Ogni popolo ha la storia e i governi che si merita – Intervista a Hans Tuzzi – La notte di là dai vetri.

Hans Tuzzi, da poco in libreria con La notte di là dai vetri, Bollati Boringhieri, ha gentilmente accettato di rispondere a qualche domanda.
download (2)La notte, di là dai vetri è ambientata negli anni Ottanta e quel che si racconta è un presagio di quel che sarebbe prevedibilmente accaduto in seguito. Come mai nessuno ha fatto nulla per impedire l’inevitabile deriva attuale?

Direi che molti si son dati da fare per portarci dove siamo (che è comunque sempre meno peggio di dove eravamo un anno fa), e che ogni popolo ha la storia e i governi che si merita. Coloro che preferiscono le tenebre alla luce, inoltre, sono molto più organizzati e determinati, come dimostra, in questi anni, l’uso politico dei social.

La mafia nel primo racconto si insinua, forse per la prima volta, nelle regioni del Nord ramificandosi in attività che spaziano dal calcio, alle scommesse, all’edilizia o alla finanza. Si poteva in qualche modo prevenire o comunque bloccare sul nascere l’arrembaggio mafioso?
Col senno di poi, un errore indubbio fu l’invenzione del soggiorno obbligato che di fatto favorì, contro le intenzioni dei legislatori. la diffusione mafiosa fuori dalla Sicilia. Con l’omicidio di Aldo Moro (la prima inchiesta di Melis è ambientata poche settimane prima del suo rapimento) la Democrazia Cristiana abbandonò ogni velleità di riforma sociale: due anni dopo, l’uccisione di Piersanti Mattarella sanciva in modo barbaro la collusione fra potere politico – non solo locale – e mafia. Invito chi legge a ricercare sul web notizie sulla “circolare Trabucchi”: traccia l’identikit di un Paese a sovranità limitata e spiega molto del rapimento Moro e di quel che ne seguì.

Il tempo e il paesaggio sono due protagonisti dei suoi racconti. Cos’è il tempo per Lei e qual è il suo paesaggio ideale?
Il tempo non è una retta. È un punto? Una curva? Posso soltanto dire che vi sono momenti nei quali gli strati del tempo, per me, si confondono o meglio: si sovrappongono. Faulkner in Requiem per una monaca ci ricorda come il passato non è mai veramente passato. Per me vale anche a livello fisico, visivo.
Personalmente ho sempre amato molto i deserti e le montagne dalle scoscese vette innevate: le Alpi e il grande arco himalayano in particolare. Nel testamento dispongo che le mie ceneri vengano disperse sul Cevedale. Del mare, invece, ho un sacro e ancestrale timore. I piccoli dottor Freud possono divertirsi.

Gli anni di piombo hanno segnato l’Italia e la nostra letteratura. Secondo Lei cosa ci aspetta nell’immediato futuro?
Per quest’anno ho indovinato che l’oro avrebbe toccato i suoi massimi… Battute a parte, con le dovute differenze vedo tornare alcuni elementi propri degli anni fra le due guerre mondiali. A una potente rete economica sovranazionale giocata su guadagni veloci e su finanze e beni sempre più virtuali si contrappone non già una seria valutazione di come rendere meno scandalose le diseguaglianze nel mondo, bensì tutto il repertorio di “fantasmi di pancia” del nazionalismo. Che è, si sa, l’ultima risorsa dei farabutti. Perciò non la vedo per nulla bene, a breve, perché, come dice Montaigne, gli uomini impazziscono subito in massa e rinsaviscono lentamente, uno per uno. Una cosa è certa: la prossima guerra non sarà l’ultima.

Eco ha sdoganato la narrativa di intrattenimento ritenendola interessante come oggetto di indagine, soprattutto in riferimento al pubblico che la consuma. Riflettere sul successo di un libro in definitiva significa riflettere sulla società che lo ha prodotto. Considerata l’attuale produzione libraria in Italia che osservazioni si potrebbero fare sul pubblico dei lettori?
Personalmente non do troppo peso alle etichette. La promessa è un giallo? La metamorfosi un horror? Lady Chatterley una storia d’amore? come Maurice? Cosa fa la differenza (c’è) fra La Certosa di Parma e I tre moschettieri? Mi chiedo invece che differenza vi sia tra i lettori italiani e quelli tedeschi, inglesi o francesi. Intanto, una borghesia meno numerosa omogenea e radicata e questo può spiegare il furore, in verità grottesco, delle avanguardie anni Sessanta nei confronti di autori forse commerciali ma degnissimi come Bassani o Soldati. Quel tipo di autori, cioè, che nel resto d’Europa costituiscono il forte aggregante per cui in Germania – collage di piccoli regni che diventano uno Stato unitario negli stessi anni dell’Italia, cui è simile anche per numero di abitanti e concentrazione linguistica – legga almeno un libro l’anno l’82% della popolazione contro il 46% dell’Italia. Cioè, neanche un italiano su due. Colpa, anche, degli autori? Sì, ma poiché non amo le polemiche né farò nomi né citerò premi più editoriali che letterari. Però è significativo che in Italia sia mancato il romanzo coloniale e post-coloniale (poche le eccezioni: Spina, Cialente…) o che ai romanzi che accompagnarono, con visioni diverse, la mutazione antropologica sociale urbanistica e paesaggistica del boom siano poi seguite poche opere capaci di meditare veramente su quel che è successo dopo gli anni di piombo e la strategia della tensione. Certo, questo nostro tempo sembra reclamare nuove e diverse tipologie narrative: in fondo, il romanzo è un genere carsico. E borghese.

Il genere poliziesco, che ha visto la sua origine nei paesi anglosassoni, ora è diventato comune anche in Italia e molti commissari, ispettori, detective sono protagonisti di libri e fiction. A cosa può essere dovuto questo proliferare di storie dal giallo al noir in Italia?
Già prima della “inutile strage” della Grande Guerra, Gide e Gadda ritenevano il “romanzo con delitto” la chiave migliore per rappresentare un secolo nuovo e feroce. Oggi, senza nulla togliere alla bravura di molti giallisti, gioca molto anche l’aspetto economico: un giallo, proprio perché considerato a torto o ragione intrattenimento, vende più di un romanzo. E gli editori se ne sono accorti. Poi, ovviamente, vi sono autori più dozzinali e autori che sanno veramente sezionare una realtà o un territorio grazie a una storia di crimine o malavita. Mi sembra però che in questo senso, e particolarmente in Italia, il noir abbia più corde al suo arco, e risponda meglio a questo bisogno.

L’uomo senza qualità è il paradigma di una società in disfacimento, incapace di reagire alle nuove istanze politiche e sociali. Come mai mutuare proprio da un personaggio di Musil la sua firma?
L’ha appena detto lei.

MilanoNera ringrazia Hans Tuzzi per la disponibilità
Qui la nostra recensione a La notte di là dai vetri.

Cristina Bruno

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