Intervista a Antonio Manzini, al cinema con “Cristian e Palletta contro tutti”

Domani 9 Giugno uscirà Cristian e Palletta contro tutti, il tuo primo film da regista, ci accenni qualcosa della trama?
Cristian e Palletta sono due ragazzi disperati alla ricerca della botta di fortuna che potrà finalmente svoltare le loro esistenze. si metteranno in qualcosa più grande di loro. E’ la storia di una generazione che aspetta l’impossibile, che cerca l’introvabile, che spera in un futuro che non c’è e si attacca a qualsiasi cosa pur di tirare a campare. L’occasione nasce quando due balordi di quartiere chiedono a Cristian di portare un carico di cocaina nel Lichtenstein. Lì c’è una frontiera, ci sono da affrontare, forse, cani antidroga, e l’idea di come fare gliela suggerisce John Benzedrina, un tossico di Frattocchie che non si ricorda neanche più il suo vero nome: agire come quelli del cartello di Medellin, che cospargono il carico di droga con la pipì di giaguaro. La ricerca della belva, cosa piuttosto difficile a Roma, coinvolgerà i due in un’avventura che li spingerà fino in Puglia e a scontrarsi con una famiglia mafiosa dedita al traffico di stupefacenti. La ricerca e l’attesa del giaguaro, il godot della generazione che oggi si affaccia sul mondo del lavoro, credo sia una metafora piuttosto chiara.

Come e quando è nata l’idea del film?
Era un racconto. In un periodo di non lavoro mi sono divertito a sceneggiarlo. Poi è arrivata una produttrice, Flavia Parnasi, che ci ha creduto e l’ha messo su. E’ stato tutto casuale, fatto fra amici, a basso costo con tanto cuore e amore.

Dopo il successo di Perfetti sconosciuti e Lo chiamavano Jeeg Robot, si sta muovendo qualcosa di nuovo nel panorama cinematografico italiano?
Non lo so, non ne ho la più pallida idea.

Ho letto che è la tua “opera prima”, ma wikipedia mi dice che hai già curato la regia di altri film e cortometraggi…
Ho girato sei cortometraggi in tanti anni, sempre per provarmi, per divertirmi e vedere cosa succedeva. Qualcuno fu preso a Locarno, altri vinsero premi importanti. Uno fa parte di un film collettivo che di intitolava “Intolerance” del 1995. Ero insieme a un gruppo di registi meravigliosi, oggi diventati i cineasti di punta del nostro cinema: Gabriele Muccino, Virzì, Marco Simon Puccioni, Roberto Giannarelli…

Com’è Manzini regista? L’esperienza di attore aiuta nel passaggio dietro la cinepresa?Com’era l’atmosfera sul set?
Certo, 25 anni di set aiutano. Ho sempre cercato di avere sul set armonia e serenità. La troupe era meravigliosa e in quattro settimane, tanto poco sono durate le riprese, mai uno screzio, mai un problema. Sembravamo un gruppo di amici in una scampagnata. Dipende questo dalla positività che si riesce a comunicare, dall’amore e dal rispetto per il lavoro degli altri. Ci tengo a dire che non abbiamo fatto neanche mezz’ora di straordinario! Perché tutti davano il massimo, tutti hanno voluto bene al film e questo io credo si veda.

Ci racconti qualche retroscena?
Risate. A volte non si riusciva a completare la scena perché scoppiavamo a ridere. Era contagioso. Io credo che tutti conservino un ricordo bellissimo di questo lavoro, gli attori, i capi reparto, tutti. C’era così poco tempo che spesso non potevo andare a vedere le scenografie preparate dalla bravissima Arcangela di Lorenzo. Le dicevo al telefono: “Arca’ non posso venire, sto girando  e tempo non ce n’è. Mi fido, il circo sarà bellissimo!” (c’è un circo ricostruito nel film) ed era così. Meglio non si poteva avere.

Il motto di uno dei due protagonisti del film è : la botta di culo prima o poi arriva
Tu condividi questo pensiero?
Assolutamente no.

Attore, sceneggiatore, regista, scrittore di successo, hai altri progetti ? Sogni nel cassetto da realizzare?
L’attore non lo faccio più. Il regista credo dopo quest’esperienza, è un lavoro che lascerò perdere. Continuo a scrivere, è quello che mi piace di più. Sogni nel cassetto sono le storie che ho voglia di raccontare. C’è tutto uno schedario pieno!

Cristina Aicardi

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