Joe Petrosino, il mistero del cadavere nel barile



Salvo Toscano
Joe Petrosino, il mistero del cadavere nel barile
Newton Compton
Compralo su Compralo su Amazon

La vera storia del terrore della Mano nera, di Joe Petrosino, il famosissimo poliziotto in bombetta, di origine italiana, che osò sfidare e combattere la mafia di Little Italy. Il romanzo che narra del comparsa e della prima fioritura che precedette l’ascesa e il successo di Cosa Nostra a New York.
New York, 1903. Erano appena le cinque e mezza del mattino ma la vita, in quel pezzo dell’East Side irlandese al confine con Little Italy, era già in fermento. Piovigginava triste e Frances Connors, un donnone irlandese, impiegata come donna delle pulizie, che trotterellava verso il forno per comprare del pane, riparandosi con l’ombrello, si trovò all’improvviso davanti un barile abbandonato sul marciapiede di fronte all’edificio al numero 743 tra l’Undicesima Strada Est e la Avenue D. Era ingombrante, panciuto, abbastanza nuovo. Solo le doghe erano un po’ arrugginite. E qualcuno doveva averlo lasciato là da poco perché non era fradicio d’acqua, notò subito Frances. Si fermò incuriosita, e si avvicinò con la speranza che contenesse qualcosa di commestibile o di utile. Posò l’ombrello aperto a terra guardò in giro. Non voleva essere vista mentre frugava tra i rifiuti. Ma…nulla e nessuno. Allora alzò il cappotto zuppo che copriva il barile, lo lasciò cadere, si sporse a guardare dentro e scorse l’orrore di un cadavere orribilmente mutilato. Il suo grido di terrore che squarciò il silenzio, svegliando i dormienti della case vicine, richiamò l’attenzione del poliziotto di pattuglia nella vasta zona subito al di fuori di Little Italy. L’agente  soffiò nel fischietto per far accorrere i colleghi della centrale. Il morto, prima di essere ripiegato in due e cacciato a forza dentro la botte, era stato sadicamente torturato e gli avevano tappato la i bocca con i genitali. L’uomo, un perfetto sconosciuto nel quartiere e che non figurava negli schedari della polizia, dimostrava circa trentacinque anni ed era vestito decorosamente. Alcuni precisi segni indirizzano subito la squadra al comando dell’ispettore Max Schimitberger, verso la criminalità italiana. Si tratta, è chiaro, di una bella patata bollente che mette in tilt l’intero dipartimento di polizia di New York e ben presto l’ispettore Schimitberger, posto sotto pressione dai superiori che pretendono una rapida soluzione del caso, dovrà invece vedersela anche i servizi segreti (dietro quel delitto girano interessi molto pericolosi; potrebbe anche celarsi un traffico di banconote false). Insomma un’operazione perfetta per il “Dago”, il sergente investigativo Giuseppe “Joe” Petrosino che deve il suo grado addirittura al presidente Theodore Roosevelt. Solo il Dago, il più famoso detective della città, nato a Padula in Campania, emigrato da ragazzino con i genitori negli Stati Uniti e a diciassette anni naturalizzato americano, può metterci le mani. Lui il piccoletto nerboruto (1,60 circa più rialzi nelle scarpe e qualche centimetro guadagnato con la bombetta), in virtù delle sue origini italiane è capace di muoversi come si deve per i vicoli di Little Italy, capire tutti i dialetti della penisola, comprendere i contrassegni e le regole imposte e seguite dalle prime organizzazioni criminali americane, quali la Mano Nera. Dicevamo dunque che il cadavere appartiene a uno sconosciuto e purtroppo  l’unica esile traccia a disposizione per risalire agli assassini è il barile che conteneva zucchero destinato a una pasticceria gestita da italiani. Una bella gatta da pelare inficiata dai silenzi e dall’omertà imposta con il terrore, un’ indagine problematica in cui Petrosino con il fattivo appoggio del sergente Bennoil (mezzo francese e mezzo irlandese ma che parla e capisce l’italiano) si troverà a contrastare non solo i violenti e spietati padrini siciliani ma anche i peggiori pregiudizi riguardo agli immigrati della penisola. Una calibrata ricostruzione storico ambientale per una trama ben documentata che si appoggia alla storia vera di quella che fu la nascita della Mafia italo-americana e del coraggio, a sprezzo della vita, degli uomini che la sfidarono. Salvo Toscano ha deciso di ridare vita nella pagine del suo romanzo a un personaggio realmente esistito, Joe Petrosino, poliziotto nato a Padula in provincia di Salerno nel 1860. Di famiglia piccolo borghese ebbe la fortuna di studiare abbastanza. Ma l’Unità d’Italia portò povertà e fame al Sud. Emigrato, come molti italiani, negli USA alla fine del 1800, fu strillone venditore di giornali, poi lustrascarpe, netturbino e infine a diciassette anni finalmente arruolato come poliziotto. Ma nessun italiano era al sicuro in quella New York del passato dove dominavano paura, omertà, minacce e sgarri che si lavavano con la morte. Un romanzo con una precisa componente biografica e anche per questo molto intrigante, affollato di personaggi realmente esistiti e molto ben rappresentati nella narrazione e in cui ritroviamo purtroppo ancora troppi punti in comune con l’oggi, Un thriller intrigante, uno perfetto spaccato di quel mondo di emigrazione di allora. Un tuffo nel passato che dovrebbe far riflettere su quando ad emigrare erano gli italiani. Un giallo coinvolgente, in cui ritroviamo una New York dei primi ‘900 ai primordi del suo splendore, un città invasa da svedesi, tedeschi, italiani, irlandesi, gente dell’Europa dell’Est, del medio oriente, cinesi eccetera ecc. Ognuno  di loro a suo modo ghettizzato nei propri quartieri, barricato nei loro caseggiati, afflitto da pregiudizi e timore verso gli estranei. Una bella storia che deve continuare. Alla prossima? Ma, prima di chiudere, due righe per presentarvi meglio Joe Petrosino. Giuseppe Petrosino, detto Joe (Padula, 30 agosto 1860 – Palermo, 12 marzo 1909), è stato un poliziotto italiano naturalizzato statunitense, un pioniere nella lotta contro il crimine organizzato. Joe Petrosino era un uomo caparbio, determinato, forse non ben visto da alcuni suoi colleghi, ma amato dai vertici di polizia e non solo. Dedicò la sua vita a combattere i primi virgulti staunitensi di Cosa Nostra, che si nascondevano sotto il nome di “Mano Nera”. Fu a capo della prima squadra poliziesca di lingua italiana di New York: l’Italian Branch. Le tecniche di lotta al crimine, di cui Petrosino era stato l’ideatore, sono ancora oggi praticate dalle forze dell’ordine. Si potrebbe definire
Petrosino il primo grande nemico della mafia. Si deve a lui la scoperta sia dello stretto e legame criminale e mafioso tra famiglie Americane e Siciliane, sia del pericoloso e fatale collegamento, che si stava creando tra le due parte dell’Oceano. Intraprese un’impressionante opera investigativa che, se avesse avuto successo, lo avrebbe portato a sconfiggere definitivamente la mafia, che lo temeva molto. E solo nell’intento di completare il suo compito che si recò in Italia con la speranza di troncare il fenomeno all’origine. Ma vigliaccamente attirato in un’imboscata, fu ucciso a soli 49 anni, come un soldato al fronte di un’implacabile e sanguinosa guerra, colpito nel buio con tre colpi di pistola alla schiena da una mano assassina. La sua morte bloccava la preziosa indagine di uno dei poliziotti più determinati e  coraggiosi di tutti i tempi.

 

 

Patrizia Debicke

Potrebbero interessarti anche...