Intervista a Franck Bouysse – Ingrossare le schiere celesti

41cgitfb84l-_sx319_bo1204203200_Cos’è per lei il Noir?
Quando si parla di Noir non posso fare a meno di pensare a Faulkner, un autore fondamentale per me. Si crede che il noir sia assenza d luce ma non è così, ci devono essere dei contrasti luminosi e, con la propria scrittura, l’autore deve riuscire a coglierne le sfumature.

Da dove nasce l’idea per la stesura di Ingrossare le schiere celesti?
Il punto iniziale è sempre un’emozione. Ingrossando le schiere celesti è nata mentre guardavo il documentario Profils paysans di Raymond Depardon. Nelle immagini si vedeva un contadino seduto in cucina, sul tavolo c’era una tovaglia cerata, una tazza di caffè, un pacchetto di Gitanes e un televisore sul frigorifero che trasmetteva il servizio del funerale dell’Abbé Pierre. Mi colpì al punto da farmi pensare che un giorno avrei scritto un romanzo che sarebbe iniziato così. Anche se ancora non sapevo come si sarebbe sviluppato, è stata questa scena a suscitare forti emozioni e moltissimi ricordi legati alla mia infanzia.
Ci si potrebbe chiedere perché sono stato trafitto da questa situazione di vita quotidiana. Perché ho colto la bellezza di quell’istante; le Cevenne sono un territorio protestante e quel contadino apparteneva a quella terra, alla sua tradizione, e stava guardando i funerali del cattolico Abbé Pierre. Era un momento che andava oltre la religione, il sacro e io volevo edificare quel ponte che lega questi due mondi attraverso gli occhi di quella persona.

Leggendo il suo romanzo e conoscendo la storia di Gus e Abel ci si può chiedere: la nostra esistenza è determinata soprattutto da ciò che non conosciamo?
Solo la morte trasforma la vita in destino”. Io sono d’accordo. Il destino si concretizza o si parla di destino dopo che le cose sono già capitate, sono già accadute. Si, si può parlare di tante cose, di caso, determinismo ma tutto questo poi viene qualificato come destino e quindi in questi territori di cui stiamo parlando, la nozione di destino è particolarmente radicata. Devo dire che io personalmente non credo nel destino, ma in questo caso in questo universo è come se fosse una sorta di confessione della sconfitta, come se si riconoscesse da prima una sconfitta, cioè la gente si dice non poteva andare altrimenti? È successo così perché così doveva essere, una sorta di accettazione da prima, e poi c’è la relazione con il passato a me piace dire che ho scritto questo libro al presente del passato, nel senso che è un presente in continuità col passato ed è un mondo che è fatto in questo modo, un mondo che deve continuare allo stesso modo che non può essere scalfito in nessun modo, in nessuna maniera e se qualcuno lo scalfisce, lo tocca e lo influenza come è capitato nel libro, effettivamente le cose cambiano e qui nasce l’interesse per la storia e l’interesse di questo romanzo così radicato nel mondo rurale francese.
Sono d’accordo con Malraux quando afferma che “La tragedia della morte è tale che trasforma la vita in destino”. Il destino si concretizza quando ormai tutto è già avvenuto. Si può parlare di determinismo o caso ma io non credo al destino. Nella regione in cui è ambientato il romanzo, la nozione di Destino è particolarmente radicata. In questo frangente è una sorta di dichiarazione di sconfitta, una accettazione a priori e rassegnata di ciò che sarà. Ho scritto Ingrossando le schiere celesti mantenendo una forte relazione con il passato, mi piace dire che l’ho scritto “al presente del passato” – una definizione usata da Sant’Agostino – per sottolineare quella continuità del mondo rurale francese, una realtà che non deve essere scalfita o turbata in alcun modo, altrimenti le conseguenze travolgono chi disturba questa strana armonia.

Lei ha uno stile e un modo di narrare molto particolare, quale consiglio darebbe a chi intendesse intraprendere la dura arte della scrittura?
Se una persona vuole scrivere o sente il bisogno di comunicare qualcosa, lo farà. Però bisogna leggere moltissimo e concentrarsi su quegli autori che spronano alla scrittura. Quando avevo quindici anni lessi Faulkner, ma non riuscii ad apprezzarlo e anche intorno ai venti anni ottenni lo stesso risultato. A quaranta lo rilessi e provai la sensazione di trovarmi davanti a un capolavoro. Ecco, è questo che intendo quando parlo di autori che ti spronano, che ti danno il “diritto” di scrivere.
Lavoro molto sulla mia scrittura, mi piacere vedere e rivedere, scrive e riscrivere per affinare il mio stile ma, a un certo punto, capisco che bisogna accettare il proprio lavoro per quello che è e mostrarlo con onestà. Si può cercare la propria voce, il proprio timbro, quella cifra che vi distingue dagli altri, ma non attraverso manierismi e artefatti studiati a tavolino per risvegliare emozioni.
Se la vostra voce è autentica il pubblico non mancherà e leggerà, ma se non lo è non porterà il vostro messaggio al lettore. Non è detto che non funzioni, ma credo che la sincerità sia sempre indispensabile.
In merito al trovare un punto di arresto nella riscrittura, credo sia necessario fermarsi nel continuo lavorio di lima per evitare la “sindrome di Grand” (personaggio della Peste di Camus impegnato a riscrivere in continuazione la prima frase del proprio romanzo).
L’arte è una confessione della propria sconfitta. Se ogni scrittore riuscisse a stendere un romanzo di cui è pienamente soddisfatto, non ne scriverebbe altri. Esiste chi non va oltre alla continua riscrittura della prima frase e sono come quelle persone che decidono di costruire o ristrutturare la propria casa ma senza mai giungere alla fine dei lavori. Iniziano, ma non finiscono mai e continuano a fare e rifare ogni cosa.
Quando queste persone la smetteranno di impegnarsi in una costruzione perpetua? Questo è difficile da capire anche perché ogni volta saranno insoddisfatti di quello che hanno fatto.
Ecco perché non bisogna mai rileggere i propri romanzi, altrimenti si corre il rischio di essere travolti da ciò che non è stato descritto, raccontato e da chissà quante altre mancanze vere o presunte.

A chi si è ispirato nella stesura di Ingrossare le schiere celesti?
Leggo ancora moltissimo. Non mi limito a una cerchia di scrittori ma, se possibile, cerco di scoprire nuovi autori da tutto il mondo. Sento il bisogno di nutrirmi e di farmi stupire dagli altri scrittori. Voglio vedere se hanno messo sé stessi tra le pagine del romanzo, per capire e assorbire tutto quanto hanno da dire.
Se dovessi fare una metafora delle mie letture, vi parlerei di un piatto. A volte assaggio una pietanza cucinata di cui riesco a riconoscere tutti gli ingredienti, altre in cui gusto quelle portate che sono un’esplosione di gusto, una carezza sul palato. Ecco, vi consiglio di nutrirvi di questi prelibatezze.

A cosa sta lavorando al momento? Avremo la fortuna di leggere un altro suo romanzo in Italia?
Per l’uscita dei miei romanzi in Italia non dipende solo da me – rivolge un sorriso all’addetta stampa di Neri Pozza Editore – insomma, chi ha orecchie per intendere…

Con i miei romanzi vorrei rendere omaggio agli ultimi “indiani” di casa nostra, quelle persone che vivono a contatto con la natura e di cui ho già raccontato in Ingrossando le schiere celesti, popolazioni che definirei come degli “indiani di casa nostra”. Per completare questo mio progetto mi ispiro, con le debite proporzioni, al lavoro di memoria storica e riscoperta fatto da Edward Sheriff Curtis con i Pellerossa e ad Alan Lomax con la musica blues.
Sento che queste persone sono destinate a scomparire e mi preme dedicare i miei romanzi a loro affinché possa almeno rimanerne il ricordo di chi ha vissuto la sua vita con dignità e convinzione.
Il ciclo è composto da vari romanzi, per la precisione sono quattro come le stagioni, in cui cambiano i protagonisti, le ambientazioni e le epoche storiche. Per ogni stagione cerco di narrare l’atteggiamento di queste popolazioni rurali nei confronti dell’esistenza. L’inverno è al centro di Ingrossando le schiere celesti, mentre Plateau (romanzo pubblicato in Francia nel 2015 con Éditions La Manufacture de livres) è ambientato negli altopiani della Montana ed esprime l’autunno. Ora sto lavorando a un terzo romanzo che mette in scena l’estate ed è una storia degli inizi del ventesimo secolo.

Mirko Giacchetti

Potrebbero interessarti anche...