Intervista a E.O. Chirovici – Il libro degli specchi

51xtbQFKqlL._SY346_Eugen Ovidiu Chirovici è nato nel ’64 a Fagaras in Romania. Dopo essersi con successo dedicato in patria alla professione di economista, giornalista e scrittore, da qualche anno si è trasferito con la famiglia in Inghilterra, dove ha pubblicato il suo primo romanzo in lingua inglese, The book of mirrors, in poco tempo divenuto un successo di pubblico e critica. A febbraio il suo romanzo è arrivato nelle librerie italiane (Casa Editrice Longanesi), con il titolo Il libro degli specchi.

Abbiamo incontrato Eugen in occasione di Tempo di Libri, la prima fiera dell’editoria a Milano.

Se dovessi consigliarmi il tuo libro, che caratteristiche mi descriveresti, cosa ci trovo?
Anzitutto definiamo a quale categoria appartiene il mio libro, che è stato catalogato come un giallo o un thriller a seconda del Paese in cui è stato pubblicato.
Io invece penso che non basti leggere due o trecento pagine di un libro per catalogarlo come giallo o thriller o libro di suspense. Il mio libro è davvero diverso, è più di un libro su un delitto. È, direi, non un libro giallo o su un delitto; riguarda un delitto ma non è un libro che riguarda solo un delitto, infatti la trama si dipana su tre differenti punti di vista e prospettive e il mio libro dà voce a tre personaggi principali e se dovessi definire chi è il personaggio principale del mio libro io direi che è il tempo, declinato nella memoria e nei ricordi, perché noi siamo bravissimi a falsificare i nostri ricordi. Pare che l’80 per cento dei nostri ricordi siano falsi e questo mi ha attirato dal punto di vista psicologico, nel senso che essendo io per natura interessato alla psicologia mi ci sono interessato ancora di più scrivendo questo libro e sono arrivato alla conclusione che ogni scrittore dovrebbe interessarsi e occuparsi di quello che conosce di più e di quello che è il suo background.

Secondo te dunque quali sono gli strumenti che un autore dovrebbe utilizzare per raggiungere il meglio?
Prendiamo John Grisham, che ha dato inizio al genere del legal thriller… Se uno è dentro a quel settore, riesce a dare il meglio di se stesso… Nel lavoro di preparazione al libro ho imparato milioni di cose e informazioni. Ho letto almeno 500 libri di psicologia prima di scriverlo: il libro è complesso ma anche semplice nella sua complessità. Dal punto di vista delle critiche, le peggiori sono che è un libro diverso, intelligente e raffinato. Se queste sono le critiche, io mi guardo bene dal contraddirle.
Un altro esempio è Umberto Eco: ancora più calzante, esempio più lampante di come la conoscenza sia necessaria per scrivere. Lui ha preso tutta la sua conoscenza ed è riuscito a scrivere un libro come il Nome della rosa. Senza la sua cultura non avrebbe potuto scrivere opere di tale livello.

 Grandi scrittori sono quindi anche grandi lettori, o almeno dovrebbero. Tu cosa ami leggere?
Sono tanti gli scrittori che apprezzo di più… al top ci sono Hemingway, Salinger, Albert Camus,  Dürrenmatt e molti altri.

Abbiamo detto che il tuo romanzo ha tre “io narranti”… Quanto è stato difficile calarsi in tre protagonisti diversi?
Non è  stato difficile armonizzare le tre voci, anche potrebbe sembrarlo. Il primo protagonista è uno studente ventenne, quindi usa un linguaggio particolare, con dello slang; bisogna stare attenti a come si esprimono i giovani. Il secondo protagonista è un giornalista contemporaneo, poi c’è l’ispettore in pensione sui 60/65 anni di età. È stato complesso dare voce a questi tre personaggi, ma io sono riuscito a farlo abbastanza bene, anche perché non è stata la prima volta. Sul fatto che non ci sia una donna come protagonista, non so che dire… lo scrittore quando si accinge a scrivere un romanzo si sente un po’ come Dio, nel senso che ha questo potere di scegliere storia, personaggi, trama, ma nel mio caso non è così. Forse perché io dipingo, ho una zona particolare dove riesco a visualizzare le mie storie e per me è stato come se usassi le dita per dipingere. La storia sta sempre dentro la prima immagine che ti viene in mente quando ti accingi a scrivere. Quando scrivo ho un’immagine in testa e poi capisco che c’è tutto dentro quell’immagine. Poi posso impiegare anche mesi per scrivere, ma tutto il buono o il cattivo è lì dentro.

Tre protagonisti al maschile… e il lato femminile?
Un personaggio femminile comunque c’è ed è Laura Baines: non è una narratrice, ma è un personaggio… Io, prima di questo, ho scritto altri libri: uno era una fiction storica e lì c’era una narratrice, una cameriera. È ambientato ai tempi della Regina Elisabetta I e non ho trovato particolari difficoltà a fare parlare la mia narratrice, anche se molti mi avevano detto che sarebbe stato difficile entrare nella sua testa. In questo caso la narratrice femminile parla di tre protagonisti maschili. Prima di lasciare la Romania ho scritto sedici libri, undici romanzi e cinque saggi. Questo storico, ambientato nel sedicesimo secolo, è quello che fa più da contraltare al mio ultimo.

 Hai detto che per scrivere parti da un’immagine che contiene un’idea da cui poi si sviluppa il libro.
Non è proprio così, non è che la mia immagine si trasformi in un’idea o viceversa. È molto diverso per ognuno dei due generi che io scrivo… narrativa e “non” narrativa. Nelle mie opere non di narrativa il processo è diverso perché l’opera si basa su un lavoro completamente intellettuale… mi viene un’idea, faccio tutta una preparazione e scrivo un saggio su questa idea. Per la narrativa è tutto diverso; è come se questa immagine che mi viene davanti agli occhi mi sorprendesse, è come se tu vedessi una cosa accadere e sentissi una voce che ti parla e ti guida durante la narrazione.

Qual è dunque il processo che segui per la realizzazione delle tue opere?
Ritorniamo a parlare dell’immagine… si può pensare che ero a casa, stavo pensando a scrivere un libro e mi piaceva scrivere un libro su quanto fallace fosse la nostra memoria e quanto sbagliati spesso siano i nostri ricordi. No, non è stato così. Non ho fatto questo processo mentale; stavo a casa mia e ho “visto” due giovani dentro una cucina, un ragazzo e una ragazza, ho capito che uno era uno studente che tornava dall’università e trovava una nuova inquilina, giovane, capelli biondi, occhiali, che stava schiacciando un tubetto di mostarda per un hot dog e hanno così iniziato a parlare e conoscersi. La storia può sembrare ordinaria, non c’è sangue, non c’è mistero… ma dopo un po’ ho iniziato a vedere un carcere, che il ragazzo era uno studente inglese, che la sua nuova coinquilina era la protégé di un grande professore che guarda caso era stato ucciso, e insomma nel giro di qualche ora ho capito che lì c’era la storia, c’era il delitto e in tre giorni ho messo a punto a grandi linee il resto della trama. Un po’ come si fa nel test di Rorschach: a primo acchito vedi solo delle macchie di inchiostro, poi saltano fuori delle immagini e tu le interpreti… ecco, per me è stato un pochino così. Questa storia non è un po’ come vedere una farfalla volare o un rifugio in montagna dove sono stato tempo fa, e sulla base di questi ricordi cercare di riposizionare una storia; non è questo il genere di processo. Io vedo l’immagine e la seguo pedissequamente.

E per quanto riguarda l’ambientazione?
Io a quel tempo stavo in Inghilterra, a poche miglia da Oxford… un posto meraviglioso, pieno di bei personaggi. Perché Princeton? Io l’ho visitata e non mi aveva colpito molto, è che dentro quell’immagine ho visto Princeton e mi sono detto che di quello dovevo parlare.

Se non ricordo male, hai scritto anche racconti. Funziona lo stesso con l’immagine anche per i racconti, è lo stesso meccanismo?
No, è diverso e con i racconti è molto più difficile. I racconti sono più carne e sangue, anche per questo i grandi narratori come Cechov sono rari. Io ho scritto racconti all’inizio ma poi sono passato al romanzo, che può sembrare molto più complesso. Io, se devo visualizzare le differenze, potrei dire che il racconto è come un incontro di boxe dove il lettore viene messo ko  immediatamente, è un pugno unico che ti stende e finisce lì. Nel romanzo invece l’incontro si vince ai punti, un pugno dietro l’altro e attraverso vari fattori (caratteri, ambientazione, ecc.).

 La storia della pubblicazione di questo tuo romanzo pare a sua volta un piccolo romanzo. Ce ne vuoi parlare?
Sì, stavo cercando, per ovvie ragioni, di presentare il libro negli Stati Uniti e in Inghilterra. Devi avere un agente letterario altrimenti le grandi case editrici non ti accettano il libro e allora ho cercato un agente letterario, anche perché avevo già fatto delle proposte che erano state rifiutate. Ho mandato una parte del mio manoscritto a una ventina di agenti americani e pensavo che potessero essere interessati, anche per l’ambientazione del libro. Qualcuno mi ha incoraggiato a mandargli il libro, che però alla fine era stato rifiutato da tutti, senza neanche dirmi il perché. Ero piuttosto deluso ed eravamo pronti a trasferirci a Bruxelles, ma all’ultimo momento ho trovato una piccola casa editrice con pochissimi scrittori e ho pensato di scrivere a loro e ad altri tre o quattro ancora. Mi chiama uno di loro che mi dice che è entusiasta del libro e così ci incontriamo e mentre stiamo per firmare il contratto lui mi dice che il libro è talmente bello che mi converrebbe contattare altri perché loro sono piccoli e neppure in grado di darmi un anticipo e garantirmi una certa tiratura. Io ero molto stanco  e mentre bevevamo il caffè dissi “fammi firmare il contratto e va bene così”. È strano che un agente letterario mentre ti dice che il tuo libro gli piace ti consigli di andare da qualcun altro, è una storia romanzesca anche questa, però lui mi ha obbligato a provare altre volte, ho chiamato altre case editrici in Inghilterra; una mi ha richiamato e così il primo fece un passo indietro e mi lasciò lavorare con Peters Frazer, un altro agente letterario che in pochi giorni chiamò altre case editrici. Io ero scettico, ma lui, nonostante la giovane età, mi disse che il mio romanzo sarebbe stato un grande successo e in effetti in una sola giornata ebbi offerte da dodici Paesi. È strana la storia di questo libro…  lo stavo quasi regalando e invece è diventato un grande successo.

 

 

 

Gian Luca Antonio Lamborizio

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