Invito a Capri con delitto – recensione e intervista a Emilio Martini, ovvero…



Emilio Martini
Invito a Capri con delitto
Corbaccio
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Alberto, amore mio… aiutami! Uccideranno anche me… Questo è lo spaventoso messaggio di una lettera che arriva dal passato, dal lontano 1976. La lettera, indirizzata allo storico, il professor Alberto Sorrentino, è firmata da Diana Meyer, ma lui la riceve solo quarant’anni dopo… Perché questa lettera, che era nascosta in un cassetto di una scrivania, è stata ritrovata per caso da Rita Esposito che gestisce l’impresa di pulizia incaricata di svuotare mobili e armadi, in vista della vendita di villa Hermione a Capri… La splendida villa Hermione, da troppi anni vuota e abbandonata, ancora avviluppata dal suo lussureggiante giardino, oggi trascurato e in disordine, e un tempo teatro di viziosi festini in cui giravano fiumi di droga.
Ma cosa è successo a Diane, l’affascinante pittrice austriaca, la moglie di Caio Braun, il bello e ricchissimo tedesco proprietario della villa che, in un bollente agosto caprese, aveva stregato l’anima e il cuore di Alberto Sorrentino, prima di congedarlo con solo poche gelide righe e sparire.
Il professore Sorrentino, dopo quel brusco e inspiegabile abbandono, si era rifugiato nel matrimonio con Paola, cugina delle madre di Bertè e avevano avuto un figlio. Poi per anni si era tenuto lontano da Capri, credeva di odiare e di aver dimenticato il suo segreto amore, ma ora quella lettera cambiava tutto. Forse Diana era stata costretta a lasciarlo? E dove era mai ora?
Al  professore ormai vedovo, o meglio ’o prufessore come da sempre in famiglia Berté veniva chiamato Alberto Sorrentino, non resta che telefonare al cugino acquisito, vice questore aggiunto a Lungariva, supplicando: «Gigi, ti scongiuro: vieni immediatamente a Capri! Sei mio ospite. Ho bisogno di parlarti de visu. Ti spiegherò tutto. Questione di vita o di morte».
Berté accetta, tra loro ci sono vecchi e saldi rapporti di famiglia. Deve dare una mano, non si può negare ma è dura. Tanto per cominciare è costretto a lasciare la sua bella casa gialla, a stare lontano dalla sua amata Marzia, e sa già che quello che l’aspetta a Capri non può certo essere una vacanza.  E scoprirà che nella famosa lettera si parlava anche di un attore morto…
Ma quanto è scritto è credibile? Bertè non può muoversi in veste ufficiale. Deve procedere con precauzione, navigando a vista, facendo domande plausibili, annusando l’aria e inventandosi un ruolo di romanziere. E se non bastasse c’è la complicazione dei molteplici aspetti psicologici di quanto accaduto, tanto lontano nel tempo. Il padrone di Villa Hermione sembra non ritracciabile e gli amici di allora, la baronessa Keller, appassionata fotografa, Cindy Morgan, moglie di un senatore americano e lo psichiatra Weiss, i testimoni superstiti, si trincerano dietro evidenti reticenze. E le memorie locali invece ricordano orgiastiche cerimonie dedicate al dio Mitra e alla dea Cibele. Insomma antichi leggendari misteri legati all’Isola Azzurra potrebbero avere un fondo di verità. Che qualcosa di terribile sia realmente accaduto? E soltanto quando Bertè scopre che il passato ha ucciso ancora e come, potrà finalmente provare a incasellare le tessere del puzzle e a ricostruire tutta la storia.
Ambiente di alto bordo internazionale con case da favola per un giallo che ci regala uno splendido viaggio a Capri, accompagnato da un perfetto giro storico turistico dell’isola, appagando anche le nostre papille gustative con sfiziose e succulente ricette locali.
E, come sempre “Martini” riesce a tessere per il suo eroe quasi un romanzo nel romanzo.

Mi piace ricordare, per quei pochi che non sapessero, che dietro il personaggio Gigi Berté si nasconde un vicequestore aggiunto in carne, ossa e… coda brizzolata, vecchio e buon amico di Emilio Martini… (oops delle sorelle Martignoni), che presta regolare servizio in un commissariato italiano. Domanda cattiva per i lettori: quale? Beh inutile chiederlo a me

Abbiamo incontrato Emilio Martini, ovvero le sorelle Elena e Michela Martignoni, nella sede della Corbaccio, in occasione della presentazione del libro ai blogger.

ELENA E MICHELA MARTIGNONI
ELENA E MICHELA MARTIGNONI

Nuova avventura, la sesta, di Gigi Bertè: perché avete deciso di spostare l’azione a Capri?
A parte l’amore per Capri, a un certo punto ci siamo guardate in faccia e ci siamo dette: ma quanta gente può morire a Lungariva? La fortuna di questo progetto è che può migrare,evitando così il rischio di diventare ripetitivo.
Al sesto libro ci è piaciuta l’idea di togliere Bertè dal solito ambiente e mandarlo in vacanza, anche se una vacanza un po’amena..

In alcune frasi  traspare una descrizione  di Capri anche piuttosto critica.
Aldilà dell’innegabile bellezza dell’isola, abbiamo cercato di raccontare anche il substrato storico culturale dell’isola che c’è, ma è pochissimo valorizzato. Le rovine di Villa Iovis,la villa di Tiberio, per esempio versano in uno stato di abbandono e degrado. Gli stranieri che ci arrivano rimangono basiti. Un patrimonio che invece andrebbe curato e valorizzato. Ovvio che in un romanzo uno non possa ammorbare il lettore con troppe notizie storiche, ma quello che ci piaceva era di mostrare un’altra Capri,dove l’elemento storico si mescola anche con il mitologico.
E il personaggio della regista Lilly Keller è nato ispirandoci a studiosi e  appassionati di storie preromane, quasi sempre stranieri , che hanno cercato di capire come mai in alcuni luoghi di Capri avvenissero questi strani riti ispirati a antichi culti sacrificali.
Non è più difficile creare una storia plausibile ambientandola nel passato anziché nel presente?
Le difficoltà ci sono sempre ma per noi  che veniamo dal romanzo storico però non è un problema. l’importante è fare delle ricerche serie. Non sappiamo come nascano le nostre storie: a un certo punto, durante le nostre chiacchierate  prende forma questa specie di “mostro” che, a poco a poco, prende la sua strada. Il passato comunque non ci spaventa, anzi vorremmo presto al romanzo storico che è il nostro primo amore. E poi i coldcase vanno di moda
 Come riuscite a unirvi in una sola scrittura?
Litigando! Facciamo tremende litigate, passiamo dal buttarci il telefono in faccia al compromesso.
La parte più difficile è sempre la trama perchè non solo devi far quadrare la vicenda, ma anche far capire ai lettori come si arriva alla soluzione. In due è più difficile, anche se ormai noi, dopo tanti anni insieme, non saremmo più capaci di far nulla da sole. Scrivere insieme è soprattutto una grande lezione di umiltà.
 Come vi dividete il lavoro?
Siamo due confusionarie, totalmente senza alcun metodo, nessuno schema o scaletta.Sono venti anni che scriviamo e ogni volta ci diciamo: la prossima volta facciamo una scaletta. Ci proviamo anche, ma poi non la rispettiamo.
Noi ci scambiamoi capitoli e poi la cosa più importante è la revisione, non tanto per il linguaggio, perché ormai risulta così omogeneo che nemmeno noi riusciamo a distinguere chi abbia scritto cosa, quanto per cogliere errori, incongruenze e ripetizioni.E per questo la lettura ad alta voce è fondamentale. Poi abbiamo degli amici, cattivissimi, che leggono in anteprima perchè c’è bisogno di uno sguardo esterno per cogliere gli errori.E poi naturalmente c’è l’editor della Corbaccio.
Abbiamo poi i consulenti, che sono importantissimi. Medici, poliziotti, avvocati, che sfiniamo con le nostre domande.
In primis il poliziotto che ha ispirato Bertè.
Anche se non scriviamo un genere tecnico, alla Cornwell o CSI, dobbiamo comunque restare palusibili ed evitare di scrivere stupidaggini.  E in questo la scelta di ambientare una storia a Capri quaranta anni fa , ci ha evitato di dover tenere conto di tutti i sistemi di controllo che ci sono oggi.
Quarant’anni fa a Capri, si poteva facilmente scomparire nel nulla.
Come è nato Bertè?
È ispirato a un vero poliziotto, conosciuto per caso quando mi hanno rubato la borsa. Una persona speciale, a cui abbiamo pensato per  il protagonista di un racconto lungo che mandammo  a Cecilia Perucci, direttore editoriale Corbaccio, perchè lo leggesse in treno andando a casa. A lei è piaciuto e quindi, eccoci qua.
Allora però non avevano nessuna idea che potesse diventare un personaggio seriale e nemmeno di come avremmo potuto sviluppare la storia.
Ora siamo al sesto libro. Ogni volta pensiamo sia l’ultimo e invece no, infatti, stiamo già scrivendo il settimo. Ci sono ancora tante cose da dire  su Berté, ogni romanzo svela un pezzetto del personaggio e della sua vita passata, della quale non abbiamo ancora svelato tutto, come per esempio il motivo del suo trasferimento punitivo a Lungariva.
Perchè firmate la serie con un nome maschile?
I nostri nomi erano molto legati al romanzo storico e poi è indubbio che in Italia tra i lettori esista un grosso pregiudizio nei confronti delle donne che scrivono gialli.
Così è nato Emilio Martini. Emilio in onore di Salgari,che consideriamo il simbolo assoluto della fantasia e Martini perchè era semplice e suonava bene.
Poi però ci siamo rivelate perché è difficile,anche se divertente,  reggere il mistero a lungo e poi dovevamo fare la promozione. Comunque continuiamo a mantenere lo pseudonimo perché ormai è legato alla serie.

 

Patrizia Debicke

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