La donna del faro – Ragnar Jónasson



Ragnar Jónasson
La donna del faro
Marsilio
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“Aveva visto davanti a sé il mare e la parete verticale. O forse non aveva visto niente, aveva solo chiuso gli occhi, irrigidita dal terrore. Sicuramente era troppo piccola per riconoscere la morte. A che cosa avrà pensato, in quegli ultimi istanti? Avrà sperato di finire in mare? La punta, la costa, il faro, il mondo fantastico intorno alla baia, il suo parco giochi. Poi, si era schiantata sugli scogli.”
Già dall’incipit e dal titolo l’autore, Ragnar Jónasson, introduce la suggestiva location che farà da sfondo al suo ultimo romanzo: la costa, le rocce, il mare, il faro. Un romanzo che richiama atmosfere care ad Agatha Christie e di cui il 44enne scrittore che vive a Reykjavík è ben noto estimatore nonché  traduttore in islandese delle opere della regina del crimine.  
La trentenne e avvenente Ásta Káradóttir vive nella capitale, Reykjavík, ma non può certo dirsi di avere realizzato i suoi sogni. Nella sua giovane vita ha sempre pesato il passato, quello che aveva visto da bambina seduta nel letto, nel sottotetto della sua stanza. Quando mancano soli tre giorni a Natale e la terra è ricoperta da uno spesso strato di neve densa e farinosa, il ricordo si fa più pungente, più nitido. E sente il bisogno di tornare là dove tutto è cominciato e dove tutto sembra chiamarla.
Dove tutto finirà.
Là, nella penisola di Skagi, nel Nord.
Là dove ancora vivono l’anziana e malata Þóra, dalla voce irritante e lagnosa. E il fratello Óskar, rimasto claudicante dopo un incidente. Dove vive Reynir Akason, ricco imprenditore e padrone di casa che continua a tenere in villa i due anziani, pagati a malapena, assunti da suo padre tanti anni prima.
Nessuno aspetta Ásta, ma lei in quella casa c’era cresciuta, fino a quando la tragedia non l’aveva risucchiata nella sua spirale di violenza e l’avevano mandata in città, da parenti.
Troppo dolore non aiuta i bambini a crescere sereni.
Ásta quella sera si abbandona al piacere della carne. L’uomo è potente e virile, e lei troppo sola per non farsi avvolgere da braccia maschie e vigorose che la fanno sentire viva.
La ritroveranno morta il giorno dopo, ai piedi della scogliera.
La stessa dove era caduta sua sorella.
La stessa dove anche sua madre era caduta. O si era buttata.
Ma davvero tre morti fotocopia a distanza di anni possono ritenersi tutte disgrazie o suicidi? Oppure una mano omicida nasconde segreti che non si vuole vengano svelati?
Le indagini vengono affidate all’ispettore capo Tómas che come suo aiutante individua il giovane Ari Þór, sposato con Kristine e in attesa del loro primo figlio. Ari Þór ha preso il posto di un ispettore che  si occupava di omicidi, reati sessuali e aggressioni. 
La morte di Ásta non convince, a maggior ragione quando si scoprirà che la ragazza aveva avuto un rapporto sessuale prima di schiantarsi sulle rocce. Lo stesso luogo delle precedenti disgrazie di sua madre e della sorellina. 
Lei e la sorellina, dopo la morte della mamma, che s’era ritenuto si fosse suicidata, erano state cresciute da Þóra, ma dopo che anche la sorella era morta cadendo sulle rocce, il padre era impazzito dal dolore e trascinava i suoi giorni in una clinica psichiatrica, ma Ásta era andata a trovarla solo una volta. Per quale motivo?
E che segreto nasconde Þóra che da ragazza s’era trasferita a Reykjavík per studiare all’università e ne era rientrata devastata?
Che interesse ha Kristine, nonostante il pancione e il parto imminente ad andare in giro nell’innevata Islanda per conoscere il proprio passato mentre suo marito, l’ispettore Ari Þór, sembra essersi rassegnato invece al proprio stato di orfano. Ma è davvero così?
Nella storia si inseriranno pochissimi altri personaggi a fare da contorno strutturale a questo giallo d’atmosfera che si dipana senza sparatore, né inseguimenti, né scazzottate o spargimenti di sangue, ma giocato unicamente sotto la sapiente regia del suo autore che dispiega l’orlatura della trama, centellinando i colpi di scena e disvelando, tra interrogatori e indagini sulle tracce lasciate dall’assassino, come nella più classica tradizione dei gialli, le ombre maligne che ogni creatura umana nasconde nell’abisso del proprio vissuto. Quei segreti che il tempo non livella né diluisce, ma al contrario mettono radici e fa imputridire le esistenze di chi li custodisce sino a fagocitarle. 
Per sempre.


Roberto Mistretta

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