I grandi ospiti del Noir In Festival: Mai Jai e Il fatale talento del signor Rong

5157v8c976l-_sy346_Avere la possibilità di intervistare Mai Jai che appartiene a un mondo così diverso e ancora per molti versi sconosciuto come il mondo letterario cinese è stata una grande opportunità.

Premettendo che nulla so del mondo letterario cinese, vorrei partire chiedendole, dato che siamo al Noir In Festival, se in Cina esiste quello che noi chiamiamo Noir. Avete una divisione in generi come la nostra?
No, questo è un pensiero tipicamente occidentale.In Cina non classifichiamo i romanzi per ambiti o generi. Però, dato che mi occupo di libri, credo che questo sia un percorso che il mio paese dovrà intraprendere.
Attualmente la letteratura è un concetto molto generale, che si può dividere in due grandi parti, quella che noi chiamiamo la letteratura cosiddetta “classica”, che comprende anche i saggi e poi tutto il resto più diciamo leggero, come i romanzi d’amore etc.
Per quanto riguarda le spystory, come qualcuno ha definito il mio romanzo, devo dire che mentre sono molto popolari in occidente, per la Cina è un genere praticamente sconosciuto e io sono il primo ad avere percorso questa strada.
Gli scrittori cinesi non hanno ancora molti contatti o collaborazioni con gli scrittori stranieri.

Venendo al suo libro, Il fatale talento del signor Rong, la parola “fatale” era anche nel titolo originale? E perché fatale? La troppa conoscenza, il genio, implica sempre un senso di inadeguatezza, di solitudine e di emarginazione? Si diventa in un certo senso vittime? Lei afferma che ” una sapienza maggiore implica solo dolore”.
Il titolo originale del libro, tradotto in 33 paesi,  era Decoded, titolo che  è stato mantenuto  nelle traduzioni in  inglese e tedesco. Anche in Francia, come qui in Italia, il titolo è stato invece cambiato ed è stata inserita la parola fatale, forse per rendere già esplicito nel titolo il senso della storia.
Per rispondere alla seconda parte della domanda, devo portare ad esempio un proverbio cinese che recita più o meno così: il talento di una persona ne fa la sua fortuna, ma anche la sua sfortuna”.
Si rifà a dei concetti di filosofia cinese che per gli occidentali forse non sono di immediata comprensione. L’enorme talento matematico di Rong che all’inizio del romanzo sembra essere la chiave di volta della sua vita, si  trasforma e si rivela poi essere un ineluttabile e tragico destino.

Genio e follia sono due facce della stessa medaglia?
Sì, il confine è la labile, una può sconfinare nell’altra.

Si è ispirato a qualcuno per scrivere questo libro?
Come ho già detto prima, sono un precursore di questo genere in Cina, e mentre scrivevo il romanzo non ho voluto leggere altro.
Se però devo citare nomi di scrittori che ammiro, beh, Edgar Allan Poe, Borges e Calvino.

In Cina dal libro è stato tratto un film. Non ha avuto paura che si perdesse qualcosa nella trasposizione cinematografica? Che il suo raccontare per parole risultasse diverso dal racconto per immagini realizzato da un altro?
No. Il libro e il film chre ne è stato tratto  sono due cose completamente diverse. Ora sono in contatto con un regista di Hollywood che vuole realizzare un film per il mercato occidentale.

In Italia si legge poco. Com’è la situazione in Cina?
Se lei dice che in Italia si legge poco, le posso assicurare che in Cina la percentuale in rapporto alla popolazione è ancora più bassa.

Quanti libri deve vendere uno scrittore per andare in classifica, per essere considerato uno scrittore di successo?
Io personalmente ho venduto un milione di copie di questo libro, ma direi che potremmo definire duecentomila copie un buon successo.
Anche se il vero successo per me è quando uno scrittore o una scrittrice,  senza contare le copie vendute, esplora,  propone e inaugura un nuovo modo di scrivere e raccontare una storia.

Cristina Aicardi

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