I finalisti del Premio Scerbanenco: Francesco Abate – I delitti della salina

Nell’attesa del suo incontro online di martedì 1 dicembre alle ore 18.00 con John Vignola per parlare di I delitti della salina, finalista al Premio Scerbanenco, riproponiamo la nostra intervista a Francesco Abate.

Buongiorno Francesco e grazie dell’opportunità di poterle porre alcune domande.
Intanto complimenti per il nuovo libro, “I delitti della salina” ,Einaudi, di cui mi ha colpito la profonda e avvolgente descrizione della Cagliari di inizio 1900, è stato un duro lavoro di ricostruzione per lei? Perché ha scelto di ambientare il libro nel passato e perché proprio in quegli anni?
No, non è stato un duro lavoro ma una appassionata e divertente immersione nel passato di anni e anni fatta per gusto personale. Vecchie foto di famiglia, filmati d’epoca, libri (soprattutto saggi e guide), giornali di quel periodo sono stati l’ossatura su cui poggiare la narrazione di un’epoca che mi ha sempre affascinato. È l’inizio di un nuovo secolo e si coltivano tante speranze. Si crede nel progresso della scienza, della medicina, della tecnica. Nascono grandi movimenti artistici, cambia il concetto di vita sociale e di tempo libero. Contemporaneamente cresce forte una coscienza politica tra i lavoratori. Sono gli anni di grande fermento su tutti i fronti. La belle époque aleggia nell’aria e nessuno può immaginare che nel giro di 10 anni il mondo sarà sconvolto dalla guerra. Una tavolozza eccezionale per ogni narratore.

Nel libro viene introdotto un personaggio femminile, Clara Maylin Simon, coraggiosa ed intraprendente che sente il bisogno di non lasciare indietro gli ultimi dell’epoca, i piciocus de crobi. Come si costruisce un personaggio del genere?
Clara Simon nasce dalla fusione di diverse donne che hanno attraversato la mia vita. Donne protese all’emancipazione, indomite. Su tutte zia Elvira, sorella di mia bisnonna Emma Aresu. Era anarchica e ogni qual volta un reale sbarcava in Sardegna la spedivano preventivamente in galera. In Clara ci sono tutte le donne che hanno aperto una strada, pioniere nel mondo del lavoro e delle professioni, non disposte ad essere relegate a ruoli secondari, determinate a perseguire la loro indole e il loro sogno costi quel che costi. Clara è frutto di una grande riflessione tra me e Rosella Postorino che ne ha compreso le potenzialità (da mente brillante, da editor esperta) ben prima di me. Riflessione che ha visto il contributo importante dell’editor Francesco Colombo e di Grazia Pili, giornalista, che, anni fa, ha anche deciso di essere mia moglie. Ecco perché in Clara c’è di sicuro un riflesso del carattere di Rosella (questo è il sesto libro che facciamo insieme) e di Grazia.

Siamo in momento storico difficile con il virus che terrorizza l’intero mondo. Lei ha parlato, a suo modo, della sua esperienza con una malattia in un libro autobiografico “Torpedone trapiantati”. Cosa si sente di dire a chi in questo momento è in difficoltà anche psicologica e da giornalista come pensa siano trattati questi temi delicati dalla stampa.
Tutto cambia rapidamente. Solo alcuni giorni fa avrei dato una risposta diversa da quella che sto per dare. Siamo tutti chiamati a un grande gesto di responsabilità, di coraggio e capacità. Non è lisa la frase che davanti a situazioni straordinarie servono risposte straordinarie. Ma in tanti, a più livelli, non sono stati in grado di dare il meglio. Ha sbagliato chi ha minimizzato, ha sbagliato chi non ci ha preparato a questa seconda fase non prevedibile ma prevista. Ho visto singoli cittadini tenere comportamenti scellerati, aziende e imprenditori (di ogni categoria) soffrire ma investire per mettersi in regola e tutelare utenza e lavoratori, altri fregarsene. Amministrazioni locali distratte che davano l’ok alla riapertura estiva delle discoteche invece di potenziare ospedali e trasporti, sindaci non dormire la notte per proteggere le proprie comunità. Ho visto il meglio ma anche il peggio. E ora per colpa di chi ha dato il peggio paghiamo tutti.

Pensa che la pandemia possa in qualche modo avere cambiato i gusti dei lettori?
Non saprei. Sono onesto. Personalmente da lettore pretendo dalla stampa di essere minuziosamente informato, dai libri di darmi ristoro e distrazione.

Lei ha partecipato all’iniziativa “Giallo sardo” cui hanno aderito una decina di autori sardi. Come si è trovato coinvolto in questo progetto e che ne pensa di questa ondata di scrittori sardi che sta ricevendo ottimi riscontri tra i lettori?
“Giallo sardo” è un’idea che mi è venuta una notte di febbraio a Milano. L’ho proposta a Francesca Lang, editor di Piemme, con cui ero fresco del romanzo storico “Il corregidor” scritto con Carlo Augusto Melis Costa. Quella sera, Francesca mi chiese di partecipare a una raccolta di autori siciliani affinché fornissi una sguardo dalla mia isola alla loro isola. Accettai entusiasta e rilanciai proponendole “Giallo sardo”, avevo già il titolo in mente. Insieme abbiamo creato la squadra partendo dalla necessità di avere una rappresentazione a tutto tondo delle diverse sfumature del giallo.

Ci sono delle caratteristiche tipiche dei giallo/noir sardi?
Non saprei. Forse sì, perché raccontiamo un territorio con peculiarità molto forti. Forse no, perché raccontiamo storie universali valide a tutte le latitudini.

Da giornalista, crede che oggi il racconto noir sia il mezzo più efficace per raccontare la società? Per dire magari quello che i media non dicono apertamente? E soprattutto per raccontare l’impatto della cronaca sui cittadini?
Siamo su due livelli differenti che rispondono a regole disuguali e a richieste diverse. I buoni giornalisti dicono sempre tutto ciò che sanno certificando ciò che sanno. Non parlano, non scrivono, quando non hanno le pezze giustificative. Lo scrittore si può permettere il lusso di far passare attraverso la forma della narrazione intuizioni o piste non forgiate dalle prove. E proprio per ciò però può azzardarsi ad aprire nuovi scenari. La cronaca non è corrotta per sua natura e il romanzo non è onesto per definizione. La differenza la fa chi scrive. La buona cronaca traccia la prima strada, il romanzo la asfalta. O almeno così penso che debba essere.

Se dovesse creare una formazione calcistica, ovviamente allenata da Frisco, che possa competere virtualmente con gli undici dello scudetto calcistico del Cagliari, quali personaggi dei suoi libri metterebbe in campo ed in che zone?
Ahahah! Nessuno. I miei personaggi sono inadatti al calcio, dei veri brocchi. A parte Vanni Visco, campione poeta del mio “Ultima di campionato”. Gli altri starebbero in un pub con una birra in mano e davanti a uno schermo si sgolerebbero ubriacandosi, anche Clara Simon.

Esiste un libro o un autore che le hanno cambiato il modo di vedere il mondo?
Non uno ma tre. Una trinità non divina ma molto umana. Franz Kafka, Pier Vittorio Tondelli e Raymond Carver. Ma ci sono anche tre registi: Dino Risi, Federico Fellini e Sergio Leone. Tre musicisti: Lou Reed, Johnny Cash e Paul Weller. E basta così sennò non la finisco più perché poi toccherebbe ai poeti, ai pittori, agli attori. La cultura in genere mi ha dato tanto nella vita in termini di lezioni ed emozioni.

Una ultima domanda, e penso una speranza per chi ha letto questo libro, su Clara Simon: diventerà la protagonista di una saga? 
Stiamo già lavorando al secondo capitolo. Se diventerà saga però sarà solo per decisione dei lettori. Personalmente sono pronto, ho in mente tutto l’arco narrativo di Clara Simon persino l’ora e il giorno in cui morirà, anziana.

MilanoNera ringrazia Francesco Abate per la disponibilità

La foto di Francesco Abate è di @Daniela Zedda

Tutti gli incontri saranno visibili sui canali social del festival e sulla pagina Facebook di MilanoNera

Gianluca Iaccarino

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