Intervista a Marina Visentin – La donna nella pioggia

41Mrfn9AF7L._SX324_BO1,204,203,200_Oggi, 20 settembre, Marina Visentin presenta “La donna nella pioggia”  a Roma
ore 18.00
Arion/Feltrinelli
Via P. Da Palestrina 1/5
Interviene Letizia Triches

Un thriller psicologico con accenni noir. Come mai hai scelto questi generi?
Li amo come lettrice, prima di tutto. Sono generi in cui mi sento in qualche modo a casa. Il noir e il thriller psicologico sono fra l’altro generi che spesso si sovrappongono, sfumando uno nell’altro. E ciò che mi piace è soprattutto la capacità di entrambi di scavare nelle psicologie, negli abissi, negli anfratti, negli angoli in ombra, nelle nostre paure e nei nostri dubbi.

Stella, la tua protagonista, passa da una vita apparentemente tranquilla a un incubo. Crolla un quadro in casa e crollano pure le sue certezze. Diventa detective di se stessa?
Sì, la sua è esattamente un’indagine, però un’indagine un po’ particolare. L’obiettivo non è individuare un presunto colpevole, ma piuttosto mettere a fuoco una verità che per troppo tempo è stata tenuta nascosta. È un’indagine nel passato della sua famiglia, un tentativo di illuminare finalmente i tanti angoli in ombra, di svelare i tanti segreti che hanno condizionato la sua vita, ancora prima della sua nascita.

Stella e Rossana amiche-nemiche, possono essere considerate una l’alter ego dell’altra?
Sinceramente non le ho pensate in questo modo. La protagonista è Stella ed è attraverso i suoi occhi che noi vediamo Rossana: un’amica, quasi una sorella maggiore, un modello da seguire ma anche in qualche modo un ostacolo, una presenza ingombrante, un intralcio a un movimento libero di crescita, di emancipazione anche… Penso che nell’esperienza di ogni donna possa esserci una Rossana: l’amica perfetta, intraprendente, energica, volitiva, quella a cui tutto riesce bene, quella che sa sempre che cosa fare, quella a cui viene spontaneo affidarsi con fiducia… salvo poi scoprire che proprio questo tipo di persone può rivelarsi fin troppo abile nell’arte di manipolare gli altri!

I personaggi maschili sembrano fare da contorno. Sono le donne come Stella, Lea e Nina a essere indagate nel tuo percorso psicologico?
I personaggi maschili non sono un semplice contorno, nella misura in cui sono spesso le loro azioni o reazioni, i loro interventi, le loro parole o i loro silenzi a determinare quello che succede a Stella. Però è vero che sono visti dall’esterno. La loro psicologia non è assente ma è filtrata attraverso gli occhi di Stella. È il suo sguardo che li penetra, li indaga, li giudica. La psicologia femminile è senz’altro più approfondita, perché il punto di vista è quello di Stella e nei confronti delle altre donne c’è sempre un effetto di rispecchiamento, di riconoscimento reciproco.

Milano, Torino, Ascona, Buenos Aires,le città diventano specchio dei cambiamenti e degli stati d’animo di Stella?
Sì, certo, il percorso di Stella diventa anche un movimento nello spazio, un passaggio da una città fin troppo nota, consueta, percorsa infinite volte – Milano, la città dove è nata e cresciuta – ad altre città magari non del tutto estranee, come Torino, ma comunque percepite come “altre”, non del tutto rassicuranti, a volte addirittura pericolose. Stella fra l’altro arriva nella sua indagine fino a Buenos Aires, e ancora più lontano, fino in Patagonia, misurandosi con luoghi e spazi radicalmente diversi, lontani in tutti i possibili sensi. Eppure è proprio da questo confronto con ciò che è altro da sé che nasce la possibilità di ritrovare sé stessi.

Le parole e i disegni. Stella si esprime con i disegni e man mano si appropria delle parole. Il tuo può essere considerato un romanzo di formazione?
Certamente. Per me “La donna nella pioggia” è soprattutto un romanzo di formazione. Stella all’inizio è in una posizione di estrema debolezza, fragilità, inconsapevolezza. È una donna di quasi quarant’anni, con due figlie, che però sembra in qualche modo incapace di affrontare la vita in modo adulto. Come una bambina, si sente sperduta, insicura, inadeguata. Ha bisogno di vivere in qualche modo all’ombra di qualcun altro, di suo marito, della sua migliore amica. E anche i disegni sono per lei un modo di guardare il mondo tenendosi al riparo, correndo meno rischi possibile. Ma diventare adulti significa proprio questo: imparare ad affrontare anche i rischi, scoprire la propria forza anche attraverso la consapevolezza delle proprie fragilità.

La casa da rifugio diventa prigione per Stella?
Sicuramente sì, nella casa di Stella – un appartamento grande, bello, nel centro di Milano – c’è questa dimensione ambigua di nido che si trasforma in prigione, fondamentalmente perché si tratta di una casa che Stella non ha avuto la possibilità di scegliere. È una casa che suo marito ha ereditato dalla sua famiglia, talmente bella e comoda da proporsi come un regalo impossibile da rifiutare, ma quello che visto dall’esterno poteva sembrare un puro e semplice privilegio ai suoi occhi si è ben presto trasformato in una sorta di gabbia dorata, fonte soltanto di infelicità.

Nel romanzo affronti anche il rapporto genitori-figli.
Direi che è proprio questo il nucleo fondamentale del romanzo. La suspense, l’indagine, la ricerca della verità si gioca tutta all’interno della famiglia, o comunque nelle sue immediate vicinanze. Questo perché la famiglia è uno dei terreni fondamentali dove si gioca la costruzione della nostra identità. Nella famiglia di Stella si celano segreti sanguinosi, grandi sofferenze, tragedie avvenute nel passato ma che non possono fare a meno di influenzare anche il presente. Per fortuna, nella maggior parte delle famiglie non c’è nulla di tutto questo, ma in tutte le famiglie ci sono delle menzogne – a volte piccole, a volte più grandi – malintesi, ampie zone grigie di non detto, segreti e bugie che spesso incidono loro malgrado sul tessuto della nostra vita. Anche quando si tratta (e spesso è così) di bugie dette a fin di bene, da genitori che vogliono soltanto proteggere i figli, ma in questo modo finiscono col sottrarre loro un bene quanto mai prezioso: la verità.

La pioggia diventa simbolo e metafora. Prima scivola fuori, sulle vetrate, e poi inzuppa Stella?
Ho iniziato a scrivere questo romanzo durante una primavera piovosa e grigia, in una Milano inzuppata di pioggia. E da subito mi è venuto da prestare a Stella la mia stessa idiosincrasia: la pioggia, soprattutto la pioggia scrosciante e insistente, quella che continua per giorni e giorni a flagellare i vetri delle finestre, a trasformare le strade in fiumi da guadare, a me dà un invincibile senso di angoscia, di chiusura. La pioggia fuori dai vetri chiude l’orizzonte, ottunde i sensi, rende ciechi, preme da ogni parte, imprigiona. Questo è il senso profondo del titolo “la donna nella pioggia”.

Un romanzo che ha i ritmi di una sceneggiatura cinematografica: ti piacerebbe vedere la tua protagonista sul grande schermo?
Certamente sì, sarebbe una magnifica soddisfazione. Soprattutto perché io mi sono occupata di cinema, come giornalista e critica, per tanti anni e ho visto e continuo a vedere moltissimi film. Questo romanzo nasce inevitabilmente anche da tutta una serie di suggestioni cinematografiche, immagini provenienti dai film più diversi, e mi è venuto spontaneo costruirlo seguendo un ritmo cinematografico. Ogni capitolo, di solito abbastanza breve, è una scena. Alla fine di ogni capitolo si chiude una scena, si cambia luogo oppure punto di vista. Una scelta che mi è venuta istintiva.

Cristina Marra

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