Intervista a Flavio Santi – la primavera tarda ad arrivare

Flavio Santi, nascita alessandrina ma solide radici friulane, è poeta, traduttore, saggista e scrittore. L’anno scorso è uscito il suo primo giallo noir, La primavera tarda ad arrivare, con protagonista il sanguigno Drago Furlan, ispettore presso il commissariato di Cividale, poliziotto-contadino innamorato della mamma, della fidanzata Perla, del maiale domestico che gli gira per casa come un cagnolino ma soprattutto della sua terra, il Friuli, misteriosa, suggestiva marca al confine con la Slovenia.

Flavio, nel mio cappello a questa intervista ho cercato di riassumere le tue molteplici attività. Ma se tu ti dovessi descrivere in tre righe?
Faccio di meglio, in tre parole: un canta-storie.

Tu sei anche poeta. Quanti spunti per questa tua arte può offrire una terra incantata, sospesa fra mare e montagne, come il Friuli, di cui, come Drago Furlan, il protagonista del tuo ultimo libro, sei evidentemente innamoratissimo?
Secondo me, il Friuli riesce, nonostante tutto, a conservare una sua purezza, sia nel paesaggio sia in chi ci vive, una sua umanità profonda e non scontata, di contadini che davanti a un bicchiere di vino sono capaci di discutere di Dio, di fisica e metafisica, di ogni cosa, con una grazia rara e mai banale.

Se non erro, hai scritto anche molto in dialetto friulano. Quanto contano i dialetti per la consapevolezza delle proprie origini e della propria storia?
In Friuli la lingua madre, la marilenghe come la chiamiamo noi, è il friulano, l’italiano si impara a scuola, lo si sente in televisione. Parliamo una lingua (non un semplice dialetto, attenzione) che ha una tradizione millenaria. Il ce-fastu che usiamo ancora oggi (cosa fai, vuol dire) Dante lo sente e lo registra nel suo De vulgari eloquentia ai primi del Trecento. Proprio mentre stava sorgendo il castello di Colloredo di Monte Albano, dove Ippolito Nievo scriverà il grande romanzo italiano Le confessioni di un italiano. Per non parlare dell’eredità lasciata da Pier Paolo Pasolini.

Veniamo al tuo romanzo La primavera tarda ad arrivare. Come ti è venuta l’ispirazione per scrivere un giallo?
Da sempre sono un lettore di gialli, soprattutto i “classici”, Simenon, Agatha Christie, Stout, Ambler (tra i contemporanei nutro molta simpatia per Indridason, forse perché vedo delle somiglianze tra Islanda e Friuli), insomma adoro il giallo, penso che sia l’epica dei nostri anni, in grado di raccontare al meglio l’Italia e i suoi umori, così mi sono detto: al Friuli manca ancora il suo ispettore contadino, proviamoci, perché no?

Questo è un romanzo un pochino atipico, come ho scritto nella mia recensione. Del bel giallo ha proprio tutte le caratteristiche, colpi di scena finali compresi, ma non ne ha il ritmo incalzante e anzi sembra quasi seguire i tempi della natura piuttosto che quelli della suspense. Scelta voluta?
Sì, scelta dovuta. Drago Furlan asseconda i ritmi della natura, che sono non direi lenti ma cadenzati, ponderati, insomma umani. La provincia vive di tempi più dilatati. Senza dimenticare che sono vent’anni che il Nostro non indaga su un omicidio, è un po’ arrugginito. E poi c’è un’altra faccenda che complica le cose: Furlan è un uomo felice, si sente felice con poco, e non vuole turbare questa sua condizione. Non è il classico investigatore tormentato, dal passato burrascoso, è uno strano tipo d’uomo.

Dove hai trovato lo spunto per la riuscitissima figura dell’ispettore Furlan, poliziotto anch’esso molto atipico?
Basta entrare in un’osteria friulana e lì trovi il tuo Furlan. Drago è la sintesi di varie persone e personaggi: c’è un po’ di mio padre, un po’ del padre del grande Marco Simoncelli (Paolo, fisicamente e per la grande umanità), un po’ di Franco Causio, bandiera dell’Udinese, un po’ dei miei cugini, un po’ dei tanti friulani incontrati in osteria, alla stadio, in libreria (perché il Friuli è anche la regione dove si legge di più, Udine ha almeno una mezza dozzina di librerie attive, ci sono festival ecc.).

Domanda scontata: quanto c’è di Flavio Santi in Drago Furlan o comunque nel romanzo?
La voglia di raccontare il Friuli in tutte le sue sfaccettature è un po’ la mia “missione”, il Friuli come specchio anche dell’Italia, naturalmente. Sì, penso di assomigliare un po’ a Drago nel carattere ruvido, nelle mezze parole, nei borbottii, nell’amore per la campagna, la buona tavola, il buon vino, nel tifo per l’Udinese.

La primavera tarda ad arrivare è anche un inno ad ambienti e luoghi di certa ancor fascinosa provincia italiana. A quali non rinunceresti mai?
All’osteria, che è ancora uno dei centri sociali e umani della società friulana. In questo caso dico sempre: “L’osteria friulana andrebbe proclamata patrimonio dell’Unesco”.

Da addetto ai lavori, come vedi la scena editoriale italiana? Qualche giovane scrittore italiano che secondo te merita particolarmente?
L’editoria italiana è ottima, sotto tutti i punti di vista. C’è una cura e una passione che rimandano, se vuoi, alla tradizione umanistica: le grandi tipografie nascono in Italia nel Rinascimento, e questa eredità si vede benissimo ancora oggi. Certo, rispetto ad esempio a Francia, Germania o Olanda, c’è meno consuetudine alla lettura (esempio banalissimo: in metropolitana un olandese legge, non va su Facebook), per questo è fondamentale lavorare con le scuole e le librerie, le vere cinghie di trasmissione. Come scrittore consiglio Alberto Garlini, a fine febbraio esce per Mondadori un suo giallo, tenetelo d’occhio.

Fai una vacanza di una settimana sulle montagne del “tuo” Friuli. Che libri ti porti?
Uno scrittore che non si pensa mai in chiave gialla, ma a cui il giallo invece deve molto: il russo Anton Cechov, i suoi strepitosi racconti. Cosa c’entra con il giallo? Leggere Il fiammifero svedese per credere.

Vale ancora la pena, oggi, di provare a fare della scrittura, in tutte le sue forme, la propria ragione di vita?
Guarda, io non saprei fare altro, lettura e scrittura (e dentro ci metto traduzione, insegnamento, critica ecc.) sono la mia droga, il mio ossigeno. Se non leggo, traduco o scrivo sto male proprio fisicamente – oltre che mentalmente, in quei frangenti sono un gran rompiscatole, chiedere a mia moglie per dettagli. Caso personale a parte, la nostra civiltà è tornata comunque alla scrittura, non si è mai scritto tanto come in questi anni – vorrà pur dire qualcosa? Attraverso la scrittura, secondo me, passa tutto: dall’utilizzo di un farmaco (se il bugiardino non è chiaro, rischiamo l’intossicazione) ai videogame più sfrenati (sorretti da notevoli script) alle nostre amate soap o serie televisive (dove si va senza una sceneggiatura azzeccata?, se lo chiedeva già il regista Elia Kazan mi pare negli anni Cinquanta).

Ultima domanda di prammatica: l’ispettore Furlan e il suo tajut di quello buono torneranno presto a farci compagnia?
Manca poco, a fine marzo esce la nuova indagine: Furlan avrà una bella gatta da pelare, l’argomento stavolta sarà di scottante attualità e di estrema delicatezza. Titolo: L’estate non perdona.

Gian Luca Antonio Lamborizio

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