Intervista a Dario Crapanzano

Dario Crapanzano: il giallista che fa scoprire e amare le atmosfere degli anni ‘50

download (2)Quando si legge Crapanzano ci si innamora inevitabilmente. Si amano le sue trame, i suoi personaggi descritti così minuziosamente che sembra di conoscerli di persona e soprattutto ci si innamora delle atmosfere e del mondo del secondo dopoguerra italiano. Per i milanesi di questa generazione è scoprire una Milano inedita e affascinante, per tutti gli altri e vivere una Italia ancora in parte “ammaccata” ma pronta a reagire e a risorgere riscoprendo le piccole cose come il cibo buono e le gite in lambretta, le canzonette alla radio e i fumetti a puntate.
Crapanzano ce lo racconta in questa intervista.

Dario, come le è venuta l’idea di riportare la Milano degli anni Cinquanta in una serie di gialli?
Il tutto parte del fatto che io quella Milano l’ho vista e l’ho vissuta da piccolo e quindi mi è piaciuta e continua a piacermi l’idea di riportare gli usi, i costumi, i luoghi di quell’epoca in un racconto giallo che poteva, poi, interessare al lettore anche per questo aspetto.

Il personaggio del commissario Arrigoni piace a tutti i suoi lettori nonostante i suoi piccoli difetti come quello di mangiare sempre troppo, fumare e prendersi qualche pausa di troppo. Quale è il segreto di questo successo?
Il commissario Arrigoni anche se è liberamente ispirato alla figura di Maigret e un po’ lo ricorda è comunque sviluppato in modo autonomo e per questo rispecchia molto quello che era l’uomo del dopoguerra italiano. Ama mangiare e il buon cibo perché negli anni Cinquanta si arrivava da un periodo di magra, fuma il sigaro e non la pipa, hai i suoi tempi che però sono tutti finalizzati alla risoluzione del caso e ama passeggiare sui Navigli per compensare a tutto questo. Questa sua umanità lo rende più persona e meno personaggio letterario, forse per questo è così amato dai lettori.

Parliamo delle “sue” donne. Tutte o quasi le presenze femminili dei suoi romanzi sono donne forti, coraggiose, determinate, anche quando sono personaggi negativi come la protagonista di La bella del Chiaravalle, o del tutto positivi come la bella Margherita del suo ultimo lavoro, La squillo e il delitto di Lambrate. Da dove parte questa scelta?
Parte dal fatto che io amo le donne, tutte le donne, e ci vado molto d’accordo. Sono cresciuto con mia madre e con mia nonna e ho amato loro moltissimo. Mi hanno insegnato molto ed è per questo che mi piace trattare bene tutte le donne, anche nei miei romanzi.

Molti dei suoi lettori sono affascinati non solo dalle bellissime trame dei suoi gialli ma anche dai luoghi che lei descrive, dalle botteghe che non ci sono più, dalle strade dove passavano i tram, dagli usi e costumi della Milano degli anni ’50 compresi oggetti come vecchie radio, fumetti a puntate, gonne strette e lambrette. Le piace questo ruolo anche in parte di storico oltre che di narratore?
Certo, mi piace moltissimo perché sono tutti ricordi miei, cose che ho vissuto in prima persona come andare a comprare i fumetti sulle bancarelle dell’usato, ascoltare la radio perché era l’unico media del tempo per essere informati o trascorrere qualche ora di svago, camminare in luoghi di Milano dove passava il tram, come l’attuale e pedonalizzato Corso Vittorio Emanuele. Per questo quando scrivo i miei romanzi la parte storica finisce per diventare, inevitabilmente, anche una parte di memoria e credo che questo piaccia molto anche ai lettori.

Quasi tutti i suoi gialli sembrano essere stati scritti già come pagine da cui trarre riduzioni teatrali o cinematografiche. Ha mai pensato a un risvolto simile?
Ci ho pensato e ho anche contattato qualche produttore ma proprio per la natura descrittiva dei miei romanzi sarebbe una spesa eccessiva di realizzazione e produzione. Significherebbe riscostruire con cura e minuzia interni ed esterni. Luoghi che non ci sono più. Costumi. Accessori. Forse, l’unico dei miei gialli che potrebbe vedere una riduzione a teatro o al cinema potrebbe essere proprio il mio ultimo lavoro, La squillo e il delitto di Lambrate perché è un romanzo che ha molti interni e probabilmente sarebbe più facile da trasportare a teatro o al cinema.

Antonia del Sambro

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