Il giorno del diavolo



Andrew Michael Hurley
Il giorno del diavolo
Bompiani
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Che il romanzo gotico parli in lingua inglese è fuor di dubbio e Andrew Michael Hurley ne fornisce autorevole conferma nel suo secondo romanzo, Il giorno del diavolo (Bompiani, marzo 2019, pagg.352). Ambientato nel Lancashire, non lontano da quella Morecambe Bay sul Mare d’Irlanda che fu scenario di The lonely – il folgorante esordio dell’autore che da nemmeno 300 copie pubblicate è riuscito a scalare le classifiche mondiali e a vendere i diritti per la trasposizione cinematografica – Il giorno del diavolo è l’inno pervaso di inquietudine alla terra delle Endland, “isolate, non appartate; più diffidenti che placide”. L’autore, nato anch’egli in quei luoghi, cela sotto l’identità immaginaria e immaginifica di Briardale, Valle dell’Erica, la regione estesa tra i fiumi Wire e Calder, ostica e multiforme tra paludi, foreste, brughiere e balze rocciose. A quella terra dove nulla cambia, “un giardino inospitale” in cui primavere fredde ed estati piovose si alternano a “feroci autunni e lunghi inverni”, gli uomini strappano a stento di che vivere, generazione dopo generazione, eppure non dubitano mai di rimanere, imponendo anche alle loro famiglie il medesimo, arduo sacrificio. Quel vincolo indissolubile lo avverte anche il protagonista, John Pentecost, appartenente a una famiglia di allevatori di pecore, che un giorno se n’è andato in cerca di una vita migliore e, pur avendola trovata nel Suffolk come docente d’Inglese in un collegio esclusivo, fa ritorno per il funerale del nonno e decide di restare a dispetto delle proteste della giovane moglie. Perfino il suo stesso padre insiste a sconsigliarlo, John ormai ha dimenticato tutto quello che gli è stato insegnato, eppure lui si ostina a rimanere, sordo a qualunque ragione che non sia quella sottile e ambigua malia che promana dai luoghi, dalle tradizioni, dalle leggende delle Endland. In un intreccio che lega inesorabile passato e presente, da quel Giorno del Diavolo di cento anni prima in cui una tormenta senza ragione si portò via tredici abitanti del luogo, il romanzo si tinge d’inquietudine crescente mentre un respiro maligno pervade ogni cosa.
Altro non è possibile raccontare di una trama che, pur avvolgendo il lettore in una persistente atmosfera di angoscia, giunge alla metà del romanzo senza che alcun crimine vi sia accaduto. Indubbio merito dell’autore che ci trascina per gradi in un vortice d’ineluttabilità, dove tutto è giustificato in nome della discendenza. Ogni gesto del protagonista è un gesto antico di generazioni, impresso nel suo corredo genetico: impossibile sottrarvisi, come non calzare gli scarponi degli avi allineati sulle mensole della fattoria o non servirsi del rampino da ghiaccio forgiato dalle mani del nonno. Rifiutare quella eredità sarebbe come svilire l’arduo lavoro di chi prima di lui ha sottratto la fattoria al declino o negare la voce del Diavolo lassù in brughiera o la sua presenza in casa nel giorno d’autunno che precede il Recupero delle pecore dai pascoli alti.
Una folla di personaggi popola le pagine del romanzo, tutti vividi di luce ambigua, malvagi spesso per necessità, spietati sempre in forza delle circostanze. Sopra gli altri, la bella e delicata Kat, moglie di John Pentecost, che in onore della tradizione intreccia col Diavolo una danza terrificante, e Grace, nipote dei vicini, una bambina inquietante e troppo consapevole, o forse un’altra vittima dei retaggi ancestrali.
Magistrale la caratterizzazione dei personaggi, ma più ancora quella del paesaggio, il “cuore d’Inghilterra di pietra e torba”, dove “il tempo è più capriccioso di una donna” e “l’immobilità si trasforma in tempesta”, dove basta un’ora improvvisa perché l’inverno ceda alla primavera e l’estate svanisca in un diluvio.
Con scrittura duttile e consapevole Hurley dedica un inno appassionato alla sua terra, fredda e inospitale ma indissolubilmente radicata nell’animo dei suoi abitanti, primigenia e terribile nelle sue leggende e nei miti. Una terra dove la brughiera si anima di voci disumane ed echi fuorvianti, non così dissimile nei gemiti sinistri del vento nello Yorkshire di Cime tempestose.

Giusy Giulianini

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