Margaret Armstrong – Il mistero della vetreria



Margaret Armstrong,
Margaret Armstrong
Edizioni Le Assassine
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La gustosa galleria che da un paio d’anni le Edizioni Le Assassine stanno allestendo nella collana Vintage si arricchisce di un’autrice, l’americana Margaret Neilson Armstrong, che, pur giungendo alla scrittura negli ultimi anni di vita, ha regalato alla detection classica tre esempi pregevoli.
La prima prova della Armstrong, oggi proposta da Edizioni Le Assassine con il titolo Il mistero della vetreria, nel 1939 fu pubblicata sotto il titolo originale di Murder in stained glass e con una copertina attentamente evocativa del tema centrale del racconto, una vetrata di colore vivo con tre angeli benedicenti, il cui gusto grafico riecheggiava quel Futurismo ormai agli sgoccioli che pur aveva dominato arte e letteratura nei primi decenni del XX secolo.
L’accenno alla copertina originale mi pare doveroso perché testimonia da un lato la professione artistica fin là svolta con raffinata maestria dalla Armstrong nel campo della illustrazione, dall’altro il suo legame con l’arte vetraria che le derivava dal padre, diplomatico ma egli stesso artista di quella disciplina.
E una vetrata appunto, dedicata al Buon Samaritano, da installare nella cattedrale di St. John in Morningside Heights a New York, in un policromo e spettacolare rosone con angeli e pie donne, è lo spunto narrativo attorno al quale si muove una storia ben costruita e dalla complessità sorprendente nella quale la trama investigativa offre all’autrice il piacevole pretesto per interrogarsi sui limiti fino ai quali l’arte può spingersi per affermare il suo valore assoluto.
L’artefice di quella vetrata è Frederick Ullathorne, collerico e dispotico seppure genio indiscusso dell’arte vetraria, che, per portare a compimento il delicato incarico, si è ritirato da New York in un piccolo villaggio del Connecticut, con il bellissimo figlio, di nome ahimè Leonardo da Vinci, e un piccolo manipolo di fedelissimi ma bistrattati collaboratori.
Ed è là, nell’idilliaco scenario di Basset’s Bridge, che lo incontra, e ne subisce suo malgrado il fascino, Harriet Trumbull, ricca cinquantenne newyorchese, ospite di una vecchia amica, Charlotte Blair, veemente ornitologa ma noiosa e lugubre compagna.
Per fortuna, a distrarre Harriet, interverranno presto gli amori tra Leo Ullathorne e Phillys Blair, la nipote di Charlotte, nonché quelli tra Jake Murphy, collaboratore del grande maestro vetraio, e Dolly Dolliver, deliziosa modella per una delle pie donne raffigurate nel rosone. Ma irromperanno soprattutto non uno ma due brutali omicidi, dei quali correranno il grave rischio di venire accusati prima Murphy, poi lo stesso figlio di Ullathorne.
Harriet, dotata di acuto spirito di osservazione ma anche di profonda empatia per quei giovani, non riuscirà a starsene in disparte e affronterà con dinamismo e intelligenza un’indagine parallela a quella della polizia che la saprà portare, non senza rischi personali, ad anticipare di qualche passo gli investigatori ufficiali nella corsa alla scoperta dell’assassino.
Delizioso e classico crime village, almeno nella prima parte del racconto, Il mistero della vetreria sorprende per più di una ragione. Innanzitutto per la figura della protagonista, una Signorina Omicidi certo, ma che non se ne sta in disparte a sferruzzare a maglia come la ben più celebre Jane Marple di Agatha Christie, seppure con le orecchie tese e gli occhi ben aperti. E neppure come la poco più anziana Maud Silver di Patricia Wentworth, ex-governante un po’ bigotta che a ogni piè sospinto si lancia in pedanti citazioni bibliche. E, sempre per parlare delle colleghe coetanee, nemmeno come Hildegarde Whiters, l’insegnante briosa ma terribilmente impicciona di Stuart Palmer.
No, Harriet Trumbull è una donna matura ma consapevole del suo fascino che non esita a civettare con amici e sconosciuti, pienamente indipendente in virtù delle sue condizioni economiche più che floride e dotata sì di acume ma anche di spirito di iniziativa che non la fa esitare davanti a un viaggio in metropolitana da un capo all’altro di New York, come di uno in treno a coprire gli oltre mille chilometri che separano la sua metropoli dalla incantevole Beaufort in Carolina del Sud.
No, Harriet Trumbull non è neanche una signora annoiata, di quelle che hanno imperversato nelle ultime decadi del secolo scorso, un’investigatrice improvvisata in cerca di emozioni, capace di immischiarsi nei più riprovevoli intrighi per uscirne poi con i capelli freschi di parrucchiere e le mani laccate di manicure, in tempo per andare a cena in società.
Harriet Trumbull è, soprattutto, una donna generosa di sé, commossa dall’amore dei più giovani perché forse non ha abbandonato del tutto le speranze di catturarne uno, un altro ancora prima che sia troppo tardi. E sicura delle proprie doti intellettive da non dover ingaggiare una gara all’ultimo neurone con Skinner, il detective incaricato del caso. Una donna così resta piacevolmente sorpresa quando scopre che lei e il poliziotto tagliano in sincrono il traguardo per la cattura del colpevole.
Un plauso dunque alla sua autrice, che, in modo innovativo, non è caduta nel tranello di affiancarle un deuteragonista goffo e limitato, pur di far risaltare la sua eroina.
Harriet infatti non ne ha bisogno, brilla di luce propria, tanto da non esitare ad assumere perfino il ruolo di deus ex machina di una trama complessa e di un mistero intricato che, lo assicuro, potranno stupire più di qualche detrattore della classica detection. Anche a dispetto della morale convenzionale e del rispetto delle leggi, in ciò rendendo omaggio al formidabile Poirot in una delle sue mirabolanti avventure di pochi anni prima.
MARGARET NEILSON ARMSTRONG nacque nel 1867 a New York da una famiglia socialmente molto in vista. Figlia di un artista dell’arte vetraria, per gran parte della sua vita fu illustratrice molto apprezzata di copertine in stile Art Nouveau e solo in età avanzata si dedicò alla scrittura, diventando un’esponente tardiva della Golden Age. Scrisse infatti solo tre romanzi gialli (Murder in Stained Glass, 1939; The Man With No Face, 1940; The Blue Santo Murder Mystery, 1941) che trovarono un’eco molto positiva nella critica; tra i suoi lettori ebbe anche Agatha Christie. Haycraft, uno dei maggiori studiosi del genere giallo, la considerò tra le migliori scrittrici che ricorsero nei loro romanzi alla tecnica dell’HIBK (Had I but know ovvero “se lo avessi saputo”), di cui un’altra autrice americana, Mary Roberts Rinehart, fu l’iniziatrice.

Giusy Giulianini

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