Intervista a Hans Tuzzi – La vita uccide in prosa

51a3ucNzQnLLa vita uccide in prosa è il nuovo romanzo di Hans Tuzzi, Bollati Boringhieri, attualmente nelle librerie.
Un nuovo romanzo. Qual è lo spunto che lo ha spinto a scrivere questa nuova storia gialla?

Le due precedenti inchieste di Melis avevano al centro, La figlia più bella il problema del Male assoluto (perché c’è chi nasce con anomalie genetiche?) e La belva nel labirinto quello del male che l’uomo fa all’uomo: perché l’uomo è lupo all’uomo? Questa invece è una storia di piccola e grigia borghesia, di vicini della porta accanto, una Italietta perbenista, egoista ma dal cuore di tenebra. Intorno, la Milano del 1988, la Milano dei soldi facili e dei fallimenti felici. La Milano degli avanzi di balera. Che a me sembra ieri, ma sono, me ne rendo conto, trent’anni fa…

Una domanda che avrei voluto farle da tempo: come nasce il commissario Melis, protagonista dei suoi libri?
Dall’aver conosciuto e frequentato esponenti di quella borghesia colta, coscienziosa, capace di grandi illusioni e grandi speranze – pensi, dopo la guerra, al Partito d’Azione – che in Italia ha sempre costituito l’esigua minoranza emarginata e mal vista sia dalla pubblica amministrazione dello Stato sia, spiace dirlo, dagli italiani, che non leggono nemmeno un libro l’anno e scelgono i governanti a propria immagine e somiglianza.

Gli anni Ottanta fungono da sfondo ai suoi lavori. Furono anni particolari tra la nascita del berlusconismo e un forte individualismo mascherato con un illusorio benessere. Cosa pensa?
L’arco narrativo delle inchieste di Melis parte poche settimane prima del sequestro Moro (16 marzo 1978: un assassinio che cambiò la storia del Paese) e si concluderà alla soglia della caduta del primo governo Berlusconi (17 gennaio 1995), passando attraverso gli ultimi colpi di coda dell’eversione e delle Stragi di Stato nel “paese di pilandia” craxiano che si sarebbe concluso nello sfascio dell’economia pubblica e nel gorgo dell’inchiesta di Mani Pulite. Anni di luci e ombre allora vissuti nel quotidiano e sui quali ora sono in grado di meditare con il giusto distacco, avvertendone ancora il calore di fiamma lontana. Sul berlusconismo, ciò che penso lo scrissi in Vanagloria.

Nei suoi libri non mancano citazioni letterarie, dunque è facile dedurre che lei sia un accanito lettore. Quali sono le sue ultime letture? E, dato che scrive gialli, è solito anche leggerne?
Sì, leggo molto: memorie, saggistica. Nei giorni scorsi, Solo ombre di Gonzales Palacios e Saturnini, malinconici, un po’ deliranti, di Nicola De Cilia sugli scrittori veneti del Novecento. Ora sto leggendo La differenziazione dell’umido di Giovanni Nucci: politica in salsa paradossale. Leggo relativamente poca narrativa e, confesso, ai gialli preferisco le ghost stories.

I suoi romanzi forniscono molti spunti di riflessione sulla società attuale. A parer suo, quali sono le debolezze che la affliggono?
La Rete modella la percezione della realtà, ed è un potente strumento politico usato quasi sempre in modo spregiudicato. Questo non è senza conseguenze per l’assetto sociale e per i rapporti fra Stati. Ho anche l’impressione che già ora chi è cresciuto su Internet abbia processi logici diversi dalle generazioni precedenti: mutano i principi di realtà, di non contraddizione, di causa-effetto. Tertium datur, tutto ci rende illusi di decidere mentre invece si viene diretti e manovrati. I casi Wikileaks e Brexit sono esemplari su come formare una pubblica opinione su dati parziali o fake news. Fortunatamente nel 2084 sarò altrove.

Lei è schivo e riservato, un’eccezione in un panorama di scrittori in cui l’apparenza molto volte è tanto…
Fosse stato per me, mai avrei rivelato la mia identità anagrafica. Non son nemmeno fotogenico.

MilanoNera ringrazia Hans Tuzzi per la disponibilità.
Qui la nostra recensione a La vita uccide in prosa

Mauro Molinaroli

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