Carrisi e il nuovo romanzo: “Ho dovuto essere anche il cattivo”

MilanoNera incontra Donato Carrisi, per presentare il suo secondo, sconvolgente romanzo: Il tribunale delle anime.

Ho avuto il coraggio di chiedergli un autografo sulla mia copia de Il Suggeritore un paio di anni dopo averlo conosciuto, bloccata da una sorta di timore reverenziale, eppure Donato Carrisi ha la faccia pulita, da bravo ragazzo (e lo è davvero) anche se continui a chiederti da dove gli escano queste storie. Che non eccedono mai in violenza gratuita, ma sono totalizzanti, perché affondano le radici nel male più profondo e analizzano il lato oscuro dell’animo umano. Sarà perché è un criminologo, sarà che è bravo davvero.

Lo aveva già fatto nel suo primo romanzo, ma ne Il tribunale delle anime riesce a perfezionarsi e ci racconta il Male osservandolo dalla linea di confine che lo separa dal Bene e lo contamina, in quella che definisce la “terra delle ombre”, perché «non è la tenebra il vero pericolo, ma la condizione intermedia, dove la luce diventa ingannevole, dove buono e cattivo si confondono e non si riesce a distinguerli». Ci racconta del Male dal punto di vista dei guardiani che sono posti a difesa di quel confine, i “cacciatori del buio”.

«Non sono religioso, sono una persona spirituale» – mi confessa quando lo chiamo per fare una chiacchierata sul romanzo – «questo secondo libro è arrivato in un momento particolare della mia vita, un momento in cui io ero arrivato: Il Suggeritore mi aveva dato tantissime soddisfazioni, ma avevo voglia di raccontare una storia originale. E in realtà stavo già lavorando a un altro romanzo che avrei dovuto consegnare a dicembre, poi, a maggio, ho incontrato una persona, Jonathan, un “cacciatore del buio” che mi ha raccontato una storia potentissima, vera e incredibile allo stesso tempo. Dopo l’incontro mi sono messo a scrivere il libro su cui stavo lavorando precedentemente. Ma c’era qualcosa che mi chiamava dal cassetto: erano quegli appunti che avevo preso dopo l’incontro con Jonthan. Allora ho chiamato Stefano (Mauri, presidente di GeMS, ndr.) e gli ho detto che avrei messo da parte il vecchio libro e avrei scritto una nuova storia, perché se non l’avessi fatto io, l’avrebbe fatto sicuramente qualcun altro».

Una storia che vede come protagonisti Marcus, capace di indagare, grazie all’archivio più grande del mondo su casi irrisolti e di affiancare segretamente le indagini ufficiali della polizia. E Sandra Vega, una poliziotta, una fotorilevatrice della scientifica, addestrata a riconoscere i dettagli fuori posto. Come quelli che emergono nella morte di suo marito David, un fotoreporter, volato giù dal quinto piano di un palazzo in costruzione in un presunto incidente disseminato di indizi che indicano il contrario. Un cacciatore del buio e una donna alla ricerca della luce, che devono ritrovare Lara, una studentessa sparita misteriosamente dal suo appartamento. Una caccia a un killer trasformista che parte da Roma e tocca Praga e Città del Messico, Parigi e, addirittura, Chernobyl. Una storia del Male, che modifica la vita delle persone che hanno subito un violento lutto, che infetta le loro esistenze e che cresce, fino a trasformarle dispensatrici di morte.

La storia di un uomo senza memoria e quella di una donna con troppi ricordi, che non riesce ad arrendersi alla morte del marito: «Per la prima volta ho cercato di raccontare una storia d’amore, è stato difficile, ma ho cercato di immedesimarmi, di prendere come spunto pezzi e ricordi delle mie storie passate.» Sorrido, ci è riuscito, ha saputo farci immedesimare nei piccoli particolari che trapelano dai ricordi di Sandra. Donato, che in un’intervista ha dichiarato di non voler scrivere per far scoprire il colpevole della situazione, ma per creare una trama avvincente, riesce anche in questo, perché Il Tribunale delle anime è un thriller dall’architettura perfettamente complessa. Carrisi da abile burattinaio, riesce a tenere bene i tanti fili della storia e i diversi piani temporali, dosando colpi di scena e rivelazioni, con una scrittura immediata, visuale.

«Il Suggeritore ha avuto una lavorazione molto più lunga, sono partito dal libro e poi ho scritto la sceneggiatura, con Il tribunale è stato il contrario: sono partito dalla sceneggiatura». Scherziamo poi sulla “paura del secondo libro”: «Non è il secondo libro il problema, ma lo sarà il ventesimo, quando non saprò più cosa scrivere. Certamente il fatto di essere un professionista della scrittura aiuta, ma non sempre è una fortuna». Chissà perché però lui ci riesce: sa analizzare il Male con quella dirompenza tipica di Jeffery Deaver ma riesce a raccontarlo con quella sensibilità che pochi, forse solo Philippe Claudel, riescono a rendere.

«Tempo fa, la figlia piccola di un caro amico, a proposito de Il Suggeritore, mi ha chiesto: “Ma tu chi sei nel libro?” Ovviamente lei non l’aveva letto, ma mi ha spiazzato, come solo i bambini riescono a fare. Nella sua logica voleva sapere se nel mio romanzo io fossi il buono o il cattivo, proprio come fanno quando guardano un film o un cartone animato, quando s’immedesimano in un personaggio. Bè, le ho detto che ho dovuto essere anche il cattivo. Perché un bravo scrittore deve sapere essere entrambi, non può parteggiare».

Ne approfitto per l’ultima domanda: sono curiosa di sapere in quale personaggio c’è la parte oscura di Donato Carrisi. «Ho l’impulsività di Sandra, spesso sono pragmatico come Clemente e nelle maniere sono un affabulatore come Shalber».

Foto: ©G. Digiglio, Acidicolori Bari

francesca colletti

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