, ma questo è un altro discorso, meno importante. Anche se la mia Banca non sarà d’accordo con me…

Hai vinto il Premio Tedeschi con Cuori perduti (adesso è un capitolo di Resurrectum). Questa affermazione ti ha cambiato la vita?
Vincere il Premio per il miglior giallo dell’anno non mi ha per niente cambiato la vita. Dentro la mia biografia bisogna dire che ci sta bene. Ma tutto lì. Un traguardo prestigioso certo, ma non determinante.

Genia quest’anno ha vinto il Premio per la narrativa fantastica Le ali della Fantasia…
Sì. Anche quello un premio inaspettato, perché è stata la mia casa editrice che ha fatto concorrere i miei libri e io ne sapevo poco e alla fine me lo ero persino dimenticato. Così è venuta fuori una bella e gradita sorpresa. Gli organizzatori sono gli stessi del vecchio premio Tolkien e quindi per me è stata come una chiusura del cerchio. Io iniziai la mia carriera di scrittore proprio partecipando a quel premio là nel lontano 1990 e allora arrivai secondo con L’urlo della mosca. Adesso a distanza di tanti anni, sono arrivato ‘uno’. Ma che bella cosa.

Stai già scrivendo il terzo capitolo della saga? Quando sarà pubblicato?
Sì, ci sto lavorando. Adesso mi trovo, come si dice: in una fase working progress. Molto working e poco progress, a dire la verità. Se tutto va bene, il romanzo uscirà in libreria a gennaio.

Puoi anticiparmi qualcosa della trama?
Solo perché sei tu…
In questa terza puntata continuerò a procedere all’indietro, realizzando il prequel del prequel, insomma. Racconterò la storia del fantomatico Conservatore, il serial killer che appare in brevi cammei all’inizio della saga (captando e trasmettendo con la mente segnali radio provenienti dal 1933, do you remember?). Ci sarà il capitano Michele Santonero all’inizio della sua carriera, la sua prima indagine importante, poi l’incontro con Angela, la nascita del loro struggente rapporto d’amore. Torneremo a incontrare frate Tac con la sua Astronave degli esseri perduti. Gli ingredienti della nuova pietanza: angeli caduti, piramidi nascoste e oscuri crittogrammi accadici, efferati omicidi rituali, occhi che impazziscono, dimensioni parallele e terribili esorcismi… Il tutto spolverato dalla solita (in)sana passione, lacrime, sorrisi e brividi (tanti tanti) di paura, ma non solo. Poi una colonna sonora da urlo: Who, Jimi Hendrix, Iron Batterfly, Beatles, Rolling Stones, i sempre presenti Mastèma e l’immancabile Lucio Morelli… Insomma, ci sarà da leccarsi i baffi…

A proposito di Lucio Morelli, so che assieme a lui porti in giro uno spettacolo molto particolare, ce ne puoi parlare
Si tratta di un curioso ibrido fra un concerto e un reading. Una sorta di percorso dentro la atmosfere del romanzo attraverso letture, immagini, musica e canzoni. Ne viene fuori una performance molto suggestiva. Credo che sia un modo accattivante e molto efficace per presentare un libro. Presto ne dovremo ricavare anche un video clip lavorando con due giovani registi molto bravi: Valentina Bertani e Morgan Menegazzo.

Cosa ci puoi dire dei romanzi che scrivi sotto pseudonimo per la collana Segretissimo?
Si tratta di un divertente marchettone. Un serial dove inquino la spy story con elementi di horror e di fantascienza… S’intitola Hydra Crisis. Il protagonista è Marc Ange, un super agente free lance che lavora per un servizio segreto interforze europeo: un inguaribile e raffinato donnaiolo, tormentato dai fantasmi del suo passato, oppresso da ossessioni che non passano e da incubi senza nome. Il terzo capitolo uscirà a dicembre e s’intitolerà Lo spettro corre nell’acqua. La cosa interessante quando scrivo firmando con lo pseudonimo, è quella di dover entrare, oltre che dentro i personaggi che muovono la vicenda, anche nella parte dello scrittore che scrive il romanzo stesso. Jo Lancaster Reno in fondo è un mio alter ego. Sono io e nello stesso tempo non lo sono. Così come il Frank J. Crawford del mio primo romanzo pubblicato: Ultima pelle.

Ultima pelle è ancora reperibile sul mercato?
No, non credo proprio. Era una pubblicazione da edicola, oltretutto.

Ci sarà occasione per ripubblicare i tuoi vecchi romanzi? Parlo di cose interessanti come Le bocche del buio, L’urlo della mosca, Ogni respiro che fai, Immagini collaterali e Prima dell’urlo…
Prima o poi spero di sì. Una buona notizia te la posso dare: a fine agosto esce una nuova versione delle Bocche del buio. Per la casa editrice Aliberti. Un libro in tandem con Andrea Cotti. Io ho riscritto ampliandolo Le bocche del buio, che ora è diventato Alla fine della notte. Cotti ha scritto il sequel della mia storia, che si intitola Il posto buio. È venuto fuori una sorta di ibrido costituito da due racconti che funzionano comunque indipendentemente uno dall’altro ma che messi assieme diventano le parti di un romanzo. Il titolo dell’opera complessiva sarà: Ora blu. Nell’ambito della nuova edizione del festivaletteratura di Mantova, in settembre, terrò una serie di incontri basandomi proprio su quella storia, una sorta di workshop di scritture e immagini per grandi e piccoli, dedicato ai contrasti fra luce e tenebra…

Perché per un autore italiano è difficile pubblicare romanzi dell’orrore?
Un’annosa questione a cui non so dare risposte sensate. È una cosa strana. Forse perché la maggior parte delle persone ha bisogno di un alibi per riuscire ad affrontare la proprie paure. E così anche quando deve scegliere cosa leggere: se gli proponi un libro orrorifico, soprannaturale, risponde no grazie, ma se glielo porgi in altro modo, allora lui lo compra. Pensiamo ad Almost blu di Lucarelli, se non è un horror quello… Però lo hanno definito giallo e allora ha venduto. Persino Stephen King non viene più definito il re dell’horror, ma del brivido. Certo che è paradossale, se ci pensiamo: usare uno pseudonimo per un serial di spionaggio, perché se no non venderebbe abbastanza… Mascherare da giallo un horror per poterlo pubblicare (e vincerci su anche un premio prestigioso, oltretutto). Camuffare quello che sei e quello che fai, continuamente, in fondo sposa quello che sta alla base del concetto creativo: perorare la causa del camaleonte. La cosa davvero importante è fare in modo che i nostri romanzi non siano banali, che trasmettano sensazioni vere, che inducano al pensiero e stimolino la fantasia. Tutto il resto è contorno, look, business…

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Da qui a un anno dovranno uscire quattro libri miei. Il romanzo che ti dicevo prima in coppia con Cotti. Poi in dicembre il nuovo Hydra crisis. In gennaio, il terzo capitolo della saga di Genia. E alla fine del 2007, il quarto Segretissimo. Poi dovranno uscire almeno un paio di racconti in prestigiose antologie per Mondadori e Baldini Castoldi Delai. Spero anche di riuscire a pubblicare il romanzo per ragazzi che ho pronto già da qualche anno e che fra una cosa e l’altra non ho ancora piazzato definitivamente, titolo provvisorio: La creta oscura. Poi voglio scrivere un romanzo thriller ambientato nel mondo della Posta in progetto da tempo. Infine, ma questo resta ancora soltanto un sogno perverso: vedere uno dei miei libri trasposto cinematograficamente. Ho saputo che la saga di Genia è in visione da Mediaset, attendo sviluppi…

Quali consigli daresti a un giovane che vuole diventare uno scrittore di romanzi horror?

Lo stesso consiglio che darei a un giovane che vuole scrivere qualunque cosa: esplorarsi il cuore, cercare di tradurne i battiti, porsi delle domande pescando nel torbido per trovare un po’ di chiarezza. La scrittura è un modo per capire l’interiorità e arrivare a trasmettere delle emozioni. Il genere deve essere solo un mezzo di locomozione per poter percorrere delle strade e le strade hanno l’unica funzione di portarci da qualche parte. La meta più ambita di un artista è sempre come un’isola che non c’é, proprio come quella di Peter Pan. E la scrittura deve sempre entrare a far arte di qualcosa di semplice e di grande: la magia di un sogno perduto. Poi ci sono i consigli pratici nudi e crudi: leggere e scrivere, guardarsi attorno smarriti, leggere e scrivere, guardarsi attorno stupiti, leggere e scrivere. Tutto il resto verrà da solo, come un effetto collaterale della nostra fantasia: se vi sembra poco.

gordiano lupi per STILOS

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