Golem



Gustav Meyrink
Golem
Skira Editore
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Cosa si dice dei classici?
A meno che non abbiate il dubbio piacere di imbattervi in un dottorone laureato in Hobby e Sport all’Università della Vita o in uno dei tanti alternativi sempre e comunque contro, dei classici e dei loro autori se ne parla bene, a prescindere.
Vuoi per rispetto verso gli “anziani” e, soprattutto, per non tirarsi la zappa sui piedi e svelare a tutti che non si è ancora letto un romanzo fondamentale.
Perché per quanti ne abbiate letti, ve ne mancheranno all’appello almeno un paio di decine.
Quindi o si recuperano le letture perdute oppure si strizza l’occhio alla furbizia e ci si può trarre dall’impaccio con: “Quando uno scrittore diventa un classico non c’è più bisogno di leggerlo: basta citarlo.”
Per come la penso, meglio non perdere tempo a leggere un articolo come questo e dedicarsi a Delitto e Castigo, Don Chisciotte, Moby Dick e salvare dalla polvere altri tesori nascosti.
Con i classici non si dovrebbe eseguire una fredda catalogazione del tipo “ce l’ho, manca”, come le figurine, ma si dovrebbe avere un rapporto diretto e non mediato per scoprire quanto siano più innovativi e attuali di molti libri freschi di stampa.
In questi giorni ho riletto Il Golem di Gustav Meyrink, riedito da Skira Editore nella collana Gotica. A tutti quelli che pensano si tratti di un terminator di argilla, in anticipo di quasi un secolo su quello robotico, mi preme dire che avete sbagliato tutto e non ve la potete cavare con una citazione.
Dalla quarta di copertina: “Il Golem, l’essere artificiale creato dalla magia del rabbino Loew, riprende vita grazie allo scambio di un cappello nel Duomo di Praga, squarciando il velo che separa il mondo reale da quello segreto e oscuro dei sogni. Il Golem, cui una parola infilata tra i denti conferisce una vita provvisoria e cui la stessa parola, privata della prima lettera, spegne l’esistenza (Emeth – verità, Meth – morte).
Nel romanzo Meyrink non ha solo raccontato un’antica leggenda ebraica, è stato in grado di espanderla ben oltre la trama con tutta la propria conoscenza mistica ed esoterica. Per dirla tutta, siamo oltre le semplici parole e navighiamo nella spiritualità. Pur essendo un vecchio razionalista, non ho avuto difficoltà a seguire l’evoluzione dello spirito di Athanasius Pernath e degli altri personaggi. Inoltre, mi sono stupito di trovare alcuni insospettabili punti di contatto con l’autore in questo suo sogno/incubo in cui riflette sul destino.
Ci sarebbe da aprire un dibattito se abbia previsto o meno – con venti anni d’anticipo – l’avvento del nazismo e dei carnefici animati da una ideologia tossica ma questo non è il luogo, mi limito ad accennarvi una possibilità non così remota.
Un quartiere ebraico di Praga agli inizi del ‘900 sembra essere il nostro mondo e, incredibile ma vero, non manca una torbida vicenda noir di amori clandestini, ingiuste carcerazioni, mandanti e assassini spinti da passioni pericolose.
Senza paura di esagerare, vi posso dire che Il Golem si mangia a colazione un libretto come Il codice Da Vinci.

Mirko Giacchetti

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