Intervista a Erica Arosio e Giorgio Maimone – Non mi dire chi sei

download-2Giuditta arriva a Milano nel 1962 e trova un mondo completamente diverso dalla provincia da cui proviene. Credi che oggi la provincia sia cambiata molto? Che una nuova Giuditta, arrivando oggi in una grande città, si troverebbe subito completamente a suo agio?
Secondo me la televisione, internet, l’omologazione e la globalizzazione si sono sparse un pochino dappertutto. Certo rimane ancora una grossa differenza tra la provincia e la città, basta guardare come si vestono le persone: cioè, girando per la città, noti che i milanesi sono vestiti in modo diverso da quelli della provincia, non c’è dubbio alcuno. E la provincia rimane ancora oggi un ambiente più protetto, ovattato, forse anche più pettegolo. Pettegolo nel senso che la gente si conosce di più e forse una certa mentalità è più lenta a cambiare.

Ci sono autori che, quando scrivono, quasi non vanno d’accordo con loro stessi. Come avete fatto voi a trovare questo equilibrio perfetto, che non viene scalfito da critiche e gelosie?
Guarda, in realtà è stato semplice e naturale. Da una parte per una buona stella caratteriale reciproca, nel senso che siamo tutti e due generosi, nessuno dei due è competitivo, quindi già questo è un buon punto di partenza. Nessuno dei due sta a chiedersi “ho fatto di più io o ha fatto di più lui”, facciamo e basta. Lavorando assieme, tutti e due abbiamo fatto una riflessione sul nostro passato giornalistico, arrivando alla conclusione che, se avessimo potuto lavorare con la stessa tranquillità e con la stessa fiducia con cui lavoriamo assieme, avremmo prodotto dieci volte quello che producevamo. Perché, quando tu sei in un giornale, per il 20% del tuo tempo produci, l’altro 80% se ne va via in fatiche inutili, in tensioni, in litigate. insomma: hai un sacco di grane.
Io sono stata per tanti anni in un giornale e ti posso assicurare che la maggior parte del tempo veniva buttato via in sciocchezze. Adesso invece è fantastico avere accanto una persona con la quale non devi mai guardarti alle spalle perché la fiducia è assoluta, con la quale non c’è competitività, o almeno, la competitività è positiva e serve per raggiungere un risultato migliore.
Conoscendoci bene sappiamo quali sono i, per così dire, “difetti” della nostra scrittura i punti sui quali discutiamo: io per esempio cambio molto i soggetti, dalla prima alla terza persona, e a volte sono molto ermetica e Giorgio meno, lui invece ama la battuta. Insomma quando scrivo un pezzo e poi lo rileggo, so riconoscere i passaggi dove Giorgio avrebbe qualcosa da dire, e quindi mi fermo anch’io a riflettere. Poi magari continuo lo stesso, ma riesco a leggere anche con i suoi occhi. Poi abbiamo dei punti in comune, leggiamo gli stessi libri, guardiamo insieme dei film, delle serie tve ne discutiamo. Ci chiamiamo La factory. E tutto questo lavoro serve, così come è indispensabile discutere, parlare per scrivere poi insieme. Io sono migliorata molto e poi c’è anche questa contaminazione stilistica che fa sì che alla fine nemmeno noi riusciamo quasi più a distinguere chi ha scritto un pezzo e chi un altro. Anche perché mettiamo le mani nei reciproci capitoli e quindi, alla fine, è tutto davvero un lavoro di coppia.

Avete detto che il linea di massima il personaggio di Greta è tuo, mentre Marlon è di Giorgio, e poi ci sono i personaggi secondari. E’ mai capitato che un personaggio creato da te e poi passato nelle mani di Giorgio, o viceversa, abbia subito delle trasformazioni che non avevi immaginato?
No, perché noi lavoriamo molto sui personaggi, li definiamo prima, facciamo delle schede di un paio di pagine, quindi sappiamo come è fatto. Poi se, nel momento in cui io e Giorgio lo “manipoliamo”, ci accorgiamo che non risponde più a quello che avevamo predefinito, ci fermiamo e riflettiamo sul perché del cambiamento. Noi dedichiamo un sacco di tempo a discutere sui personaggi, su quanto si debba dire di loro e su quanto invece vada lasciato all’immaginazione del lettore. Io sono convinta, per esempio, che un personaggio non vada “dato” completamente.
Nella costruzione dei personaggi, divisi grossolanamente in buoni e cattivi, quali sono i più interessanti da creare?
Sai, tutti hanno un lato oscuro, perché tutti hanno alle spalle una storia che non conoscono completamente. Tutta la nostra storia psicanalitica è una storia oscura I cattivi sono divertenti. I buoni non sono mai completamente buoni e i cattivi mai completamente cattivi. Per entrambi è interessante andare a vedere le radici e su questa cosa Giorgio mi prende spesso in giro perché io inserisco mamma, papà, cugini, zii per conoscere e capire bene la storia del personaggio.
Quando penso a un personaggio immagino anche tutta la sua storia, ciò che lo ha fatto diventare quello che è.

Quanto è difficile raccontare una donna degli anni ’60 senza metterle addosso tutta la conoscenza, l’esperienza e la consapevolezza di una donna di oggi?
Guarda, in verità è molto facile: a me e a Giorgio è bastato pensare alle nostre madri.
Alle zie. Alle donne che c’erano in casa quando io ero piccola. Io sentivo, percepivo la loro insoddisfazione. Quello che accomunava le donne di qualsiasi ceto sociale in quegli anni era l’infelicità. Non avevano un ruolo, non avevano nulla. Anche Greta nel libro dice” non può essere tutto qui, c’è qualcosa che non funziona”. E, in quei tempi, qualcosa che non funzionava c’era veramente.

Si può definire il vostro un “Noir di parole, musica e immagini”?
Sì, e aggiungerei anche di odori. Noi ” arrediamo” molto la scena. Ci rendiamo conto che quando scriviamo, noi “vediamo”. E se anche non scriviamo tutto, io personalmente ho bisogno di vedere per esempio la stanza, di sapere se fa caldo o freddo, se piove o se splende il sole, cosa indossano i personaggi e via dicendo. Credo che tutto ciò aiuti a entrare meglio nella storia e a rendere più viva la narrazione. E poi un personaggio deve essere raccontato a 360° per poter trasmettere delle emozioni al lettore. Io, da lettrice, non sopporto i romanzi “avari”, dove mi dicono poco, dove c’è una sola idea che viene tirata come un chewin gum fino alla fine.

Quanto è difficile stare attenti ai reali fatti di cronaca inserendoli in una trama?
Noi mettiamo anche fatti di cronaca, mettiamo le date, facciamo della “faction”. Ogni tanto romanziamo, ma il fatto storico è un bell’argine. Inserire un vero fatto di cronaca sullo sfondo è un arricchimento. La notizia che fa da sfondo a questo romanzo è l’omicidio Kennedy e sapere che mentre succedono quelle cose era il momento dell’omicidio Kennedy, inquadra meglio il periodo storico e l’atmosfera.

Cristina Aicardi

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