Il grande sonno

Regia: Howard Hawks. Sceneggiatura: William Falukner, Leight Brackett, Jules Furthman, dal romanzo di Raymond Chandler. Interpreti: Humphrey Bogart, Lauren Bacall, John Ridgely, Martha Vickers, Dorothy Malone. USA, 1946, 114’.

Il grande sonno di Howard Hawks è il film che ha consacrato nell’immaginario collettivo la figura dell’investigatore Philip Marlowe, creato dalla penna di Raymond Chandler. L’interpretazione di Humphrey Bogart ha portato quel qualcosa in più al Marlowe di Chandler, tanto da trasformarlo da mito in leggenda. Bogart fonde la personalità del personaggio con quella dell’attore.

Aggiunge una recitazione pensosa, calibrata e tutta d’un pezzo al fare sbruffone e laconico dell’investigatore, al suo cinismo e all’umorismo disincantato delle sue battute. Il “grande sonno” è quel sonno lungo da cui non ci si può svegliare, da cui nessuno è tornato indietro. E di morti Il grande sonno di Hawks ce ne regala molti. Scritto dal premio nobel William Faulkner e dal 1997 conservato al National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, ha come protagonista Philip Marlowe, una “suola”, ossia un investigatore privato, che viene contattato dal Generale Sternwood per indagare su un piccolo ricatto ai danni della figlia più giovane, Carmen.

Dopo questo incontro viene convocato dalla figlia maggiore, Vivian, donna bella e viziata come la società a cui appartiene, il cui marito è misteriosamente scomparso. Da qui prende il via una vicenda intricatissima costellata di persone svanite nel nulla che, quando riappaiono, si presentano per lo più sotto forma di cadavere. Le figlie di Sternwood hanno ben più di un segreto inconfessabile e la storia si dipana fra colpi di scena, suggerendo foto di nudo, uso di droghe, passione per il gioco d’azzardo e le scommesse, mettendo in evidenza tutto lo squallore della buona società della West Coast.

Il grande sonno è un noir, una delle pietre miliari del noir, ma stilisticamente non lo è. È un noir raccontato come un giallo. Alla tradizionale detective story, infatti, vengono aggiunti grandi personaggi, sia maschili che femminili, che si muovono sullo sfondo della società bene, rivelandone tutto il torbido, il lato nero, ma rimanendo nei loro ambienti e con uno stile per niente noir. Pur muovendoci in un sobborgo cittadino, costantemente sotto la pioggia e visto quasi esclusivamente di notte, non si entra mai in squallide bettole abitate da disperati, ma si rimane in salotti bene, in villette e in club esclusivi, popolati da borghesi per i quali l’apparenza è tutto e le cui trame rimangono ben celate. Un’ambientazione in linea con lo stile del film.

Anche qui, infatti, non troviamo voce over a spiegarci il senso e il titolo del film, non si usano né flashback, né grandangoli, e la fotografia non presenta quei forti contrasti e ombre allungate che ricordano lo stile espressionista. Hawks è in questo film un tipico regista invisibile. Campi e contro campi, totali e dettagli si alternano veloci. Sapientemente dosata è l’alternanza tra inquadrature soggettive e oggettive, eliminati i tempi morti e le battute inutili e ridotti al minimo i movimenti di macchina. Tutto secondo un uso da manuale delle regole del Modo di Rappresentazione Istituzionale, quello del cinema classico, che voleva lo spettatore al centro del film. Unica trasgressione al cinema che non si fa vedere sono delle brevi sequenze di cinema nel cinema, come ad esempio nella scena iniziale dove le ombre proiettate di Bogart e della Bacall si accendono reciprocamente una sigaretta; oppure durante l’uccisione del pedinatore Jones, alla quale Marlowe assiste da una vetrata semiaperta dove appare l’ombra gigantesca dell’assassino.

Lo stile di Hawks si cela per lasciar trasparire i personaggi, ed è proprio intorno ai personaggi che ruota il film, ai personaggi è affidata quella carica noir che contraddistingue il genere. L’aspetto che più identifica il film in quanto noir è la volontà di mostrare il lato nascosto della violenza, di addentrarsi nella psicologia criminale. Non è tanto importante la soluzione coerente e razionale di un mistero (essenziale in un giallo) quanto l’analisi di una realtà violenta e senza regole. Lo spettatore si perde a seguire questa lunga catena di omicidi, e sgomita tra un delitto e l’altro insieme a Bogart, che, continuando nel solco de Il mistero del falco, diventa la vera incarnazione del detective solitario. Impermeabile, sigaretta e battute pungenti sono i tratti distintivi di questo Bogart/Marlowe che nel corso della sua indagine, pur non macchiandosi di alcun crimine, entra a far parte di una serie di inganni e si sporca le mani, ricorrendo all’aiuto delle forze dell’ordine solo ed esclusivamente quando non può farne a meno.

È antieroe nel suo essere mosso da motivazioni personali e sentimentali più che professionali, e nel suo resistere alle esitazioni che lo tentano durante lo scontro finale con Eddie Mars e che condurrà alla morte del criminale per mano dei suoi stessi scagnozzi. Altro aspetto prettamente noir è la presenza femminile della bellissima Lauren Bacall, con la quale Marlowe deve dividere il palco.

Bella e sensuale, gela coi suoi occhi un Marlowe vittima di un erotismo che nasce dal desiderio e dal pericolo, e lo spinge più in là di quanto lo stesso Marlowe vorrebbe, tanto da fargli provare paura. Il motore tra i due è un dialogo serratissimo e pieno di doppi sensi come il dialogo sull’ippica: A proposito di cavalli… hai classe, ma non so se te la cavi alla distanza le dice lui; Dipende da chi è in sella, risponde lei. Non c’è bisogno di dire altro…

Il noir esce con tutta la sua carica emotiva dai personaggi e allora non importa se non si riesce a capire chi sia il colpevole, ma conta che alla fine di tutto Marlowe e Vivian siano insieme. Si dice addirittura che, quando Hawks chiese allo stesso Chandler chi avesse ucciso l’autista di Sternwood, questi gli abbia risposto di non averne la ben che minima idea.

michele comba

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