Jo Nesbø visto da vicino

48358013_2185837174779987_2999417538175041536_nAbbiamo incontrato Jo Nesbø , il genio del noir scandinavo, per un’intervista collettiva  in un grande albergo del centro di Milano. Era in Italia per ritirare, a Como, nell’ambito del “Noir in Festival”, il premio Raymond Chandler alla carriera. Un riconoscimento prestigioso anche se lui, come ha tenuto a precisare, pur apprezzando moltissimo il re dell’hardboiled statunitense, non lo ha mai preso a modello, come invece hanno fatto moltissimi altri autori nel corso del tempo, addirittura sovrapponendoglisi al punto da rendere poco riconoscibili, almeno a prima vista, gli imitatori da Jo Nesbø , uno degli autori più apprezzai e tradotti al mondo, è stato una vera rivelazione, soprattutto per i lettori, innamorati di Harry Hole, l’investigatore duro, egoista, e un poco anarchico, diventato negli anni una vera e propria griffe della sua produzione letteraria.
A dispetto della convinzione popolare secondo la quale gli scrittori vivrebbero una seconda vita attraverso i loro personaggi, ai quali attribuirebbero tratti del loro stesso carattere e proprie abitudini di vita, il Nesbø in carne e ossa si è rivelato l’esatto contrario non solo del tenebroso e scostante Hole, ma anche di molti altri personaggi inventati dall’autore, a cominciare dai poliziotti del romanzo “Macbeth”, modellato sulla tragedia Shakespeariana.
Ebbene visto da vicino,  Jo Nesbø è un uomo che, pur essendo stato in gioventù uno sportivo, ha un aspetto minuto. I suoi modi sono gentili, il tono di voce è pacato. Nessun atteggiamento divistico, al contrario, sembrerebbe quasi timido e non si sottrae a nessuna domanda, ma anzi, si racconta generosamente, inserendo nelle riposte anche episodi del proprio passato e dettagli della sua vita privata. Soprattutto, ha rivelato un aspetto umano, un sensibilità per i problemi sociali, davvero insospettabili.

Nei suoi romanzi, attraverso i suoi protagonisti, Harry Hole anzitutto, poi Macbeth giusto per stare nell’attualità, lei racconta il male in tutte le sue declinazioni. Cos’è, secondo l’investigatore Hole e secondo lo scrittore Jo Nesbø , il male?
A me il male fa paura. Ma non quello estemporaneo portato dai serial killer. Quello vero. Non credo che gli scrittori di narrativa siano le persone più qualificate per rispondere alla domanda epocale su cosa sia il male. Ovviamente bisognerebbe definire prima il concetto, il significato profondo della parola. Il male cosa può essere? Magari è la nostra ignoranza. E’ il fatto che non vogliamo vedere i rifugiati. Un serial killer in attività può uccidere un numero limitato di persone. Quante ne uccide invece la nostra indifferenza? Oppure il male consiste nel dare l’assoluta priorità alla propria famiglia e ai propri interessi rispetto a quello che avviene nel mondo. Questo è il male? O è voler vivere a ogni costo un’esistenza più confortevole rispetto a quella che vivono gli altri?  E’ il preoccuparsi solo di se stessi?
Il male può avere una connotazione passiva ma anche attiva. Di sicuro è uno  stato mentale che ci porta a disinteressarci di quello che ci circonda. Ma può anche essere attivo. Per esempio: sono stato in Congo, in un campo profughi. Arrivavano persone continuamente: un fiume umano inarrestabile. Ho visto un  padre con sette figli. Quindi, tante bocche da sfamare nell’assoluta povertà. Questo padre portava con sé anche un bambino che si era perso e non aveva più la famiglia. Lo aveva raccolto, moribondo, in un fossato e questa è un’azione su cui riflettere, perché le possibilità di sopravvivenza di quel bambino lasciato a se stesso sarebbero state uguali a zero, ma quel padre, caricandosi di una bocca in più aveva messo a rischio la sua famiglia. Avrebbe fatto il male se lo avesse lasciato morire? E tutti gli altri rifugiati che erano passati davanti al piccolo senza fare niente, che non lo avevano salvato per non mettere in pericolo se stessi e le loro famiglie, avevano mostrato un comportamento malvagio?
Forse il male è solo mancanza di umanità. E’ solo freddo. Cos’è in fondo il freddo? E’ assenza di calore. E’ quello che proviamo nello spazio, perché lassù fa freddo. Quindi il male, può essere definito assenza di bene.

Cosa la spaventa? La violenza che descrive nei suoi romanzi? Il dolore? La morte?
Mi spaventano l’assenza di calore umano, la mancanza di empatia, cioè l’equivalenza del freddo siderale.
Quando ero piccolo avevo paura i perdermi. Andavamo a passeggio nelle città e nei ei boschi. Io ero curioso. Talvolta mi allontanavo e allora mi spaventavo.
L’eventualità di perdermi mi ha sempre terrorizzato e il mio incubo più spaventoso è di perdermi nello spazio. Forse, per tornare alla sua domanda precedente, è proprio questa l’essenza del male: l’essere abbandonati, andare alla deriva. Qui, sulla terra, dato che non siamo astronauti e ancora non ci è data la possibilità di vagare nello spazio.

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L’ambientazione dei suo romanzi è spesso molto dura, difficile, pericolosa. Rispecchia forse una visione profetica di quello che ci aspetta in un futuro prossimo?
L’ambiente in cui si muove Macbeth con la sua squadra è un insieme di città. Il racconto è ambientato negli anni 70 e non può essere che politico: corruzione, maneggi, intrighi … La città è ispirata a Newcastle, ma può essere anche la NewYork di Hells Kitchen, come la città di Bergen, situata sulla costa sudoccidentale della Norvegia, un posto con un microclima particolare, che vede pochissimo il sole perché piove quasi sempre, anche se poi, per chi ci vive, non è  deprimente come si potrebbe immaginare.
Ma direi che ho fatto spesso riferimenti anche a Detroit, la città americana in cui fino ad alcuni anni fa i servizi pubblici sembravano allo sbando.
La città in cui agiscono Macbeth e i suoi è totalmente in mano alla libera impresa e la gigantesca locomotiva nera, situata davanti all’inutile stazione dalla quale non passano più i treni, riporta alla politica e ai problemi che nasceranno da scelte future. Cosa succederà quando molte cose che diamo per scontate non ci saranno piu?

Sono incuriosita dall’uomo Jo Nesbø . Lei ha fatto di tutto. E’ stato anche un musicista e un calciatore. Com’è arrivato alla scrittura di romanzi di successo?
Attraverso la lettura, direi. Mio padre è emigrato a Brooklyn e da lì vengono le mie influenze letterarie. Mia madre era una bibliotecaria. Quindi ho avuto accesso alla miglior letteratura di tutti i paesi. I libri che ho amato spaziano da La capanna dello zio Tom a Pippi Calzelunghe. In particolare mi ha colpito  Il Signore delle mosche di William Golding. Parlava di ragazzini e mi ci sono tuffato. Quello direi che è stato il primo incontro con la letteratura adulta.
In seguito, direi che è venuto tutto il resto: da Hemingway, a Ibsen, da Roth a Dostoevkij. Poi gli autori della Beat generation, cominciando da Kerouac . Ma le ispirazioni, a chi le sa cogliere, vengono anche dalla musica: Bruce Springsteen, Tom Waits, i Beatles. E dai film come il padrino. Oggi un autore che amo molto è Jim Thompson.

Cinema e letteratura: quanto l’affascina il fatto che molti suoi libri siano stati film? Lei è anche produttore. Le piacerebbe fare un salto dietro la macchina da presa diventando anche regista?
A me piace concentrarmi sulla scrittura. Amo i mio lavoro. Il fatto di essere un produttore esecutivo è qualcosa che sta solo sulla carta. I film non sono come i libri e fare il regista non è il mio lavoro. Preferisco non andare dietro la macchina da presa. E’ una cosa che lascio fare a chi ha competenze specifiche.
Una a volta mi è stato chiesto di girare un film. Per mettermi alla prova, con un amico ho girato un corto di nove minuti. Il risultato finale non era male,  ma ho deciso che non faceva per me. Sono troppo pigro per fare il regista.

Ci sono cose che non ha fatto e che avrebbe voluto fare? Storie che non ha scritto e che avrebbe voluto scrivere? Rimpiange qualcosa della sua vita?
Non  torno mai al passato. Venendo a Milano con mia figlia, durante il volo da Francoforte abbiamo avuto una forte turbolenza. Lei mi ha domandato se avevo paura di precipitare. Le ho detto di no. Io non ho paura della morte che è una presenza costante nei mie libri come nella vita di ciascuno. Tutti dobbiamo morire prima o poi. Quello che mi sarebbe spiaciuto se fossimo precipitati sarebbe stato non poter scriver le decine di libri che ho in testa. Questo, per dire che io guardo sempre avanti, al futuro.

51KDpVuRcUL._SX325_BO1,204,203,200_Cosa pensa di quello che sta succedendo oggi nelle nostre città? Ravvisa qualche somiglianza con la città di  Macbeth? Qual è la sua idea di democrazia?
Per quello che accade nel mondo ho un mia opinione e mi sento imbarazzato quando mi viene chiesta. Non credo sia necessario ai lettori sapere come la penso in politica.

Ha mai rimpianto la sua carriera di calciatore?
La mia carriera nel calcio si è interrotta presto perché a vent’anni mi sono rotto i legamenti delle ginocchia. Quel fatto, visto con gli occhi di oggi, è stato una fortuna. Giocavo in una squadra locale e oggi lassù sono ricordato come un calciatore molto migliore di com’ero in realtà. E la leggenda aumenta ogni anno che passa, anche perché mi sono fermato alla fase di ”giovane promessa”.

Quanto Shakespeare ha influenzato la sua scrittura e non parlo solo del romanzo Macbeth.
Shakespeare nei secoli è stato una grandissima fonte di ispirazione. La sua influenza è tale che le Tragedie sono un po’ l’ossatura del genere thriller. Se ci pensa, noterà che nei romanzi migliori viene operata una forma di manipolazione della coscienza dei lettori i quali finiscono per identificarsi con i cattivi, ribaltando in questo modo tutti gli schemi morali.
La fortuna di Harry Hole, che non è certo l’esempio dell’investigatore tutto umanità e buoni sentimenti, sta nel fatto che mentre lo si segue nelle sue cacce ai criminali non ci si accorge che si identifica con loro. E’ quasi uno di loro.

Pensando ai paesi nordici, grazie anche ai molti romanzi li vediamo come simbolo di libertà, di assenza di disuguaglianze e di problemi sociali. Quanto la realtà letteraria coincide con quella  reale?
Nei romanzi polizieschi scandinavi c’è più gente morta ammazzata di quanta non se ne conti realmente negli stessi paesi in cinquant’anni. Certo la Oslo che  descrivo ha un lato oscuro. Ma non è rappresentativo della vera Oslo. C’è della verità nel mito scandinavo del Paese felice. Il sistema funziona anche se non è perfetto, anche se gli scrittori di thriller amano raccontare i lati oscuri della società.
Forse la leggenda del paese felice è nata dal fatto che a partire dagli anni ’70 diversi autori di thriller hanno cominciato a inserire descrizioni delle politiche sociali scandinave nei loro romanzi. Poiché hanno avuto successo, tutti gli autori venuti dopo si sentiti in dovere di occuparsi delle stesse tematiche che, in questo modo, si sono connaturate alla narrativa gialla dei paesi nordici.

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MilanoNera ringrazia  Jo Nesbø  e l’organizzazione del Noir In Festival per la disponibilità.

 

 

Adele Marini

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