Il segno dell’aquila



Marco Buticchi
Il segno dell’aquila
Longanesi
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Eccolo, attesissimo e appena approdato in libreria, Il segno dell’aquila, il super avventuroso romanzo di Marco Buticchi.
La casa editrice lo definisce : «Un romanzo impetuoso, capace di toccare argomenti scottanti dando voce, accanto alla puntuale ricostruzione storica, alle preoccupazioni che tormentano la nostra quotidianità».
Non esagera. Intanto, come gli è consueto, anche stavolta Buticchi instrada i suoi lettori su binari che, pur divisi dai millenni, filano paralleli e abbina una mitica storia del passato e una singolare fiction contemporanea. Sono sicura che dopo i primi capitoli vi chiedere senz’altro: cosa c’entrano gli etruschi, quando Roma era governata da Tarquinio il Superbo, e il presagio, il segno dell’aquila, con una clinica di lusso a Rio de Janeiro dei giorni nostri? E con un pericoloso traffico di droga in terra brasiliana? Quale sarebbe il legame? E cosa c’entra subito dopo l’ISIS con la cattura di Oswald Breil e la sua successiva rocambolesca fuga da una loro roccaforte a Rakka ai confini del Califfato?
Proviamo a districare il mistero.
Tutto parte da una telefonata a Breil fatta dal suo fidato collaboratore, Toni Marradesi direttore del “Centro” di Roma, per chiedere aiuto. Sua sorella Laura, biologa e che lavora a Rio de Janeiro per una multinazionale all’avanguardia con base a Ginevra e laboratori e cliniche di lusso in tutto il mondo, è scomparsa da giorni.
In cima alla piramide della multinazionale c’è monsignor Fausto Denague, fondatore e gestore della Confraternita della Santa Resurrezione, meglio conosciuto come «il mediatore», con molti anni e tante doti, tranne mi pare quelle consone a un uomo di chiesa. Toni Marradesi teme il peggio, e il ritrovamento del cadavere della sorella pochi giorni dopo è la conferma dei suoi peggiori presentimenti. E per Oswald Breil e Sara Terracini, l’inossidabile coppia di protagonisti, creata da Marco Buticchi. sarà l’inizio di un’incredibile e pericolosissima indagine. Anche perché il subconscio di Laura Marradesi, che da bambina era caduta e aveva perso la memoria vicino a Chiusi, potrebbe contenere il segreto del nascondiglio del tesoro di Porsenna. Del leggendario mausoleo di re Porsenna cercato per secoli e mai ritrovato, del quale scrisse anche Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, affermando di averne tratto la notizia dal manoscritto perduto di Marco Terenzio Varrone, e che doveva contenere, oltre al sarcofago con sopra la statua del Lucumone sdraiato secondo i canoni etruschi, anche un cocchio tirato da 12 cavalli e una chioccia con 5.000 pulcini, tutti d’oro.
Gli avvenimenti dell’anno 529 a.C. e successivi, vissuti dal giovane etrusco Vel, si alternano capitolo su capitolo alle spaventose avventure di Oswald Breil e Sara Terracini.
Breil verrà sequestrato dai collaboratori di Monsignor Denague, che si scoprirà essere anche il cervello dietro a una orrenda tratta di organi, espiantati da ragazzini, orfani e poveri, rapiti dai commando dell’ISIS.
Ma Mansour al Nedir, custode del tesoro del califfato (insomma dei conti segreti), è finito nelle mani del Mossad e Oswald Breil, ex primo ministro israeliano e per decenni geniale membro dei servizi segreti, può diventare la moneta di scambio.
Marco Buticchi ci fornisce il suo meditato punto di vista sull’ISIS con un’accurata analisi del Califfato o Stato Islamico, descrive in dettaglio la composizione dell’esercito dei ribelli, spiega le numerose fonti di introito che lo alimentano, dà dati precisi sulle tratte del mercato clandestino di armi, petrolio e reperti archeologici. (E qui mi auguro che abbia ragione. Meglio in mano di qualche collezionista che barbaramente distrutti).
La lotta sembra impari: il nemico pare immortale, ha mezzi sconfinati, come alleati l’Isis e il suo esercito di superuomini e, come bersaglio i valori più sacri dell’umanità.
Manca giusto un quid perché il Male abbia il sopravvento. Un quid che solo il rinvenimento di un antico sepolcro riuscirebbe a risolvere. Ma l’ubicazione di quel sepolcro è avvolta nella leggenda…
Leggenda, come dicevo, legata alla Roma dei re etruschi.
Siamo nell’anno 225 dalla fondazione di Roma e Vel, che ha dodici anni, vive a Tarquinia sotto il regno di Tarquinio il Superbo, monarca crudele e corrotto che governa Roma e lascia mano libera a suo figlio, Sesto Tarquinio, violento e malvagio. Sesto Tarquinio sconvolgerà la vita di Vel, uccidendo il padre, facendo prigioniera, la madre, sequestrando beni e proprietà della sua famiglia e, costringendolo da allora a una pericolosa vita di avventura in giro nel mondo con, sempre vicina, l’aquila che ha raccolto dal nido quando era ancora un pulcino. Un lungo peregrinare che lo porterà in Egitto, capo delle guardie personali del sovrano Cambise. Ma ferito gravemente verrà allontanato e storpio, ramingo, incontrerà quella che sarà la sua donna ma per poi perderla. Tutto sembra andare male. Ma il suo amore è vero, sacro e si dimostrerà indissolubile, perché Vel, ingegnandosi per sopravvivere, la ritroverà e diventerà un brillante architetto al servizio di Dario, il monarca persiano, a progettare la grande Persepoli, le tombe dei sovrani. Ma la speranza che sua madre sia ancora in vita lo riporterà in Etruria e a diventare il progettista del Mausoleo di Porsenna.
Marco Buticchi comincia i suoi ringraziamenti alla fine del libro scrivendo: «E con questa fanno 5605 pagine di romanzi scritte. Qualcuno dirà che me le potevo risparmiare… »
Eh no! Neppure una direi. E certamente neppure una di questo tuo ultimo romanzo così avvincente, che oltre alla sua  E le colpe di un moderno occidente che pare inspiegabilmente sordo e cieco di fronte al dilagare dell’ISIS.

P.S. N.B.
Le tradizioni Toscane parlano del potente lucumone che, sentendo la morte arrivare, aveva fatto costruire un cocchio trainato da 12 cavalli tutto d’oro, così come una chioccia con cinquemila pulcini, anch’essi d’oro. Un mausoleo etrusco con all’interno oltre al sarcofago, un cocchio d’oro trainato da 12 cavalli d’oro, vegliato da una chioccia e da 5000 pulcini, d’oro anch’essi…
Le interpretazioni sono tante, alcune più valide di altre. I pulcini e la chioccia sembra che rappresentassero la sua armata e le famiglie nobiliari che per diritto venivano sepolte vicino al re.
Chiusi, che negli anni ha preso nomi come Clusium Vetus, Clusini Veteres, Clusium Novum, Clusini Novi, visti i ritrovamenti effettuati, è in effetti oltre che una città, una necropoli di grande interesse. Le tombe più ricche ed importanti sono state ritrovate in un’area circolare molto ristretta, e poca distanza le separa dall’ ipotetico ipocentro in cui (secondo il parere di alcuni studiosi) dovrebbe trovarsi la tomba di Porsenna.
Brano di Plinio il Vecchio che narra del Mausoleo di Porsenna:
« E ora conviene parlare del labirinto italico, che fece per sé Porsenna, re dell’Etruria, per sepolcro, e allo stesso tempo affinché fosse superata la vanità dei re stranieri anche dagli Italici. Ma poiché il favoloso supera ogni immaginazione, useremo le parole dello stesso M. Varrone per questa descrizione: Fu sepolto sotto la città di Chiusi, nel qual luogo lasciò un monumento quadrato in pietra squadrata, ciascun lato largo 300 piedi (circa 88,8 m) e lato 50 (circa 14,8 m). In questa base quadrata c’è all’interno un labirinto inestricabile, dove se qualcuno vi entrasse senza un gomitolo di lino, non potrebbe trovare l’uscita.
Sopra questo quadrato si ergono 5 piramidi, 4 agli angoli e una al centro, alla base larghe 75 piedi (circa 22,2 m), alte 150 piedi (circa 44,4 m), inclinate in modo tale che in cima a tutte è posto un disco bronzeo ed un unico petaso (cappello da viaggio a larghe falde), dal quale pendono campanelli sospesi a catene, che agitati dal vento portano i suoni lontano, come un tempo fatto a Dodona. (Sede di un oracolo le profetesse del quale divinavano il futuro ascoltando il suono delle foglie di una quercia mosse dal vento).
Sopra questo disco si ergono altre 4 piramidi ciascuna alta 100 piedi (circa 29,6 m). Sopra queste su un’unica base 5 piramidi delle quali Varrone ebbe vergogna a riferire l’altezza. I racconti etruschi tramandano che fosse la stessa per ogni opera. Per tanto, insana demenza, aver cercato la gloria non portò giovamento alcuno, oltre ad aver spossato le forze del regno, affinché alla fine la lode maggiore fosse dell’artefice”

 

 

 

 

 

 

Patrizia Debicke

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