Il destino dell’orso – Dario Correnti



Dario Correnti
Il destino dell’orso
Mondadori
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Dario Correnti, l’autore di Il destino dell’orso, è uno pseudonimo dietro cui si nascondono due scrittori, espediente questo che, come vedremo, conferirà un’ulteriore allure misteriosa al romanzo. Marco Besana e Ilaria Piatti, detta Piattola, i due giornalisti che investigano sui delitti di questo giallo, sono già noti ai lettori dal precedente romanzo, Nostalgia del sangue, che ha avuto un considerevole successo. Questa volta gli omicidi avvengono, in buona parte, in Engadina, in mezzo a montagne immacolate improvvisamente macchiate dal sangue di una serie di delitti, in apparenza simili a morti accidentali. I nostri due giornalisti, invece, seguono una pista a cui nessuno inizialmente crede, che sembra addirittura ricondurre a una fosca vicenda degli ultimi anni del Settecento, alla Vecchia dell’aceto, un’ anziana donna palermitana che aveva scoperto come far fruttare l’aceto per pidocchi, trasformandolo in un veleno letale e non identificabile. Si dipanano così una serie di vicende e di ulteriori omicidi, che condurranno alla scoperta dell’insospettabile colpevole, attraverso situazioni in cui Besana e Piatti saranno coinvolti in prima persona.
 Ė un giallo che si legge tutto d’un fiato, Il destino dell’orso, anche in virtù dello scenario lussuoso e scintillante in cui si muovono i personaggi, la Milano bene e poi i villaggi incantati (ed esclusivi) dell’Engadina, soprattutto risulta convincente la coppia investigativa, l’anziano e disilluso cronista di nera, ormai ai margini del suo giornale, e la goffa ma geniale stagista, che nonostante il fiuto investigativo e i conseguenti successi non riesce ad ottenere un contratto d’assunzione. Ma è di notevole interesse anche la prospettiva sociologica che emerge dalle pagine: viene descritta l’evoluzione, o meglio l’involuzione, di un mondo, quello giornalistico, in cui il cronista doveva essere un uomo libero, indipendente, al servizio solo dei suoi lettori, mentre oggi, al contrario, troppi giornalisti sono al servizio del proprio ego. Besana ha compreso che, nel momento in cui si è mescolata la cultura alta e quella bassa e si è cercato di copiare la televisione, i giornali si sono asserviti all’audience, generando la tuttologia, così i cronisti sono andati alla ricerca dell’opinione dei personaggi famosi, che conoscono poco o nulla dell’argomento su cui sono chiamati a discettare. Un mondo di ambiziosi e di incompetenti che, proprio in virtù  dell’apparente disincantato cinismo con cui viene descritto, risalta in tutto il suo sfrenato carrierismo e mediocre squallore. Per allontanarsene, Besana ricorda spesso, con affettuosa nostalgia, dei divertenti aneddoti sui primordi della sua carriera (spassosa la vicenda dell’Innominato), e con orgoglio ribadisce a Piatti l’importanza di raccontare la verità oggettiva dei fatti, che dovrebbe caratterizzare la professione del giornalista: questa sincera passione che trapela dalle pagine ci fa supporre che dietro Dario Correnti ci siano due giornalisti di razza. Non meno coinvolgente è l’aspetto naturalistico della vicenda, in cui l’orso, protagonista del titolo, sembra ergersi a simbolo di orgogliosa libertà e di dignità, a volte superiore a quella dell’uomo; anche le dettagliate, ma mai noiose, descrizioni delle erbe e dei fiori contribuiscono a immergerci in una vicenda in cui alla fine l’ordine inizialmente spezzato trova un nuovo equilibrio, nato però dalla sofferenza e dal dolore che le umane passioni trascinano sempre con sé.

Donatella Brusati

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