Intervista a Bruno Morchio: continuerò a raccontare le indagini di Bacci Pagano

41L5qSj-2fLBen tornato a Bruno Morchio su queste pagine, qualche domande sul tuo ultimo nato pubblicato dalla Garzanti: Un lavoro sporco.
Tanto per cominciare dico ben tornato anche a Bacci Pagano e chiedo al suo autore a quale numero di libri sul suo investigatore siamo arrivati e… quanto pensa di andare ancora avanti?
Dodici romanzi e un numero imprecisato di racconti, pubblicati su giornali e in raccolte, una delle quali tutta dedicata all’investigatore genovese: Bacci Pagano cerca giustizia (Fratelli Frilli Editori). Finché avrò vista, vita, testa e un editore continuerò a raccontare le indagini del mio detective. E, al contrario di Andrea Camilleri con Montalbano, non ho ancora scritto il libro che decreterà la sua morte.

Domanda diretta cattivella. Quanto, se c’è, c’è di Bruno Morchio in Bacci Pagano?
Probabilmente più di quanto Morchio voglia ammettere. Tuttavia le differenze sono notevoli, fisiche caratteriali e biografiche. Non sono alto 1,85, non sono così atletico e asciutto, sono quasi calvo, non ho mai conosciuto la prigione, non ho mai preso in mano una pistola vera (Salvini mi scuserà) e non mi butterei nella mischia come fa lui. Per il resto, su molte questioni la pensiamo allo stesso modo, abbiamo entrambi fallito le aspirazioni politiche della giovinezza e consegnato ai figli un mondo peggiore di quello lasciatoci dai nostri genitori, siamo entrambi molto tenaci nei rispettivi lavori.

Questo romanzo è un prequel assoluto. La prima avventura di Bacci come investigatore privato. Una rinnovata giovinezza. Che effetto ti ha fatto riportarlo indietro nel tempo?
È un noir abbastanza “duro” e direi che la nostalgia non vi gioca alcun ruolo. Del resto non ho troppa nostalgia degli anni Ottanta, che hanno costituito l’inizio della fine di una possibile evoluzione più civile del mondo. La globalizzazione capitalista, ispirata ai valori del neoliberismo selvaggio e la conseguente finanziarizzazione dell’economia, hanno prodotto un mondo più ingiusto e più infelice e ci hanno portati a un’attualità (specie in Italia) desolante. Disuguaglianze, compromissione dell’equilibrio ambientale, povertà diffusa, incapacità di empatizzare con chi soffre e con chi muore, sentimenti rancorosi, populismi, razzismi e nazionalismi che proliferano. C’è poco da stare allegri. Ma tutto è partito da lì, dai famigerati anni Ottanta.

Quanto hanno pesato sulla vita e il lavoro di Bacci Pagano i cinque anni di ingiusta detenzione?
Hanno pesato molto, ma dopo l’indagine di Rossoamaro il detective ha cominciato a capire che non tutta la sua rabbia e infelicità derivavano dalla detenzione. Da lì in poi il personaggio comincia a cambiare e diventa un testimone del suo tempo, perde quel vitalismo ossessivo che magari lo rendeva simpatico, ma gli impediva di cogliere la ricchezza delle sfaccettature della realtà, lo spessore e la complessità della condizione umana.

Il passato e il suo primo incarico come investigatore, cosa non gli piace ricordare di allora? Forse parlerebbe il titolo Uno sporco lavoro?
Quello del detective privato è uno sporco lavoro. Il rebus è come svolgerlo salvandosi l’anima. Naturalmente il presupposto è scegliersi i casi, ma qui Bacci scopre il verminaio solo dopo esserci finito dentro. Allora si tratta di darsi delle priorità: la fedeltà al cliente, la tutela delle persone (Manchette sosteneva a ragione che il policier si preoccupa della società, il polar delle persone) e della vita umana; il giovane Bacci lo dice chiaro a Maria, la donna che incontra all’ospedale e che gli scatena il ricordo di quella lontana indagine:
Maria mi scruta e le scappa un sorriso sconfortato. «Certo che ti sei scelto un lavoro del cazzo, Bacci.» «Un lavoro in cui devi essere pronto a perdere tutto, fuorché l’anima.» «Davvero in tutti questi anni non l’hai mai persa?» «Diciamo che ce l’ho messa tutta.» «Quando piove non bagnarsi è difficile.» «Da molto tempo ho smesso di credere agli stregoni che, danzando, fermano la pioggia e fanno uscire il sole.» «E allora in cosa credi?» «Negli impermeabili e negli ombrelli.»

Questa rimpatriata all’ospedale dopo trent’anni con Maria, mi pare che in un certo senso metta in ansia Bacci. Solo stanchezza o qualche rimorso sulla coscienza? Rimpianti?
Nessun rimpianto; qualche rimorso sì e tanto imbarazzo. È dichiarato già nella citazione di Rigoni Stern dell’ex ergo: «I ricordi sono come il vino che decanta dentro la bottiglia: rimangono limpidi e il torbido resta sul fondo. Non bisogna agitarla, la bottiglia.» Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve

E perché Maria avrebbe voluto sottrarsi al loro incontro?
Maria era innamorata di Bacci e sperava che lui, una volta concluso l’incarico, tornasse a cercarla. Invece non è accaduto e lei, a distanza di tanti anni, volentieri avrebbe fatto a meno di cercarlo. Ma aveva fatto una promessa….

Bacci allora era al verde, aveva bisogno di guadagnare e per questo ha accettato l’incarico di fare da guardia del corpo alla famiglia di Silvano Rissi, famoso manager della fine degli anni ‘80. Dovrebbe essere un incarico normale, perché invece si mette subito sul chi vive?
In realtà è vero, il ruolo di body-guard è abbastanza frequente nel lavoro degli investigatori privati, ma poco raccontato in letteratura. Bacci si mette in apprensione per due ragioni: non si fida di colui che gli ha procacciato l’ingaggio (lo spacciatore Maresca, personaggio viscido e ributtante) e fin da allora dispone di un istinto che lo porta a “fiutare” l’imbroglio. Perché il nostro eroe/antieroe è un analfabeta dei senti propri, ma su quelli degli altri ci azzecca sempre.

Cosa lo colpisce subito e sfavorevolmente poco dopo il suo arrivo alla lussuosa villa di Pieve Ligure?
Lo spreco. Gli sembra che quel tipo di arricchiti non abbia alcuna considerazione del valore delle cose (oltre che delle persone). Del resto questa era l’Italia di quegli anni, simboleggiata dalla “Milano da bere” del craxismo.
Anni ‘80, quando finanza e una certa faciloneria cugina del malaffare, andavano a braccetto, Bacci se ne renderà conto ma… quanto conta il dovere per lui? Conta molto, Bacci non rinuncia ai propri principi, anche quando si ritrova al servizio di un corrotto e spregiudicato boiardo di Stato. Il problema è come non bagnarsi quando piove e nel complesso credo che se la sia cavata bene.

Insisto con gli anni ‘80.  È così cambiato il mondo da allora?
Sì, in peggio. Almeno se guardiamo le cose dal nostro punto di vista di italiani e di europei. Forse i cinesi non sono della stessa opinione.

C’è qualcosa che tu rimpiangi di quel periodo?
Non ti dico la giovane età, sarebbe banale. Rimpiango un Paese con un welfare funzionante e una distribuzione della ricchezza più equa. Anche se il declino (e il debito pubblico) sono cominciati in quegli anni, dominati dal famoso CAF (Craxi, Andreotti e Forlani).

Ma l’Italia in questi trent’anni è così cambiato? In meglio? Oppure? Cosa mi dici del mondo e delle politiche di oggi?
Stiamo vivendo uno dei periodi più bui del dopoguerra, questo ti dico, in cui i valori fondanti della civiltà europea e della convivenza civile vengono rimessi in discussione. Sono preoccupato e amareggiato: la marea montante del sovranismo populista sta producendo effetti devastanti sul senso comune, sulla convivenza civile, e questo brutto vento soffia anche da Oltreoceano. Ma credo che gli anticorpi esistano e alla fine avranno la meglio. Tutto ciò però richiede uno sforzo collettivo di redistribuzione della ricchezza e un grande investimento in istruzione e cultura, senza il quale non si va da nessuna parte.

E ora un’ultima domanda scontata, progetti futuri?
Un noir che racconti la periferia, la mia periferia, quella che ha subito lo strazio del crollo del ponte Morandi.

MilanoNera ringrazia Bruno Morchio per la disponibilità
Qui la nostra recensione a Uno sporco lavoro
La foto di Bruno Morchio è di @Michele Corleone

Patrizia Debicke

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