John Ajvide Lindqvist

John Ajvide Lindqvist, nato in Svezia nel 1968, è cresciuto nel quartiere di Blackeberg, a Stoccolma.
Ha fatto per anni il prestigiatore, è autore televisivo e ha scritto sceneggiature e testi teatrali. Best-seller in Svezia, in corso di traduzione in numerosi paesi, Lasciami entrare è il suo primo romanzo, da cui presto sarà tratto un film con la regia di Tomas Alfredsson. Di prossima pubblicazione per Marsilio il suo secondo romanzo, Come trattare con i morti viventi. Lo abbiamo incontrato a Venezia, in occasione del suo tour italiano.

Per prima cosa, puoi raccontarci qualcosa di te?
Per molti anni, la mia intenzione era di diventare un mago, ho anche partecipato a molti concorsi di magia, vincendone qualcuno. Ma non ha funzionato, così invece sono diventato un cabarettista. Ho fatto cabaret per dodici anni, e negli ultimi tre ho anche scritto materiale per altri comici svedesi. Ho poi scritto copioni teatrali “seri”, nessuno dei quali è mai stato messo in scena. Per lo più, mi guadagnavo da vivere scrivendo battute divertenti per la TV e per altra gente.
L’horror è da sempre una delle mie passioni, ma inizialmente non avevo preso in considerazione la possibilità di scrivere qualcosa in quel genere. Poi nel 2002 finalmente ci ho provato con un racconto, che è risultato abbastanza spaventoso, così mi sono detto: “Ok, pare che lo sappia fare” e ho scritto un intero romanzo, Lasciami entrare.

Hai ottenuto grande successo con dei romanzi horror, un genere non molto comune in Svezia. Perché hai scelto di scrivere narrativa dell’orrore?
L’horror non è poco comune nel mio paese, non esiste proprio. Anche se io ho avuto tanto successo coi miei libri, continua a non esserci nessun altro romanziere dell’orrore in Svezia. Ma forse le cose cambieranno prima o poi.
Scrivo horror perché come scrittore ho imparato che bisogna scrivere di ciò che si sa, e forse anche di ciò che si ama. Io so molto poco dei poliziotti, e li amo ancora meno. Non ho la pazienza di studiare la Storia. E così via. Quello che conosco, e che in una certa misura amo, sono le cose in agguato negli angoli bui. Del mondo. Della mente.
Mi sono dato all’horror perché concede la massima libertà. Puoi metterci dentro di tutto. Poliziotti, se vuoi. Storia, amore o rane geneticamente modificate. Qualsiasi cosa, purché abbia risvolti sinistri. E purché alla fine arrivino i mostri.
Inoltre, l’horror è un modo meraviglioso di esplorare la mente umana e affrontare gli interrogativi esistenziali. Questa è la specifica bellezza del genere: è uno strumento per dissezionare la mente umana, per tratteggiare la psicologia delle situazioni estreme.


Il tuo primo romanzo, Lasciami entrare, parla di vampiri. Qual è stata la tua personale interpretazione di questo tema classico, che innovazioni hai introdotto?

La mia innovazione – e questo vale per tutto ciò che scrivo – consiste nell’esplorare il tema per ciò che realmente è. Ovvero: se i vampiri esistessero veramente, come sarebbe la loro vita? Non credo che avrebbe molto a che fare con l’immagine romantica e affascinante che gli viene attribuita di solito. No. Avremmo una persona o una creatura costretta a uccidere altra gente e berne il sangue per sopravvivere. Più probabilmente sarebbe una vita assai dura, triste e disgustosa da vivere.
Inoltre, il mio vampiro è una ragazzina. Una ragazzina molto vecchia. Il che rende la sua esistenza ancora più tragica. La storia in gran parte è incentrata su dei bambini o degli adolescenti pieni e sui loro problemi. E su un gruppo di adulti alcolizzati alle prese con la difficile decisione di diventare cacciatori di vampiri.
Quello che ho cercato di fare è immaginare cosa succede quando un vampiro arriva in una grigia periferia svedese. E ho cercato di esplorare il tema con questa domanda in mente: “Cosa accadrebbe davvero, se ci scordiamo della tradizionale mitologia vampiresca?” Ho lasciato da parte quasi tutto il tradizionale armamentario, le croci, l’aglio e così via, concentrandomi su un dettaglio meno conosciuto del folklore sui vampiri: se un vampiro vuole entrare in una casa, ha bisogno di essere invitato.
Da questo punto di vista, il romanzo parla anche d’amore, il titolo può anche essere letto come una raccomandazione: tieni aperta la porta. Lascia entrare l’amore o la distruzione. Ma lascia che accada. Adesso.

So che è in preparazione un film tratto dal libro.
Lo dirigerà Tomas Alfredsson (vincitore nel 2004 del Best Swedish Film Award). Io ho scritto la sceneggiatura e le riprese inizieranno nel febbraio 2007. E’ prevista una distribuzione internazionale, per cui spero che sarà possibile vederlo anche in Italia.

Il tuo secondo romanzo, Come trattare con i non-morti, parla di zombie. Puoi parlarcene?
Volevo scrivere qualcosa sugli zombie perché mi sono sempre piaciuti un sacco e ho visto parecchi film (sì, anche italiani, tipo quelli di Lucio Fulci). Ma, come sempre, mi sono chiesto: “Se i morti tornassero dalla tomba, come sarebbero, davvero?” Per prima cosa, ho deciso che non sarebbero stati aggressivi, ed è già una piccola rivoluzione, visto che tradizionalmente questa è l’intera natura degli zombie. Secondo me infatti più verosimilmente non vorrebbero altro che tornare a casa e riprendere la loro vita come se niente fosse. Le parti orribili della storia così non riguardano direttamente gli zombie, ma quello che fanno i vivi per via della loro paura degli zombie.

Ultima domanda: progetti per il futuro?
Oltre a Lasciami entrare, anche Come trattare con i non-morti diventerà un film, così come un racconto tratto dal mio ultimo libro. Attualmente sto scrivendo un romanzo più epico ambientato nell’arcipelago di Stoccolma e incentrato sui poteri sinistri del mare. Ma ci sono anche due fantasmi adolescenti che amano alla follia gli Smiths, tra le altre cose. Mi sono concesso due anni per scriverlo, perché prevedo che sarà assai lungo. Molte, molte pagine.

Per prima cosa, puoi raccontarci qualcosa di te?
Per molti anni, la mia intenzione era di diventare un mago.

Renzo Saffi per Borderfiction.it

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