Intervista a Giuseppe Miale Di Mauro – “La strada degli americani”(Frassinelli)

517qrGdT-fL._SX325_BO1,204,203,200_C’è una strada che conserva e racconta storie.Sono storie senza tempo che si svolgono lungo i suoi quaranta Km che dal cuore di Napoli portano alla periferia.Una di queste storie adrenaliniche la racconta il regista Giuseppe Miale Di Mauro nel suo thriller on the road “La strada degli americani”(Frassinelli)

Da autore teatrale a scrittore di un thriller on the road. Qual è stata la molla che ti ha avvicinato alla narrativa?
Il teatro è la mia vita. Da quando sono entrato in accademia d’arte drammatica mi sono dedicato anima e corpo al teatro, prima come attore e           drammaturgo, ora come regista, ma in parallelo non ho mai smesso di coltivare la mia passione per la letteratura. Divoro libri in quantità industriale e da sempre ho amato raccontare storie. Scrivere per me è una necessità, che sia teatro o narrativa. E non provo tanto disagio nella differenza dei linguaggi, anche se da qualche anno faccio più fatica a pensare storie da scrivere per il teatro, sono troppo affascinato dalle possibilità che regala la narrativa.

La strada nel romanzo ha un forte valore simbolico ma è anche una metafora?
Sono profondamente innamorato della circonvallazione esterna di Napoli. Delle sue ferite, del suo degrado, ma anche e sopratutto della sua storia. Negli anni della costruzione fu una strada innovativa, la prima con il doppio senso di marcia, qualcosa da custodire nel tempo. Invece l’hanno lasciata morire. Durante la stesura del libro la percorrevo spesso ed è stata fonte di grande ispirazione. Quella strada è metafora della vita, è specchio di una città che abbandona la periferia come se non fosse parte di sé, come una madre che fa “a chi figlio e a chi figliastro”, come si dice a Napoli.

Nel romanzo Napoli c’è ma è personaggio e spettatore, compare senza invadere la scena.L’ambientazione potrebbe essere anche un’altra metropoli?Utilizzi la tua città x raccontare una storia di respiro universale, senza confini o identità territoriale?
Nonostante questo romanzo sia fortemente legato alla città in cui si consuma la storia, spesso durante la stesura lo immaginavo in altri luoghi: in una strada lunga e deserta del New Mexico, in una carrettera del Sud America, ma anche in una risaia dell’Indonesia. Per raccontare questa storia mi sono ispirato a Eduardo De Filippo, che nei suoi testi spesso racconta il mondo attraverso le vicende di una famiglia, così ho provato a utilizzare una città per raccontare un mondo.

Si svolge tutto in un giorno e la trama si sviluppa su 3 punti di vista. Com’è stato raccontare le personalità forti e il debole filo che li fa oscillare tra il bene e il male?
Io sono nato in un quartiere periferico di Napoli ad alta densità criminale, e sono cresciuto camminando continuamente su quel filo che fa oscillare tra il bene e il male. I personaggi che racconto li ho visti, li ho vissuti, alcuni sono stati miei cari amici, alcuni si sono salvati, altri no. Non è stato difficile, è una condizione che conosco fin troppo bene. Molti di quelli hanno letto il libro, ed è stato emozionante parlarne, ricordare.

È sempre la realtà a ispirare le tue storie?
La realtà è una fonte d’ispirazione incredibile, io non riesco a farne a meno. Magari un giorno cambierò idea, partirò da altri immaginari, da altre fantasie, ma ora sono troppo affascinato da ciò che mi circonda, e non intendo solo nel piccolo della mia città, parlo del mondo. Io parto da una storia vera per raccontare la mia storia, come appunto succede ne La Strada degli Americani. La storia vera di partenza mi dà fiducia, mi fa sentire credibile, mi protegge. E mi lascia comunque libero di prendermi tutte le libertà che voglio, perché alla fine si tratta di un romanzo e non di un’inchiesta.

Che rapporto hai con i tuoi lettori?
Direi bello. Quando qualcuno mi chiede di firmare il libro gli scrivo anche la mia mail, così poi mi dice che ne pensa. Il mio lavoro è da sempre sottoposto al giudizio degli altri, sono abituato. Certo, non è facile accogliere le critiche o le stroncature, ma quando sono costruttive nel tempo aiutano a crescere.

Progetti futuri?
In teatro ho tre regie che andranno in scena nei prossimi mesi. Intanto sto provando a scrivere il nuovo romanzo (che ovviamente parte da una storia vera) sempre sotto l’illuminante e indispensabile guida di Arianna Letizia, che ha deciso di abbracciare questa croce! (la croce ovviamente sono io)

Ti piacerebbe vedere la strada degli americani in una trasposizione  cinematografica?
Dico sì senza pensarci un attimo. Ci stiamo lavorando. Certo, continuo a tifare per il libro, ma l’idea che si trasformi in qualcos’altro mi incuriosisce molto.

Quanto Napoli ti aiuta nel tuo lavoro?
Se non fossi nato a Napoli, molto probabilmente farei altro nella vita. Ed è questo uno dei motivi per cui non ho mai pensato di lasciarla. Napoli è un mio organo vitale. E poi Napoli, in questo momento storico, è profondamente viva dal punto di vista artistico. La amo e la odio, come succede in un profondo rapporto d’amore.

Cristina Marra

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