Gladiatori



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Gladiatori
mondadori
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Ci sono libri che per la crudezza dello stile narrativo e per la violenza dei temi trattati ci tolgono il fiato come se ricevessimo un potente diretto allo stomaco. Leggere “Gladiatori” Di Antonio Franchini, è invece come trovarsi faccia a faccia con un avversario nobile e leale, dai movimenti agili ed eleganti, che con i suoi continui e veloci jab ci impone “lo studio”, cioè quella attenta concentrazione che fa del combattere un’arte ed un metodo di autoindagine, per essere più precisi il più antico metodo per conoscere se stessi. Combattere, infatti, non significa altro che misurare la nostra “virtus”, che non è determinata solo ed esclusivamente dalla forza fisica, ma anche da quel leggendario valore chiamato “onore”, termine che oggi a causa di un utilizzo sbagliato ha perso il suo vero significato. L’autore inizialmente si interroga sul perché gli incontri di wrestling e di valetudo richiamano un numero sempre maggiore di pubblico: siamo forse rimasti legati a quelle pulsioni sanguinarie che spingevano gli antichi romani a gremire gli spalti del Colosseo quando i gladiatori combattevano? Questo libro comunque non è un indagine sociologica ma un viaggio poetico nel mondo della boxe e degli altri sport da combattimento e le tappe del viaggio sono le palestre abusive pregne dall’odore acre ed inconfondibile del sudore, palestre improvvisate negli scantinati dei quartieri più poveri e degradati di Roma, gestite da uomini feriti più dalla fine del “sogno” che dai colpi ricevuti sul ring. Le foto di Piero Pompili contenute nel libro illustrano meglio di qualsiasi parola questo lungo percorso, sempre stretto tra i confini dell’aspirazione dettata dalla voglia di riscatto e la rassegnazione causata dalle aspettative tradite. Foto che ritraggono ragazzini dal fisico ancora fragile e acerbo ma dallo sguardo fiero e sicuro da guerrieri coraggiosi, e foto di adulti dai bicipiti gonfi e pieni di tatuaggi che fissano l’obbiettivo della macchina fotografica con gli stessi occhi disincantati che hanno gli animali selvatici costretti alla cattività. Ogni pagina di questo libro è uno stretto giro di benda intorno al palmo della mano e concluso il libro, finito il bendaggio, sentiamo i nostri pugni serrati pulsare, gonfi di quella energia arcaica che secoli di civiltà non sono riusciti a cancellare.

Gianni Ferrara per OperaNarrativa

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